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Vi si scuoprono tuttavia le vestigie delle altre susseguenti linee, le quali furono collo scalpello sgraziatamente levate, per sostituirvi quest'altre: anno a Christo nato 1730. Sacellum hoc funditus erigebat P. O. C., cioè Popolus Oppidi Caralii. Al più tardi appartiene questa lapide al quinto secolo della chiesa, come lo appalesano la forma de' caratteri, lo stile, ed il vocabolo Crestianis, in vece di Christianis, vocaboli che in quel secolo furono promiscuamente adoperati; perchè lo scambio della lettera i nella lettera e, si faceva anche nei secoli della buona latinità, massimamente dalle persone rustiche. Del resto non v'ha dubbio che questa lapide fosse veramente cristiana; perchè la parola refrigerium che ivi si legge, non si usò, per quanto da noi si sappia, nel buon secolo della lingua latina, nè da alcuno de' gentili latini scrittori i quali dicevano refrigeratio per rinfrescamento. Quivi refrigerium vale sollievo, conforto, e cominciò usarsi dai cristiani in tal senso, come pure il verbo refrigerare.

VIII.

Radunanza di parecchi vescovi in Torino circa il 400.

Nell'anno 397, secondo il Baronio, o nel 401, giusta il Sirmondo ed il Labbeo, nel dì 22 di settembre si tenne in Torino un sacro concilio provinciale, a cui intervennero non meno di venti vescovi per la più parte italiani. Crediamo di far cosa gradita ed utile ai nostri leggitori, e specialmente ai Torinesi, riferendo le principali particolarità di questo sinodo, che fu convocato sotto gli auspizii del papa s. Siricio; sì perchè vi si vede una prova del florido stato in cui già da quel tempo trovavasi la chiesa della nostra capitale, sì perche le gravi materie proposte in quel sinodo vennero discusse e difinite con ammirevole senno e moderazione.

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Fu esso raunato ad istanza di alcuni vescovi delle Gallie, i quali erano venuti in controversia sopra i diritti della loro` sede primaziale e metropolitana; ed alcuni di loro v'intervennero eziandio, affinchè tali controversie più facilmente, e in più breve tempo si componessero. Otto furono i decreti di quel sinodo sopra le vertenze proposte e discusse.

Il primo riguarda Proculo vescovo di Marsiglia, il quale, sebbene della provincia di Vienna nel Delfinato, pretendeva di essere metropolitano della seconda Narbonese, perchè le chiese della seconda provincia di Narbona dipendevano nei tempi anteriori dalla sede di Marsiglia, che ne aveva ordinato i primi vescovi. All'incontro sostenevano i vescovi narbonesi, non dover riconoscere per metropolitano colui che reggeva un'altra provincia. Il concilio volendo conformarsi agli statuti de' canoni antichi, e ristabilire la pace tra le chiese dissidenti venne ad un giudizioso temperamento, ordinando che Proculo conseguirebbe bensì la primazia che domandava, ma solo a titolo di un privilegio personale da concedersi alla sua grave età, ed al particolare suo merito, e non come un diritto alla sua sede; che però, dopo la morte sua, le cose ritornassero nell'ordine comune; e su di ciò opportunamente osserva il P. Semeria, che Proculo in qualità di deputato de' vescovi delle Gallie, era intervenuto con sant'Ambrogio al concilio di Aquileja, nel 381; e che dello stesso Proculo scriveva con molta lode s. Girolamo, chiamandolo in una delle sue epistole un santo e dottissimo prelato.

