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Sidonio Apollinare non dubitò di chiamarli i soli padroni del romano imperio; e ci incresce di dover dire, che per un così fatto allettamento i chierici, che avevano qualche capital di danaro, si diedero ancor essi al mestiero di prestatori; e si fu allora che il pontefice s. Leone Magno fu costretto di vietare ai chierici italiani le usure.

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Le necessità, le angustie dell'erario, e la gravezza delle imposizioni, da cui nascevano queste miserie de' particolari, furono cagione d'altri travagli, e quasi della perdita della civil libertà. I grandi, o per loro natura, o per avarizia indispettiti delle violenze che ricevevano dagli uffiziali del fisco, si rivoltavano poi a tribolare e tiranneggiar gl'inferiori; e perciò una gran parte di questi, rinunziando ai comodi del viver civile, ritiravansi a menar vita selvaggia in qualche angolo della campagna. Vera cosa è che a tanti interni disordini dello stato d'Italia, che l'andavano più che lentamente struggendo e consumando, già s'erano aggiunti 'gli esterni e crudeli colpi menati da forza straniera, e che finirono di esaurirne il sangue, e di prostrarla senza riparo. Le invasioni de' Goti, l'irruzione ancora più violenta degli Unni sotto Attila, le discese che i Vandali andavan facendo ́a guisa di corsari per tutte le spiagge d'Italia, e le scorrerie de' Borgognoni, degli Alani, e di altri feroci popoli stranieri, avevano spogliato d'oro e d'argento, e di tutto quanto vi si trovava di bestiame e di biade le contrade d'Italia. Ma ciò che, secondo il Muratori e il Denina, riuscì forse allora di maggior danno, si è che quei barbari venuti in Italia vi tolsero un numero infinito d'uomini d'ogni condizione, parte uccisi, parte menati schiavi; molti consumati dalla miseria per essere state loro predate le case, e non pochi andati raminghi a cercar nido e ricovero in altre lontane provincie. Del resto la rabbia degli elementi, tutta la natura parve che ancora essa cospirasse in questo tempo sciaguratissimo colle cause morali e politiche alla distruzione dell'Italia; perocchè le innondazioni dei fiumi, a cui la povertà dei comuni non potea metter riparo; e la pestilenza, che ́a'tempi del buon Antemio tolse e spense una moltitudine infinita di persone, gettarono l'italiane contrade nel fondo della miseria; e tuttavia i costumi continuavano ad essere corrot

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tissimi presso tutte le classi della società: i nobili marcivano nell'ozio, e si abbandonavano a tutti i vizii; i popolani imitavano la pigrizia e la lascivia dei grandi; i villici quasi ovunque trascuravano di coltivare le campagne; tutti abbòrrivano dalla milizia; non solo era negletta l'agricoltura, ma si trascuravano anche le arti meccaniche: i magistrati corruttibili e venali; tutti i pubblici uffiziali trascuratissimi nell'esercizio dei loro doveri; per tutte queste cose unite insieme è difficile lo immaginare in che modo e in qual altra peggiore calamità potessero mai cadere le provincie d'Italia.

In questo stato erano le cose, quando Odoacre colle milizie barbare che sotto nome di ausiliarie si trovavano nell'italiana penisola, e fors'anche con nuove forze da lui condotte dalla Germania, mosse guerra contro di Oreste e di Augustolo. Oreste non credendo di potergli resistere in campo aperto, si chiuse in Pavia, città assai forte: Odoacre assediò quella città, la prese per forza, e la diede al sacco e al fuoco; ed avuto nelle mani Oreste gli tolse la vita. Quindi si inviò a Ravenna, dove Augustolo era stato lasciato dal padre; ed entratovi senza fatica, spogliò il giovane Imperatore delle insegne imperiali, ed avendo rispetto all'età sua, il mandò nel castello detto di Luculano presso Napoli, dove lasciollo vivere in larga ed onorata prigione, con assegnamento di sei mila soldi d'oro, di cui ciascuno, secondo il Muratari, equivaleva ad una mezza dobbla di Francia, di quelle di Luigi XIV. Così Odoacre rimase senza contrasti padrone d'Italia; ed animato dall'esempio d'altri suoi pari, che con titolo di Re eransi stabiliti nelle Gallie, nella Spagna, e nell'Africa, non si curò nè di prendere, nè di dare ad altri il titolo d'Imperatore, cominciò intitolarsi patrizio per non adombrare l'imperator d'oriente, e poi si fece chiamare re d'Italia e di Roma. Subito attese ad ordinare le cose del suo regno, che si estese dalla Campagna Felice fino alla sommità delle taurine alpi; e siccome ben conobbe l'importanza topografica e militare della piazza di Torino, si affrettò a ben munirla e ad ingrandirla; cosicchè essa divenne più considerevole sotto questo barbaro, che nol fosse per l'addietro; perocchè, siccome sotto i cesari essendo ella

