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Il perchè vieppiù si accese Costantino di venire al conquisto d'Italia. Disceso egli pel Monginevro, incontrò su' suoi passi la città di Susa, la quale in que' dì veniva riputata fortissima per natura e per arte, e trovavasi provveduta di numeroso presidio disposto a fargli una vigorosa resistenza : egli impaziente di avanzarsi, non fe' trincee, non fossati non appresso macchine, ma fu quasi un istante lanciar fuochi alle porte, gittare scale a torrioni, battere, entrar: nella piazza, e mandarla in fiamme. Gli adulatori di Costantino narrano essergli stato più facile ordinar l'incendio che arrestarlo, e salvar la città.

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Dopo questo trionfo vinse Costantino contro i suoi nemici nella taurina pianura la memoranda giornata, che gli diede l'impero del mondo. L'anonimo panegirista di Costan- a tino chiamò Taurinales le campagne che si estendono da Rivoli e Rivalta sin dove han termine gli estremi lembi delle alpi a levante, e si allargano tra il Po, il Sangone e lo Stura; e quivi appunto riportò Costantino la seconda vittoria tanto più memorabile, in quanto che fu essa segnatamente che gli aprì la via a salire sul trono de' Cesari. Ciò non di meno Zosimo ed Eusebio tacciono di questa importante battaglia, e dalle alpi trasportano quel sommo capitano a dirittura alla final giornata di Roma. Laonde per questo combattimento che s'ingaggiò nella torinese campagna ci rivolgiamo all'anonimo panegirista di Costantino, ed Nazario, i quali ne riferiróno almeno le principali cir

costanze.

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I generali dell'imperatore Massenzio eransi accampati in sito alquanto discosto da Torino, e coll'ala sinistra appog giavansi alla costa superiore di Rivoli. Il loro esercito era assai forte pel numero de' soldati, e molto più per la grave cavalleria, ond'era composto per la massima parte. La sua disposizione non ispargea gran fronte; ma formava una profonda solida colonna, accuminata nella stessa fronte, e allargantesi ne' fianchi, atta a rompere e cozzare a guisa di ariele. Gli uomini ed i cavalli erano coperti di un'armatura di ferro a varii pezzi congegnata, arrendevoli a' movimenti de' loro corpi. L'accorto Costantino trovandosi con forze assai minori, non s'ingaggiò a sostenerne l'impeto e la forza,

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ma sibbene a scansarla. Apri le sue schiere quando quei cavalli si spinsero incontro ad esse. Con artificiose evoluzioni gli venne fatto di turbar gli ordini dei nemici, non che di dividerli e sconcertare la loro massa inflessibile. Oppressi dal loro peso medesimo non potevano nè muoversi a tempo, nè ben difendersi; ond'egli vieppiù li ricaricò colle mazze, e gli stancò in cento guise. Tracollavano i cavalli o per l'urio -reciproco, o per quello delle legioni di Costantino, sir chè crebbero al somo la confusione de' nemici, la strage e la fuga di molti per ripararsi in Torino, e di qua arre care e stancare il vincitore; ma i torinesi chiusero loro ia faccia le porte, onde i fuggitivi perirono a piè delle mura, dentro Je quali speravano di scampare. Usque ad Taurinorum muros fusi, caesique, obsertasque nacti portas, etiam corporum suorum mole clauserunt. L'Anonimo cap. 6.