Simplicio, primate della provincia di Vienna, propose di aver diritti di metropolitano sopra il vescovo d'Arles, che dal canto suo dichiarò di non volerne essere suffraganeo, ed anzi appartenere ́alla sua sede la dignità primaziale, per essere egli successore di s. Trofino, il quale da' tempi apostolici aveva apportato a tutte quelle provincie la luce del vangelo. Il concilio, giudicando non abbastanza fondate le ragioni del vescovo d'Arles, decise doversi esaminare quale delle due città contendenti, se Arles o Vienna, avesse i diritti di metropoli nell'ordine civile e politico: riconosciuta 'sotto questo rispetto la città metropolitana, il suo vescovo fosse il primate di tutta la provincia, con facoltà di consacrarne i vescovi e visitare le loro chiese. Soggiunsero per altro i Padri del concilio, che per l'amore della vicendevol pace e carità, tanto necessaria particolarmente nel ceto episcopale, potrebbe frattanto ognun di essi in qualità di metropolitano visitare le chiese più vicine alla propria diocesi. la conformità di questo saggio decreto, i due vescovi di

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buon accordo si divisero tra loro la provincia; ebbero ciascheduno simil diritto e titolo; e questa convenzione si conservò invariabilmente d'allora in poi sino al fine del secolo passato, cioè sino alla terribile rivoluzione della Francia.

Nel sinodo di Torino, di cui parliamo, si trattò anche l'affare di quattro vescovi, Ottavio, Ursione, Remedio e Triferio, i quali erano stati accusati di aver commesso diverse gravi mancanze nelle sacre ordinazioni: non si sa di certo quali fossero le sedi di questi quattro vescovi; si crede per ́altro comunemente che fossero situate nella seconda pro'vincia Narbonese. Questi prelati non niegarono ai PP. di quel concilio le colpe di cui vennero accusati, ma si scusarono dicendo di non essere mai stati avvertiti delle colpe commesse con qualche monizione. Questa scusa fu accettata, e perciò non venne loro inflitta alcuna pena; ma si stabill che se mai per l'avvenire alcuno di quei vescovi tornasse a violare gli antichi decreti della chiesa, resterebbe privo delle facoltà dell'ordine episcopale e del diritto de' suffragi nel concilio; e che riguardo ai sacerdoti ordinati fuori delle regole, sarebbero privati dell'onore del sacerdozio. Il sinodo confermò quindi la sentenza pronunciata dal vescovo Triferio contro il prete Esuperanzio, che aveva oltraggiato il suo pastore, e contro ad un laico per nome Palladio, il quale aveva calunniato il sacerdote Spano. Si riservò a Triferio la facoltà di usar grazia ad Esuperanzio, e di restituirgli la sacra comunione, da cui era stato escluso per diverse altre mancanze contro la disciplina ecclesiastica.

Tra i deputati delle chiese gallicane presenti a questo concilio, si trovarono quelli di Felice vescovo di Treviri, il quale era stato ordinato dagli Hacciani. Il papa s. Siricio, e s. Ambrogio non solamente avevano ricusato la comunione di lui, ma eziandio dichiarato che avrebbero ricevuto nella comunione della chiesa tutti quelli che avessero voluto separarsi da esso. Le lettere di s. Siricio e di s. Ambrogio furono lette nel concilio alla presenza dei deputati di Felice, ed unanimamente approvate, e quindi secondo le medesime si stabilì che la comunione della chiesa non si concederebbe mai a quelli che persistessero nella comunione di lui.

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Gli ultimi canoni del sinodo ragguardano a due altri punti di ecclesiastica disciplina; cioè la proibizione fatta ai vescovi di ammettere nella propria diocesi i chierici ed i sacerdoti che da un altro vescovo fossero stati scomunicati, e di promuovere agli ordini maggiori quelli che avessero ricevuto illecitamente i minori, o che nel tempo in cui erano addetti al servizio degli altari avessero conosciuta una donna, da cui fosse nata prole: questo canone che intimava la punizione all'incontinenza de' chierici, fu posteriormente confermato dal concilio di Ries, nel 459, e da quello di Orange, nel 441; e l'uno e l'altro citano il sinodo di Torino, alle cui decisioni interamente si conformano.