il continuo passaggio tra l'una e l'altra Gallia, era una perpetua albergheria di popoli straniéri da tutti desiderata, e da tutti disertata: così, dopo che le Gallie, prima della totale rovina dell'impero d'occidente, erano state divise in varie nazioni indipendenti, di cui ciascuna' aveva un capo supremo con titolo di Re, così la torinese contrada si trovò intieramente separata dalla Gallia transalpina, e Torino venné considerata come una delle sue città principali. I`torinesi si trovaron contenti di questa politica mutazione massimamente perchè Odoacre, quantunque Ariano, loro permise di conservare e professar pubblicamente la cattolica religione; e pubblicò ordinamenti non ripugnanti alle già esistenti leggi civili; conservò gli stessi magistrati colle medesime attribuzioni; si conformò ai costumi ed al linguaggio latino, pér farsi amare più che temere, e adoperossi con ogni modo per essere riguardato non come straniero all'Italia, ma ve ramente italiano; cosicchè la città di Torino mostrandosi ben tosto a lui devota e fedele, ottenne ch'egli la riguardasse con particolar benevolenza.

Se non che, mentre i Torinėsi vivevano assai tranquillamente sotto Odoacre, apparvero nubi, che oscurarono il nostro orizzonte. Scrive Procopio, che Odoacre si diede a distribuire ai barbari che lo avevan seguito il terzo delle terré d'Italia. La qual cosa non potè a meno di acquistargli l'odio degli antichi padroni, ai quali non sembra' che' Odoacre pagasse il prezzo di ciò che lor si toglieva. Ma, tutto che dolesse non poco di presente ai possessori il vedersi spogliare de' loro poderi, era non di meno per l'universalità della provincia utilissimo e necessario partito quel che fu preso dal Re. I terreni erano generalmente trascurati ed incolti e bisognava un provvedimento vigoroso e gagliardo, senza il quale non sarebbe potuta risorgere la coltura delle campagne e la popolazione. Nè era diverso, nè meno incomodo lo aggravare di nuove imposte i padroni, per fornir l'erario pubblico della somma necessaria' affine di pagare il prezzo delle térre distribuite a' suoi barbari. D'altronde, non sembra ad alcuni doversi riprendere, secondo l'umana" politica, Odoacre per così energico provvedimento, giacchè egli avrebbe potuto trattar da conquistatore i popoli d'Italia.

