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Molto vasta fu la primitiva diocesi di Torino, giacchè, secondo il Meiranesio, dalle alpi marittime, ossia dal colle di Tenda, stendevasi sino all'Orco, e dalle alpi Cozie tutta la pianura che è bagnata dal Po sin sotto al Tanaro, là ove non lungi da Cherasco lo Stura col Tanaro si congiunge. Dal che si vede quanto ampia messe a raccogliere la provvidenza di Dio avesse destinato a s. Massimo; e vedremo com'egli nel suo lungo pontificato, facendosi tutto a tutti, lo compiè con quel maggior zelo, e con quel più copioso frutto che sperar si potesse da un uomo veramente apostolico; ma perchè non sia scemata la lode e la riconoscenza che ben si merita un così grande Pontefice, è bene che si tolga di mezzo un error popolare, secondo il quale, il supposto s. Vittore, già prima di lui avrebbe governato l'estesa diocesi torinese; un siffatto errore si conserva in non pochi, i quali prestano fede a quanto dice un'iscrizione, che leggesi da gran pezza sulla facciata della chiesa di s. Silvestro in Torino, ristaurata dalla confraternita dello Spirito Santo: noi riferiamo le parole di quest'iscrizione, unicamente perchè si vegga non doversele prestare alcuna fede: Dianae olim profanam aedem quam D. Victor Taurinensium primus antistes D. Sylvestro recens mortuo rite expiatam dicavit societas Spiritus Sancti divino amori jam sacram magnifice restau1 rabat anno MDXCIV.

È bene che si ponga mente a ciò che osserva il Meiranesio per riguardo a siffatta lapide: essa, dice questo erudito, è troppo moderna, per poterne trarre un valido argomento. Il culto del papa s. Silvestro, ivi nominato, non cominciò, secondo il cardinal Bona, se non dopo il 400: il supposto s. Vittore, che ivi è accennato come primo vescovo di Torino, se pure fu al mondo, sarebbe mancato ai vivi circa al 350, cinquanta e più anni prima che il papa Silvestro avesse come santo venerazione nella chiesa. Il perchè nessuna fede merita un' iscrizione, che contiene così enormi anacronismi. Il pontificato di s. Massimo, che noi crediamo essere stato il primo vescovo di Torino, cominciò circa il 415, secondo il parere di storici molto accreditati, e conforme alle parole di Gennadio, il quale francamente asserisce essere vissuto questo gran vescovo a' tempi degl'imperatori Onorio e Teo9 Dizion. Geogr. ec. Vol. XXII.

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dosio ora Onorio regnò sino all'anno 423, e Teodosio nipote di lui, dall'anno 402 sino al 450. Al desiderio di chi bramasse sapere quale sia stata la patria, e quali siano stati i genitori di s. Massimo, non possiam satisfare, perocchè sono cose tuttavia sconosciute. L'Ughelli crede che questo gran santo abbia ricevuto la sua prima educazione letteraria e religiosa da un Willibergo, vescovo di Mastricht, o di Utrecht; ma questo vescovo non è conosciuto nè da Sammartani, nè dal Tillemont: altri credettero che Massimo abbia avuto i natali nella Toscana; ed altri, tra i quali è da noverarsi il Meiranesio, dicono ch'egli nacque in Piemonte, e che prima d'essere stato eletto vescovo appartenesse al clero di Vercelli.

Appena che s. Massimo venne eletto a reggere la chiesa di Torino, rivolse immantinente le sue sollecite cure a sbandir affatto dall'animo de' torinesi, e degli altri suoi diocesani ogni specie di superstizione, la quale in molti rimaneva ancor profondamente radicata. Dalla vita che ne scrisse l'insigne editore delle opere di s. Massimo, risulia, che una sera essendosi ecclissata la luna, si udì nelle contrade di Torino un confuso gridare del popolo, che giunse alle orecchie del santo Pastore, ancorchè egli se ne stesse ritirato nella sua cella: avendo voluto saper la cagione di tanto strepito, gli fu risposto che, oscurata la luna da una ecclisse, pensava la plebe di compatirla e soccorrerla, quasi si trovasse in grandissimo travaglio. Una tanto strana superstizione eccitò lo zelo del santo pastore, che nella prima omelia da lui detta al popolo torinese, così esclamò: «< 0 genti stolte ed ignoranti, e fino a quando vi andrete voi cangiando al pari della luna? Ritornerà ben essa prestamente alla sua pienezza; e non ritornerete voi mai alla vera sapienza? Perde la luna per un po' di tempo la sua luce e voi vorrete ancor perdere il lume di vostra salvezza? Riacquista quella lo splendore di cui rimase priva, e voi non ancor ritornate alla luce della fede che avete oltraggiata? No, non è colpa di quel pianeta se soggiace all'oscuramento; il danno è vostro, che vi appoggiate alle vane osservanze ».