Il benemerito P. Semeria, dopo aver riferito questi importanti decreti del sinodo di Torino, si mostra grandemente maravigliato, che Eugenio di Levis, del quale son note le stranezze, abbia asserito in una sua lettera, stampala il 9 d'aprile 1792, che la storia del concilio torinese non è appoggiata ad uno stabile e sicuro fondamento; e per ∙sostenere questo suo paradosso, osa sprezzare l'autorità di molti uomini dottissimi, i quali qual più qual meno parlarono di questo concilio tenuto in Torino e furono essi Baronio, Reinaudo, Sirmondi, Pagi, Natale Alessandro, Elia Dupinio, Baluzio, Fleury, Labbeo, Mansio, Colletti, e varji altri.

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IX.

S. Massimo primo vescovo di Torino.
Suoi principali fatti a pro dei Torinesi.

L'Ughelli nomina primo vescovo di Torino un san Vittore, e suppone che questi vivesse sul principio del secolo iv, Ossia nel 310: egli distingue due vescovi di nome Vittore, e due del nome di Massimo, dai quali sarebbe stata governata la chiesa torinese; anche il Meiranesio abbracciò la stessa opinione. Ma il Tillemont storico fornito di molta dottrina, e di ammirata critica, si mostra molto inclinato a credere che un solo vescovo di nome Vittore abbia retto la chiesa di Torino, cioè quello che fu posteriore a s. Massimo, e fioriva verso il fine del secolo xv. Lo stesso dotto

storico opina con fondamento che la torinese contrada fu da principio compresa nella vastissima diocesi di Milano, da poi in quella di Vercelli, e che finalmente sul cominciare del secolo v, la città di Torino abbia avuto il suo primo vescovo nella persona del grande s. Massimo. Quest'opinione di Tillemont ci sembra la più verosimile; perocchè s. Massimo parlando con somme lodi di s. Eusebio vescovo di Vercelli, lo chiama padre e pastore che rigenerò in Cristo i Torinesi : afferma esser eglino debitori a lui dello splendore dell'ordine sacerdotale, dell'ortodossia della fede, della purità dei costumi, e checchè altro di religioso dirsi voglia, il tutto essere derivato dallo zelo e dalla predicazione di s. Eusebio ; e il sermone, in cui s. Massimo apertamente disse queste cose, fu da lui recitato in Torino: quidquid in hac sancta plebe potest esse virtutis et gratiae, de hoc quasi quodam fonte lucidissimo omnium rivulorum puritas emanavit; e certamente s. Massimo non avrebbe potuto qualificare i Torinesi che lo ascoltavano per figliuoli di Eusebio, se questo santo non fosse giammai stato proprio loro pastore. Al che si arroge, ove prima di lui un Vittore avesse occupato la episcopal 'sede di Torino, ne avrebbe certamente parlato coi dovuti riguardi; e poichè in nessun luogo delle sue opere si vede far cenno di alcun suo predecessore per nome Vittore, vie più ci persuadiamo che prima di lui î Torinesi ragguardassero s. Eusebio come loro vescovo e padre.

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Nè si dee temere che la chiesa di Torino perda del suo lustro, quando dicesi che ne' più rimoti tempi appartenne alla sede di Vercelli; perocchè abbastanza antica e splendida essa dee riguardarsi da chiunque si ponga mente che nel principio del secolo v cominciò ad aver la sede episcopale, e che la serie de' suoi pastori comincia da s. Massimo, il cui nome sommamente risplende nei fasti della chiesa : giacchè di lui parlano con grandissimi encomii Tritemio, Sigeberto, Genebrardo, Onorato, Baronio, Bellarmino, e molti altri scrittori, da cui egli fu chiamato l'oracolo della verità. Con l'opinione di Tillemont perfettamente concorda quella de' Bollandisti, i quali con tutta sicurezza affermano non aver essi prima di s. Massimo veruna certa memoria di alcun altro vescovo torinese, non di un Vittore, nè di qualsivoglia altro.

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