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essa. Trovaronsi di prima giunta nel paese degli Alani; ma ivi non trovando cosa alcuna che allettasse la loro cupidità, spingendosi oltre, vennero addosso a que' Goti che abitavano verso il Danubio. I Goti, spaventati dalla subita incursione di così strana gente, si gettaron fuggendo alle rive del Danubio, supplicando d'essere accolti nelle terre de' Romani, per non restar preda de nuovi assalitori. Portato l'avviso all'imperator Valente, dopo varie dispute e consultazioni per determinare qual fosse il partito da prendere in siffatta occasione, si conchiuse nel consiglio di questo Imperatore, che dovevansi ricevere i Goti con certi patti e condizioni; ma i ministri e gli ufficiali suoi eseguirono così male dal canto loro le concedute condizioni, che i Goti, spogliati e ridotti a somma miseria, e quasi a termini di morirsi di fame, da amici che erano, in breve tempo divennero nemici tanto più da temersi in quanto che essi trovavansi armati nelle viscere dell'impero. Valente, che sulla fiducia di questi prodi forestieri aveva imprudentemente trascurate, sminuite e scontentate le milizie romane, venuta la guerra con questi Goti, vi perdè l'esercito e la vita, e lasciò il suo stato nel peggiore scompiglio che fosse mai.

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Ciò non pertanto i Torinesi e gli altri popoli della Gallia cisalpina godevano piena e perfetta pace sotto Graziano Augusto, che reggeva lo stato a nome del minor suo fratello Valentiniano II, il quale, sebbene ancor si trovasse nella fanciullezza, venne acclamato Imperatore dall'esercito, da cui si temeva che qualcuno volesse occupar Kimperio. Graziano, uomo di grande saggezza, approvò l'elezione, quantunque si fosse fatta senza il suo consenso; ed ebbe sempre in luogo di caro figlio il giovinetto fratello, col quale o incontanente dopo che l'ebbe riconosciuto per collega, o qualche anno dappoi, divise le provincie occidentali; per la qual divisione la città di Torino, e tutta l'italiana penisola restarono a Valentiniano II, il quale resse lo stato sotto gli auspizii e la direzione di Graziano, che fu il primo tra gli Imperatori, in cui la religione cristiana conservasse sodi e visibili gli effetti suoi. In questo mezzo vacò l'imperio orientale per la morte infelice di Valente, arso vivo presso An

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18 drinopoli dai Goti, i quali poscia, senza trovare ostacoli, scorsero e predarono insieme con altre barbare nazioni la Tracia, la Macedonia, la Grecia con tutta quella parte del dominio romano, mentre correva l'anno 375. Graziano, che già era stato parecchi anni avanti creato augusto e collega del padre, e alla morte di questo di fatto e di ragione a lui ricadeva l'imperio di tutto l'occidente, aveva pure il diritto e l'obbligo di provvedere allo stato, divenuto vacante per la morte di Valente che non aveva lasciato alcun successore ; ed egli non credette di poter meglio ricomporre le cose di oriente, che coll'assumersi per collega Teodosio, di virtù conosciuta, e di età fresca e vigorosa; ma questi commise il grave errore di disarmare quasi affatto le antiche truppe, e di affidare ai barbari le forze e la difesa dell'imperio, formando gli eserciti di loro soli, e dandone il comando ́ai capitani della loro nazione. Ma dacchè Valente avea dato ricetto nelle terre dell'imperio a que' barbari, non restava nè a Teodosio nè a Graziano altro partito che cercare di riconciliarli ed affezionarli all'impero. D'altra parte è ben certo che i Goti e gli Alani, e tutti quelli, o Alemanni Sciti, che vennero allo stipendio degli Imperatori, erano migliori soldati che non poteano essere i Romani a quel tempo generalmente ammolliti e corrotti. Vera cosa è, che per non dar troppo potere a cotesti stranieri, sarebbe convenuto o frammescolarli con soldati nazionali, o lasciarne il principal comando a' Romani; ma è anche vero che in quell'epoca gl'Imperatori avevano maggior motivo di diffidare dei generali romani, che de' barbari condottieri. Ma il tempo fatale della caduta di sì vasto imperio si avvicinava, e contro le disposizioni della divina provvidenza niun riparo valeva.