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A malgrado del suo incessante ardentissimo zelo per isradicare dalla sua diletta Torino le riprovevoli costumanze

gentilesche, incontrò s. Massimo una grande difficoltà a far cessare l'inveterata usanza delle bestiali ed indecenti maschere nel primo giorno di gennajo: chè solevano in quel giorno molti torinesi, uomini e donne, trasformarsi in sembianza di bestie, o disguisarsi in modo osceno e scandaloso, e andando quai forsennati per le contrade, proferendo parole che non dovrebbero mai uscire dalla bocca de' cristiani; ond'è che nella sua omelia XVI de Kalend. Jan., così tuonò dal pergamo: « qual maggiore pazzia di quella che usate voi nel trasformarvi in sembianza di fiere e di pecore, di voi, io dico, che da Dio siete creati a sua imagine? Qual vanità più insoffribile che difformare quel volto che Iddio si degnò di fabbricare colle proprie mani? Qual più detestabile sciocchezza che sciogliere la lingua a proferire parole sconce ed oscene, e far tutto al rovescio di quel che far si dovrebbe? >>

A malgrado dei tanti ostacoli che vi si opponevano, massime per parte dei gentili che ancor non si erano convertiti in questa città, e che facevano ogni sforzò per distruggere, od almeno affievolire i frutti della predicazione di un sì gran vescovo, ben si può dire ch'egli ebbe la consolazione di vedere, verso la metà del quinto secolo, pressochè estinta in Torino la idolatria: ma egli era dolente vedendo ch'essa mantenevasi ancora nelle ville, ne' borghi, e nelle meno grandi città subalpine; e lo stesso disordine continuava pure, e continuò ancora per assai tempo, se non nelle terre subalpine, al certo in altre rimote contrade. Egli è noto che per le leggi de' cristiani imperatori, essendosi chiusi i templi degl'idoli, i gentili si ritirarono nelle ville, donde specialmente poscia appellaronsi pagani. A' tempi di Onorio imperatore, l'idolatria non era per anco dai Paghi intieramente sradicata; a tal che s. Agostino Ser. VI de Verb. Dom. dice: multi pagani habent istas abominationes in fundis suis. Lo stesso raccogliesi dal canone 15 del concilio V cartaginese, celebrato circa que' tempi.

Ora di questo gran male dolevasi altamente anche s. Massimo, come apparisce da due suoi sermoni, ricopiati la prima volta dal Muratori da un codice della biblioteca ambrosiana, ne' quali quantunque non si trovi espressamente