Questo inaspettato esempio che Torino diede alle città circumpadane, le mosse a gara ad invitare, e ad aprir le porte al vincitore per dimostrargli, come osserva il predetto anonimo, quanto bramassero di sottomettersi a lui, quantunque durasse ancora il pericolo della guerra. Siffatta loro · deliberazione non procedette da odio contro il debole Massenzio, nè da parzialità per le galliche legioni di Costantino, ma ben piuttosto dagl'immoderati tributi ond'erano aggravati ed afflitti i municipii, e dalle indiscrete contribuzioni di biade che riscuotevansi dalle numerose truppe stanziate nell'Italia circumpadana a difesa de' passi delle alpi. Autori di siffatto incomportabile aggravio, per cui già moltissimi eran costretti ad abbandonar la coltivazione de' campi, furono Diocleziano e Massimiano, come attestano Aurelio Vittore e Lattanzio nel libro delle morti de' persecutori. Tali aggravii duravano sotto Massenzio perchè qui continuavano i soldati posti alla difesa delle alpi a togliere rapacemente i viveri, come se fossero in paese nemico. La disperazione, oppur la fiducia di esserne alleviati, indusse i Torinesi, e -poi gli abitanti delle altre città circumpadane a darsi in preda a Costantino. Quindi la fortuna di lui, il favore dei popoli, lo spavento degli eserciti romani, rammolliti dalla licenza e dal lusso, gli assicurarono la vittoria ovunque ancora ei dovette combattere. Sarebbe stata veramente cosa

mirabile, se al fine nella campagna di Roma non avesse saputo debellare l'effeminato Massenzio, ed entrare in una città, che era avvezza ad insultare i vinti, é a farsi incontro alla fortuna del vincitore.

Ma i torinesi e gli altri popoli, da cui essi furono imitati nel favoreggiare Costantino, non ottennero da questo conquistatore, nè alcun segno particolare di riconoscenza, e nè anche la sperata moderazione delle gravezze ond'erano oppressi. Un solo editto relativo al censo pubblico diede Costantino indi a pochi mesi in Roma, cioè nel gennajo dell'anno 313, non già per alleviare il peso delle imposte, ma per porre alcun freno alle frodi degli esattori, i quali usavano perfino ricaricare i poverelli della porzion de' tributi, che toccava ai ricchi. Nella sostanza, ᎥᎨ peso. di molte tasse, in ogni tempo strisciando velocemente sulle classi più distinte e doviziose, o non premendole che leggermente, scende poi con accelerata gravità sulle inferiori e più deboli classi della società. Ma non sempre ne sono rei gli esattori, od i voraci pubblicani; lo è pur talvolta il non mai variato metodo di determinare sopra ogni eguale quantità di estimo una quantità eguale di tributo. I più ricchi possessori ne sono poco incomodati, e i deboli proporzionatamente quasi oppressi. Dovrà forse in vece ricrescere vece ricrescere progressivamente l'imposta su ciascuna di esse uguali quantità in proporzione ch'elle sono in maggior numero condensate in un possessore? Non osiamo affermarlo; chè quelli che si manifestano di questo avviso, sono accusati di comunismo. Ma Costantino avidamente raggravò i ricchi (Zosimo lib. 2, cap. 38), e lasciò che si spremessero i possessori di piccoli poderi, e a dispetto del suo editto gli esattori pubblici perseverarono nelle loro frodi, ed è perciò che Simmaco e Salviano, il primo lib. 9, epist. 10, ed il secondo lib. 5, cap. 7, fecero gravi lamenti contro una sì grande ed incessante iniquità.

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Fatto è che nè le leggi, nè la storia ci appalesano alcun atto di beneficenza, con cui Costantino siasi mostrato riconoscente verso i Torinesi e gli altri popoli circumpadani; 95 con tutto ciò alcuni pretesero di giustificare cotanta sua ingratitudine, e con ingegnosa adulazione cercarono di supplire al silenzio della storia e delle leggi: questi a tal fine h

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raccozzarono colla conquista della torinese contrada e delle altre circumpadane regioni l'origine della indizione Costantiniana incominciante nel settembre dell'anno 312. Il cardinal Noris volle intendere per quella indizione una nuova ordinazion di tributo più lieve fatta da Costantino per sollevar l'Italia dalle gravose imposte anteriori, e la fece coincidere a un dipresso colla presa di Verona. Il Maffei illustrò poscia la congettura del Noris, e tornandola interamente ad onore della nobil sua patria, argomentò che in Verona, e dalla presa di essa città ebbe cominciamento quell'indizione. Attrasse adunque alla sola sua patria il merito di tutte le altre città circumpadane, attenuò sommamente la vittoria di Torino, dissimulò il generoso fatto de' Torinesi, fondamento e modello delle susseguite dedizioni spontanee, e collocò nella battaglia e nell'espugnazione di Verona la somma delle cose. Per ottenere il suo intento, egli dalle alpi insino a Verona conduce Costantino con una rapidità, che troppo contrasta con ciò che ne venne riferito dai panegiristi di quell'Imperatore; laonde basterà farne col nostro dottissimo Durandi il paragone, per ismentire le congetture e le arbitrarie illazioni del Maffei.

