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403. I Goti furono colà sorpresi dall'impensato assalimento del prode Stilicone, perchè avendo essi abbracciato nell'oriente il cristianesimo, stavano riposando in quel giorno, nel quale ricorreva la festa di Pasqua, cui volevano celebrare, sebbene la nuova loro fede non andasse esente dall'ariana eresia.

Questa vittoria fu celebrata nelle storie, e fu scopo a bei carmi di due poeti Claudiano ed Aurelio Prudenzio. La moglie ed alcuni de' figliuoli del barbaro re Alarico e le sue nuore vi furono fatte prigioniere: un bottino grandissimo vi arricchi i romani soldati, e molti prigionieri cristiani, già caduti in mano de' crudeli nemici, vennero liberati. Così Pollenzo fu teatro di una solenne sconfitta de' barbari, e testimonio di una delle ultime glorie dei Romani. Tanta vittoria, qualche mese dopo, fu illustrata con trionfo magnifico in rendimento di grazie d'averla ottenuta; ed Onorio totalmente aboli allora lo spettacolo de' gladiatori; spettacolo, il quale, benchè già vietato da Costantino il grande, pure fu tollerato dai successori di lui, ed anche dallo stesso Teodosio, per compiacere al popolo, che se ne dilettava oltre ogni credere.

Stilicone che due anni prima aveva rotto l'esercito di Radagasio, pienamente lo sconfisse la seconda volta sotto Fi: renze; e il vantaggio che da questa vittoria trassero i Romani, parea che potesse ristorare in parte l'Italia del danno tuttavia notabile che queste ultime guerre le cagionarono, benchè abbiano avuto favorevole il fine; ma l'ora estrema, che Dio aveva prefisso alla grandezza romana, già era vicina.

Quanto più Stilicone rendevasi benemerito del suo signore e dell'Italia, tanto più i suoi emoli se ne ingelosivano, e facevano ogni sforzo per rovinarlo. Egli era vandalo, epperò ogni piccola ombra che dessero i suoi andamenti ei suoj trattati con gli altri barbari, non fu difficile a' suoi rivali il persuadere ad Onorio ch'egli macchinasse di tradirlo. Fu dunque ucciso come traditore quel gran ministro e gran capitano; e nella sua caduta l'imperio d'occidente diede l'ultimo crollo; ma se nella morte di Stilicone, a cui Olimpio suo emolo succedette nel ministero e nel favore di Onorio,

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l'Italia perdette il solo braccio che ancor restava a ritardarne la rovina, è però certo che alcuni anni prima lo stesso Stilicone avea perduto, nella morte di s. Ambrogio, l'unico sostegno della sua virtù, e il più sicuro compagno nel consiglio e nella confidenza di Onorio. Era passato da principio qualche disparere tra Stilicone ed Ambrogio; ma Stilicone, conosciuta la virtù grande e l'abilità del santo vescovo nelle cose di governo, ne concepì grandissima venerazione. Dal che nacque probabilmente, che i primi anni del suo ministero furono meno soggetti a rimproveri e a sinistre interpretazioni (Paulin. in Ambrosii vita cap. 44 e 45).

Olimpio, dopo la morte di Stilicone, governò in modo assai lodevole ed il debole Imperatore, e le miserabili reliquie dell'imperio occidentale: ma presto perdette la grazia del suo signore, e in processo di tempo anche la vita. Giovio, che fu allora innalzato alla dignità di ministro, non potè mantenersi che per poco tempo in questa rilevante carica. E mentre costoro l'un dopo l'altro disponevano con potere assaluto delle cose d'Onorio, Alarico, entrato di bel nuovo in Italia, facea tremare il senato di Roma e la corte di Ravenna.