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Tuttavia gl'italiani, già pieni di mal umore verso Odoacre për quella divisione de' beni, ricevettero per avventura nuovo stimolo a desiderare mutazione di stato per una seconda distribuzione di terreni, fatta alle popolazioni del Norico, ch'egli trasportò dal loro paese in Italia, dopo averle ; per ben due volte, sottratte alle irruzioni dei Rugi, i quali perciò se gli mostrarono fieramente nemici, e sollecitarono Teodorico a far di loro vendetta contro Odoacre, che gli aveva malconci nel Norico. Teodorico, che presto vedrem succedere ad Odoacre nel regno d'Italia, discendeva per lunga serie di dieci generazioni da Augis, cognominato A malo, che fu uno dei più famosi eroi de' Goti, e da cui prese il soprannome d'Amala la famiglia di Teodorico, il quale fu altresì chiamato l'Amalo, per distinguerlo da altri principi Goti del suo tempo, che pur avevano lo stesso nome di Teodórico. Suo padre Teodemiro, re o giudice di una parte de' Goti che s'erano stabiliti nella Pannonia, mandollo in età assai tenera a Costantinopoli appresso a Leone, come statico della pace allora fermata tra i Romani ed i Goti. Così ai vantaggi della nascita ed alle doti naturali potè il giovine Teodorico aggiungere altre qualità, che non avrebbe forse potuto acquistare restando fra' suoi. La necessità in cui si trovava alla corte Bisantina di procedere con rispetto, e con ogni riguardo, gli fece prendere conoscenza delle persone e degli affetti umani, e lo avvezzò per tempo a moderaré la natia fierezza, lo sdegno, e l'impazienza. Fu poi rimandato libero a casa, dopo due lustri (an. 471), dallo stesso imperatore Leone, che cercava di farsi vieppiù benevolo tanto il figlio che il padre, dando all'uno la li bertà, all'altro la consolazione di ricuperare un sì caro pegno. A Teodorico si presentarono presto occasioni di manifestare il suo valore in varie zuffe da lui sostenute contro i Sarmati. Così cresciuto di forze, d'esperienza, di riputazione', succedette al padre nel principato, e rendè egualmente necessaria che cara la sua amicizia a Zenone, succeduto a Leone nell'imperio d'Oriente. In seguito a varie vicende, Zenone, dopo aver creato generale in capo di numerose truppe Teodorico, mandollo' a scacciare d'Italia Odoacre, e a con solidargli l'imperio dell'occidente, con quello dell'oriente;

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cosa facile a credere nella intenzione di chi la mandò; ma ben contraria nelle intenzioni di colui che fu mandato. Teodorico trovandosi alla corte Bisantina, acquistato aveva ciò che acquistasi frequentando le aule principesche, cioè, come dice il celebre Monti:

Il gran talento delle corti, l'arte

D'accarezzar chi s'odia, ed in secreto

Tradir per zelo ed infamar per vezzo.

Fatto è che Teodorico ben lontano dal voler assecondare le brame dell'imperatore d'oriente, venne alla volta d'Italia colla ferma risoluzione di rendersene egli stesso l'assoluto signore.

Se gli oppose Odoacre vigorosamente, sostenuto con incorrotta fede da' suoi Eruli, dai Cisalpini, e con grande animo dai Torinesi, i quali più si affidavano alla sperimentata equità del Re, cui già si mostravano devoti, che alla sospetta virtù di uno conosciuto Ostrogoto, il quale sapevano essere vissuto troppo lungo tempo fra i Greci per dover credere che ne avesse imparato le malizie e la poca fede. Odoacre spedì nell'Istria i suoi Eruli con gli avanzi dell'esercito di Attila, per chiudere il passo a Teodorico; ma questi vinse colà i suoi nemici, e si avanzò minaccioso ; sconfisse Odoacre al Natisone, e lo vinse pure a Verona. Di là ritirossi l'infelice Odoacre nella subalpina contrada dove i nostri popoli pugnarono per lui, e per se medesimi presso la Dora, ma essi qui furono ancora fieramente baltuti. Di questa sconfitta ch'ebbe Odoacre alla Dora nel Piemonte fa cenno Procopio lib. 4 de bell. Goth.; e Spondano dice: Odoacer tribus certaminibus ad Insontium et Veronae, et ad Duriam fluvium, a Teodorico rege superatus.

Quanti adunque furono i conflitti, tante furono le perdite di Odoacre, il quale per ultimo asilo rifuggì in Ravenna, risoluto di dare un glorioso fine al suo regno ed a se stesso; e diffatto con pochi ma fedeli avanzi del suo esercito, vi sostenne un durissimo assedio di più di tre anni ed avrebbe potuto resistere ancora per assai tempo. Tuttavia si dispose ad ascoltare i pietosi consigli del vescovo della città essediata, il quale propose di partire il regno, per

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