Nazario, dopo aver descritto la battaglia e la vittoria di Torino, ci dà a divedere che in confronto di quella appena più importava che delle altre si facesse parola; quid ego referam post tantam et tam gravem pugnam? e vuolsi notare che egli parlava al cospetto del medesimo vincitore; e da ciò ch'ei riferisce intorno alle successive pugne e vittorie, chiaramente si vede che dopo la giornata di Torino il vincitore, accolto con grandi feste in Milano, già consideravasi come signore di tutta Italia; egli non ignorava che Ruricio, generale nemico, era accampato sotto Verona, ma sapeva eziandio che non aveva più nulla a temere di lui.

Laonde avrebbe troppo male trascelto la presa di Verona per farne l'epoca della moderata indizione, che si vuol supporre istituita per rendere più memorabile quella presa medesima. Attribuendone l'origine a Costantino, il Noris con ragione la fece incominciare al 24 di settembre del 512. Il Maffei mettendola al dì 1.o di settembre dello stesso anno, per combinarla a suo modo coll'es pugnazione di Verona,

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appigliossi alla indizione de' Greci, ossia Costantinopolitana, d'assai posteriore alla prima, e di origine non adattabile a Costantino; ond'egli si trova in contraddizione con se medesimo. Insomma vi ha solamente di certo che l'uso delle . indizioni non apparisce innanzi l'imperatore Costanzo; che se comunemente esse si fanno cominciare dall'anno 512, non è perchè abbiasi alcuna prova di cotal epoca, ma per riconciliare le leggi del codice Teodosiano coi fasti consolari e con gli storici del quarto e del quinto secolo; ed è certo eziandio non esservi traccia della supposta moderata indi-... zione, o di qualche beneficenza a pro dei Torinesi, e che d'altro canto non si può certamente dell'indole di Costan ́tino supporre quello che si potrebbe supporre di Trajano. E quando pure si voglia presumere quell'immaginato benefizio della moderata indizione, osiamo affermare, che almeno la memoranda epoca delle indizioni avrebbe radice e prin-cipio nella vittoria di Torino, e nel successivo conquisto. to dell'Italia circumpadana.

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·Ciò non pertanto è bello il narrare che Costantino si avanzò piuttosto trionfando che combattendo verso Roma spedizione celebre in tutte le storie, per essere stata l'epoca insigne dell'esaltazione del cristianesimo. Massenzio, che da principio simulò di voler favorire la chiesa, e ne diverne poi acerrimo persecutore, vinto più volte dalla virtù de'nemici, fatti anche più forti dal favor del cielo, ebbe fine degno del viver suo: non trascorse gran tempo, che Costantino fu riconosciuto come unico imperatore da tutto il mondo, e si può credere ch'egli avrebbe apportato all'Italia grandi vantaggi, se la superstizione gentilesca, che regnava tuttavia in gran parte della nobiltà e del popolo romano altro si fosse il motivo, non avesse rivolto altrove i disegni di quel monarca. Un considerevole mutamento alla topo grafia del Piemonte venne fatto da questo Imperatore: Già dal romano senato il Piemonte unito alla regione traspadana era quindi stato diviso e distribuito da Augusto in parte a tale regione situata al di là dal Po per rispetto a Roma, eď in parte alla Liguria dalla destra del Po insino al mare ligustico. Aveva egli divisa l'Italia in XI regioni, di cui la Liguria era la IX e la traspadana era l'XI: aveva inoltre con

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