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In tal condizione di cose Graziano attese a guadagnarsi l'animo degli Alani, che in gran numero dovevano essere al suo servizio, e gli adoperò utilmente nelle guerre che fece contro i Germani. La i Germani. La malvagità di alcuni pochi, o forse di un solo rendè funesta e rovinosa la gelosia dei Romani contro dei forestieri, cui vedevano sibbene accolti dall'Imperatore. Magno Massimo per invidia ed ambizione fomentò i cattivi umori che scuoprì ne' soldati romani, e li 10 Dizion. Geogr. ec. Vol. XXII.

fece scoppiare in aperta ribellione. Ucciso in questo am mutinamento il buon Graziano, Massimo ottenne molto agevolmente (an. 583) il titolo di augusto. Valentiniano, ancor fanciullo, non che potesse vendicar l'ucciso fratello, e ritogliere all'usurpatore le mal occupate provincie, ebbe per gran mercè di riconoscerlo per collega; e Teodosio, che aveva troppo che fare in oriente, approvò, o ne fece almeno le viste, l'esaltamento di Massimo: e benchè le tre corti di questi Principi fossero piene di sospetti, pure si passarono alcuni anni in mandarsi ambascierie reciproche, ora uffi» ciose, ora minaccievoli, secondo che si temeva o si prendea vigore da una parte e dall'altra. Fu sant'Ambrogio vescovo di Milano più volte adoperato in queste legazioni; primo esempio della parte che poi ebbero i vescovi a' tempi seguenti nel maneggio delle cose politiche, massime nell'occidente. Giustina augusta, madre del giovane Valentiniano, governò a nome del figliuolo tranquillamente l'Italia ; non erano senza timore nè il santo vescovo di Torino, nè quel di Milano, perchè ella, imbevuta degli ariani errori, dava ad essi e agli altri prelati italiani qualche travaglio; ma ella, vedendo la superiorità del suo nemico sen fuggì insieme col figlio, e l'Italia rimase soggetta a Massimo, finche Teodosio venutogli incontro ne sconfisse l'esercito in una fiera pugna, nella quale fu spento l'usurpatore; sicchè la nostra penisola ritornò sotto il governo del giovine Valentiniano.

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Ma alcuni perniciosissimi effetti derivarono dalla ribellione di Massimo, e di tali danni il più grave fu l'aver egli ́esposto, più che non erano state per l'addietro, le provincie romane agli assalti degli alemanni, dei quali, in sul principio del suo usurpato governo, avea comprato l'amicizia e l'alleanza. Con la fiducia di tale ajuto, trattava Massimo alteramente Valentiniano, minacciandolo ad ogni ora di mandargli addosso in Italia un esercito di barbari, dei quali avea certamente un gran numero anche nelle sue legioni. Queste cose crebbero baldanza a quelle nazioni, le quali, conosciuti i disordini che travagliavan l'imperio, poterono argomentar facilmente che a loro discrezione stava la sorte de' cesari. Intanto i Goti gli Alani, i Franchi, e gli altri

barbari ricevuti al soldo non meno degli Imperatori, che dei tiranni, formavano la maggior parte delle loro forze, e tra gli uffiziali di Teodosio e del giovane Valentiniano, Ꭵ più riputati erano barbari. Or avvenne che Arbogaste, franco di nazione, generale di Valentiniano, dopo aver tenuto questo Principe come suo pupillo, ed anzi come schiavo, finalmente lo fe' trucidare, e diede il titolo e la corona impe riale ad Eugenio, ritenendo per altro tutto il comando e tutta l'autorità del governo in sua mano. Vero è che Arbogaste ed Eugenio furono vinti e spenti dalle armi di Teodosin, il quale, sebbene avesse la sua corte ed i suoi eserciti pieni di barbari, potè col suo senno mantenersi obbediente ed ossequioso ognuno, e tutto l'imperio sottomesso ed unito.