Trovavasi Alarico sulle coste della Dalmazia (an. 402) allorchè intese la morte di Stilicone; e conoscendo bene che mancato costui, piccolo ostacolo poteva incontrare in Italia, si avanzò verso Roma, la quale, stretta di forte assedio, fu forzata di accettar le condizioni che al general barbaro piacque d'imporre; ma Onorio andò frapponendo dubbii e dilazioni a confermar la pace, per cui il senato di Roma aveva spedito ambasciatori a Ravenna. Alarico offeso da questi indugi dell'Imperatore, si voltò di nuovo contro Roma, per condizione della pace volle che il senato 'eleggesse un altro augusto in luogo di Onorio. Fu pertanto creato imperatore Attalo prefetto della città. Il principale articolò di quell'accordo fu che Alarico dovesse esser generale del nuovo augusto. L'Italia frattanto si trovava in gran turbazione, non sapendo dichiararsi per l'uno o per l'altro de' due Imperatori che teneva nel seno. Ma il terrore delle armi de' Goti non permise lungo spazio di tempo a deliberare. S'inta volarono alcune pratiche d'accordo: l'enorme imprudenza dei mi

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nistri d'Onorio fece sì che questo Imperatore cadde in nnove discordie con Alarico, il quale tornò per la terza volta ad assediar Roma; ed entrato dentro vincitore, le lasciò dare un orrido sacco alle sue genti, le quali, cariche d'im-. menso bottino, se ne partirono dopo diciotto giorni, e portarono orrendo guasto alle contrade d'intorno.

Ma nel 408, cioè un anno prima dell'orribile sacco di Roma, i Goti, sotto la scorta di Alarico, già erano entrati, in tutte le città dell'Emilia, tranne Bologna; avevano anche percorso le varie terre dell'alto Piemonte, incutendo il terrore alla città di Torino, capitale di quelle; ma sembra che il gotico furore abbia fra noi avuto per iscopo principale di prendere una fiera vendetta di Pollenzo, la quale forte città fu da essi furiosamente presa e mandata in fiamme. Se prestassimo fede al Pingone ed al Tesauro, i Torinesi, mentre ardeva Pollenzo, presi dallo spavento si sarebbero in gran numero salvati oltre il Po, e la loro città sarebbe anche da quei barbari stata rovinata; sarebbero allora cadute le sue mura e le alle torri, atterrati i nobili palagi, seppelliti i marmorei sepolcri, abbattute le statue, ostrutti gli acquedotti, distrutto il teatro; e i fuggiaschi cittadini, allontanatisi così fieri nemici, si sarebbero costrutti nuovi alberghi per uso, e non per pompa. Avrebbero rifabbricato i loro templi, meno splendidi, ma più devoti, e ridotto l'ampia sfera delle antiche mura in piccol quadro, colla speranza che per la fertilità dei loro campi, pel valore de' suoi Principi, e per la pietà del cielo, la loro patria dovesse un giorno ritornare alla primitiva sua grandezza e magnificenza. Ma noi abbiam motivi di credere che quella distruzione e riedificazione di Torino fossero sogni di que' due troppo creduli scrittori, le cui opere contengono bensì alcune cose da tenerne conto, ma per lo più ci narrano fatti erronei, e ridicole fiabe.

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Frattanto, a malgrado di tanti disastri, Onorio conservava ancora la corona imperiale, e dopo molti anni moriva con la corona ferma sul capo. Ma uno stato bene stabilito ed antico appunto come un vecchio edificio, a distruggere il quale, tanto d'opera si richiede, a proporzione, quanto se ne pose ad innalzarlo; e quantunque sia sdrucito e fesso e rotto, e

da tutte le parti minacci rovina, nondimeno, per ridurlo al niente, raderlo al suolo, e fabbricarvi di sopra un'altra inole, vuolsi ancora assai di tempo e di fatica. Ed è perciò che l'imperio d'Italia, il quale da Diocleziano in poi s'andò del continuo distruggèndo e rovinando, prima che fosse dalla forza de' barbari del tutto annientato, passò altrettanto quasi. di tempo che ne corse da Augusto sino all'elezione di Diocleziano. Se non che l'Italia non ebbe altro frutto dalla len -. tezza della sua rovina, di quel che n'abbia un robusto malato da una lunga agonia.

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Dopo la morte di Alarico, riebbe Onorio il dominio tutte le italiche terre; e certo non apparì mai più visibilmente, quanto di forza abbia per se stessa l'autorità legittima a sostenersi contro gli sforzi delle ribellioni, ed eziandio. contro gli assalti de' nemici stranieri; perciocchè Onorio, dopo tanti sollevamenti e tante scorse d'innumerevoli truppe di barbari, morì pacificamente sul trono.