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nominata Torino, si dee tuttavia credere, che siano stati detti in questa città, di cui era vescovo s. Massimo, il quale sebbene da Gennadio si asserisca morto prima del 425, parecchi dottissimi scrittori fondatamente, stimano, ch'egli sia vissuto oltre l'anno 465: quelle due omelie furono, da lui intitolate de idolis auferendis de propriis possessionibus. Il santo vescovo era profondamente addolorato, che molti della plebe, i quali si erano dispersi ne' villaggi e nelle campagne, ivi adorassero ancora le false divinità, e facessero abbominevoli sacrifizii per implorare l'abbondanza della messe e delle vendemmie; e siccome non poteva accorrere, in persona a tutti i luoghi, ove siffatte abbominazioni si commettevano, esortò vivamente nelle anzidette omelie i padroni de' poderi che abitavano in Torino, accioc chè sterminassero dalle loro terre quegli empi sacrifizii, e togliessero dai contadini la materia di tanti sacrilegi. In una delle anzidette omelie così cominciò a parlare: Ante dies commonueram charitatem vestram, fratres, ut tamquam Religiosi, et Sancti Idolorum omnem polutionem de vestris possessionibus auferetis, et erueritis ex agris universum Gentilium errorem. Fas enim non est, ut qui Christum habetis in cordibus, Antichristum in habitaculis habeatis, cum vos Deum adoretis in Ecclesia, vestri ·Diabolum venerentur in fanis. E continuando a rimproverare i padroni dei poderi, che permettevano siffatte abominazioni, non vogliate, disse, scusarvi dalla colpa con dirmi di non aver ciò mai comandato, perchè basta sapere che nelle vostre possessioni si commettano sacrilegi, e voi non averli impediti per essere colpevoli voi medesimi. Nè vogliate pensare che questi insegnamenti vengano dal privato mio giudicio, no, sono, anzi chiaramente stabiliti dall'apostolo s. Paolo, il quale vi rende certi che reo di colpa mortale è non solamente colui che opera tali cose, ma eziandio chi vi consente e concorre, massime quando le può impedire. Accusa quindi i suoi cittadini quasi d'intelligenza co' pagani nella idolatria, e poi descrive con vivissimi colori i sacrifizii, che que' pagani usavano fare. Rappresenta in ispecial, modo un dianatico, o sacerdote di Diana, a cui gli antichi popoli del Piemonte prestavano superstizioso culto, e che ancora prestavasi a'suoi tempi nelle torinesi campagne. La ragione

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per cui la sciocca gentilità usava offerire sanguinosi sacrifizii, e che gli stessi dianatici, o sacerdoti di quella bugiarda divinità, usavano ferir se medesimi, come ci descrive s. Massimo, derivò probabilmente dall'opinione tra i gentili comune che Diana molto si compiacesse dell'effusione del sangue umano; onde Cassiodoro esclamò, o miserae deceptionis errorem, illam desiderasse colere, quae hominum morte placabatur! ed è perciò che a questa dea fu data la presidenza de' giuochi de' gladiatori e delle caccie.

Orribile veramente è la pittura che fa s. Massimo di un Dianatico che si atteggia per compiere un sacrificio alla sua dea; talis sacerdos, ei dice, parat se vino ad plagas Deae suae, ut dum est ebrius, poenam suam miser ipse non sentiat; continua descrivendo, come abbigliavasi un tal sacerdote: est ei adulterinis criniculis hirsutum caput, nuda habens pectora, pallio crura® semicineta, et more gladiatorum paratus ad pugnam ferrum gestat in manibus, nisi quod gladiatore pejor est, quia ille adversum alterum dimicare cogitur, iste contra se pugnare compellitur.

Ma il santo vescovo nella seconda delle anzidette omelie rallegrasi coì Torinesi, che essi avevano già fatto buon uso de' suoi sermoni, ed in ispecie dell'antecedente, con cui volle purgare i loro animi da ogni macchia d'idolatria ; gli accusa per altro di non essere stati ancora abbastanza solleciti a far sì che i loro rustici e contadini intieramente abbandonassero il culto degl'idoli; le sollecite sue cure a questo riguardo furono indi a non molto coronate di buon successo; ma presto ebbe ad affaticarsi per impedire che i Torinesi e tutti i suoi diocesani cadessero in altre perniciosissime iniquità. Il secolo, in cui egli visse, fu veramente fecondo d'uomini virtuosi, ma il fu ben anche d'uomini tristissimi. La pace della chiesa, la quiete degli animi, l'ozio delle lettere, la soavità degli studi, parea che dovessero arrecare i più grandi vantaggi alle popolazioni; ma la cu riosità soperchia di molti ingegni guastò l'evangelica semplicità. Non pochi si posero a rassottigliare la schiettezza dell'apostolica dottrina con ingegnose cavillazioni; e de' proprii sogni formando nuovi dommi, perdettero la verità col cercarla. Si risvegliò allora la setta di Manete, che quantunque pagano, di molti dommi cristiani, confusi coi genti

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