Onorio per diritto delle conquiste del padre succedette a Valentiniano II nell'impero d'occidente, e particolarmente dell'Italia. La sua esaltazione al trono rallegrò sommamente i santi e gloriosi vescovi di Torino e di Milano, non che i loro buoni diocesani, ai quali era noto come Onorio fosse pio e zelante cattolico; tanto più che questo novello Imperatore aveva per que' due Pontefici, e massimamente per 6. Ambrogio, da cui era stato istruito nella religion cristiana, la più grande venerazione, ed il più affettuoso rispetto. Crebbe poi di molto la letizia dei Torinesi e dei Milanesi, allorchè Onorio si adoperò con ammirabile fermezza d'animo a distruggere gli ultimi avanzi dell'idolatria in Roma, e a reprimere in tutti i luoghi del suo dominio l'insolenza degli eretici, e massime degli Ariani, dai quali era ancor tribolata Milano con grande cordoglio dei veri cattolici. Ma all'educazione religiosa data da s. Ambrogio ad Onorio, non corrispose quella datagli da coloro che furon lasciati da Teodosio ad istruirlo negli affari di stato. Questi educatori e consiglieri d'Onorio, conosciuta la sua inclinazione alla pietà, si mostrarono anch'essi affezionati alla religione per guadagnarsene l'animo: pur troppo è vero che Onorio fu perpetuamente giuoco e ludibrio de' suoi consiglieri; e si mostrò non meno debole in lasciarsi governar da loro, finchè si mantenevano nella sua grazia, che sconsigliato e precipitoso a rovinarli, allorchè una volta avea co

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minciato ad aprir le orecchie alle accuse o calunnie degli invidiosi.

Stilicone trovandosi appresso di questo Imperatore governò con tanta destrezza e con tal vigore gli affari di guerra e di pace, che dee contarsi tra i grandi uomini dell'antichità. Claudiano, che visse al suo tempo, celebronne altamente le lodi. Una sola cosa rimane dubbiosa intorno al carattere di Stilicone, cioè la sincerità delle sue intenzioni e la sua fedeltà. Rimase questo come problema nella memoria dei posteri; e non ci abbiamo più di ragione a credere ch'egli abbia voluto usurpare al suo principe la corona, o ch'egli sia stato sacrificato ingiustamente alla gelosia ed alle calunnie d'Olimpio suo emolo, e poi suo successore nel ministero e nel favore d'Onorio. Checchè si debba credere delle buone o delle ree intenzioni di Stilicone, il fatto è pur certissimo, che mentr'egli ebbe il comando delle armi romane l'Italia scampò due volte dal pericolo grandissimo in cui si trovava di cader sotto i barbari. Tutti gli storici e profani e sacri ci fanno unanime testimonianza di due memorande sconfitte che Stilicone diede ad Alarico ed a Radagasio, il primo condottiero de' Goti, l'altro degli Unni, Ossieno Sciti. Questi due capitani assaltarono d'accordo l'ltalia verso l'anno 400, e riempierono di tanto spavento l'animo degli Italiani, che Onorio già si era partito di Ravenna, risoluto di passare le alpi e ricoverarsi nelle Gallie; ei già trovavasi in Milano quando, scongiurato e persuaso da Stilicone, venne in Asti, e deliberò di lasciarsi assediar dai nemici in questa città naturalmente copiosa di viveri, ed in quel tempo fuor di dubbio assai bene fortificata dall'arte. Alarico intanto, impadronitosi di Milano, si condusse celeremente con una parte delle sue schiere a stringere d'assedio la città d'Asti, e col grosso del suo esercito venne verso Pollenzo: delle sue celeri mosse furono atterrite le subalpine popolazioni; ed i Torinesi apprestaronsi a fargli una vigorosa resistenza, ov'egli si fosse accostato alla loro città, ma si rincorarono quando seppero che il valoroso Stilicone, disceso con prontezza dalle elvetiche terre, diede ad un numerosissimo corpo di Goti, presso di Pollenzo, una memoranda sconfitta nell'undecimo giorno d'aprile dell'anno

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