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Vuolsi notare che Placidia, sorella d'Onorio, contribuì moltissimo alla salvezza del fratello. Costei, venuta, non si sa ben come, in mani d'Alarico, rimase, dopo la morte di questo barbaro, in potestà di Ataulfo suo cognato e successore nel comando de' Goti: questi si mostrò sommamente invaghito di quella Principessa, la quale vedendosi trattata molto onorevolmente da Ataulfo, è da credere che gli abbia insinuato sentimenti di pace e d'amicizia verso d'Onorio e che a persuasione di lei s'inducesse il barbaro a sgombrare l'Italia, com'egli fece veramente. Fatto è che Ataulfo, a malgrado di ogni rimostranza in contrario sposò Placidia, la quale, dopo la morte immatura di lui, avvenuta nell'anno 421, si rimaritò con Costanzo, che ottenne il titolo di Augusto, e già pareva che dovesse in lui e ne' suoi posteri fermarsi e ristabilirsi l'imperio, se non di tutto l'occidente, almeno d'Italia, non ostante che Teodosio ricusasse di approvare la sua esaltazione. Già egli aveva avuto da Placidia una figlia, che si chiamò Onoria, ed un figliuol maschio, che fu Valentiniano III. Ma egli morì un anno dopo il suo innalzamento alla dignità imperiale, e i dissapori che nacquero tra Placidia ed Onorio disturbarono non poco codesti buoni incominciamenti; a tal che Placidia co' suoi figliuoli credette

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di ritirarsi a Costantinopoli; e appena ella sen partì· d'ltalia, Onorio mancò di vita.

O la dignità imperiale era già tanto in dispregio appresso i capitani, che più non si curavano di ottenerla, o veramente niùno era tra i generali d'occidente che alla morte d'Onorio avesse tanta riputazione appo il senato e gli altri ordini dello stato, che osasse cercarla, tuttochè la lontananza dei legittimi successori d'Onorio, e le travagliose circostanze dell'imperio d'oriente, ne porgesse l'occasione assai comoda. Ora un ufficiale di toga fece quello che non si curarono o non ardirono di fare gli ufficiali della milizia. Gioanni capo de' segretarii, o gran cancelliere che fosse, prese in Roma la porpora, e si fe' riconoscere Imperatore; e osò anche spedire ambasciatori a Teodosio II, affinchè questi volesse approvare la sua elezione, e riconoscerlo per collega. Se non che Teodosio non solo riprovò l'elezione di Gioanni, ma spedì tostamente in Italia due suoi generali.con. buone truppe, uno dei quali sorprese Gioanni che erasi ritirato in Ravenna (an. 425), e che a malgrado di quanto ivi fece per sua sicurezza, fu spento dopo un anno di signoria. Teodosio allora, dopo alcune pratiche di accordo con Placidia, madre di Valentiniano III, concedette sibbene che Placidia governasse a nome del di lei figlio Valentiniano, nell'occidente, ma che questo principe, giunto a matura età, desse la mano di sposo ad Eudosia, figlia di Teodosio, e cedesse al suo cugino e suocero tutto l'Illirico occidentale, che già faceva parte non piccola della stato di Onorio. Questo promise Placidia a nome del figliuolo, il quale a tempo debito effettuò la promessa. Così Teodosio pigliò per sè una ragguardevol parte dell'imperio d'Occidente, e diede l'altra a Valentiniano, quasi per dote di Eudosia..

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L'usurpazione di Gioanni, diede principio alla potenza di Aezio, ed accrebbe l'ardire degli Unni, già troppo cresciuti di forze e di baldanza. Aezio aveva invitato questi barbari a venire in Italia in favore di Gioanni; ed essi erano già pervenuti in Aquileja, quando per la morte di quell'usurpatore, Aezio si voltò subito al partito del nuovo cesare Valentiniano e di Placidia, e accorto qual era, potè persuadere gli Unni a ritornarsi indietro. Placidia credette che

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