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unire gli animi, e di innalzare in Ravenna un solo trono, comune all'uno e all'altro pretendente. Ripiego pio certamente e salutare, se in due capi esser potesse una mente sola, o se in un trono seder potessero ad un tempo la maestà e l'amore. Un accordo si fece veramente, comunque la storia accenni in modo confuso le condizioni particolari di quel trattato, in forza del quale Teodorico acconsentì di conservar la vita al suo emolo, e di lasciargli una parte dello stato d'Italia; ma ben lungi dall'attenere le fatte promesse, pochi giorni dopo la resa di Ravenna, tolse di propria mano la vita ad Odoacre, nella cui morte ebbe fine un'aspra e rabbiosa guerra di quattro anni continui, la quale fu cagione all'Italia d'infiniti mali; perchè le città, e i borghi, e le campagne, occupate alternativamente or dall'uno, ora. dall'altro partito, erano egualmente spogliate e devastate da ambidue.

E mentre si provavano tutti i danni di quella guerra, i Borgognoni, o Burgondi, che sotto il re Gondebaldo tenevano la Savoja e la moderna Borgogna con altre provincie delle Gallie, vedendo i due Re pretendenti del regno d'Italia occupatissimi a combattere fra loro, passate le alpi, vennero non solo a dare il guasto alla torinese contrada, al milanese e a molte terre confinanti, ma predando robe e bestiame, e quanto poterono trovare, ne menarono anche schiavi molti migliaja d'uomini; a tal che le campagne, che per gli ordinamenti di Odoacre avevano cominciato a rifiorire nel Piemonte, ancora per queste incursioni de' Burgondi ricaddero nella primiera solitudine e trascuranza, e minacciarono a coloro, cui fu dato di scampare dalle mani de' predatori, gran caro di viveri e gran fame. A tutti questi mali un sol conforto avevano d'ordinario i popoli d'Italia, e, sia lode eternamente al vero, tal conforto era posto nella carità e nel sollecito zelo de' vescovi e dei sacerdoti. Già dicemmo che per opera del gran vescovo s. Massimo i Torinesi andarono salvi più volte da gravissimi infortunii; e fra poco vedremo come s. Vittore, che degnamente succedette a quel vescovo immortale nella sedia vescovile di Torino, efficacemente contribuì a togliere dall'estrema miseria non solamente i Torinesi, ma eziandio gli altri popoli circonvicini.

Teodorico non istando contento all'aver ucciso di sua propria mano Femulo suo Odoacre, gli fe' uccidere il figliuolo, é volle che fossero scannati i primari ufficiali degli Eruli. Con atti così èrudeli egli si diede a fondare il reame dei Goti, od Ostrogoti in Italia, conservando tuttavia le sue provincie del mar nero sino alla Svizzera ed al Reno. Stabili la sua sede in Ravenna, città forte sull'Adriatico presso le porte liriche d'Italia. Siccome il numéro degli Eruli che avean servito ad Odoacre era ancora considerevole, assegnò foro un distretto tra Pappennino e té alpi, che incomin→ ciando nei monti dove nasce il Tanaro scendeva verso il Po; é continuando verso ponente nel giro delle alpi sopra Torino estendevasi fino all'Augusta Pretoria; e per poter tenere in freno quei barbari, e valersene all'uopo con suo vantag gio, loro diede per capo un suo favorito, che assunse il titolo regio, ma promise d'essere in tutto dipendente dal Re, che lo innalzò a quel grado. Un' tale provvedimento di Teodorico se da una parte riuscì di qualche vantaggio a Torino, per l'altra le tornò di gran danno: le fu utile da principio perchè quel corpo di Eruli servi come di riparo contro ai Franchi; ma vedremo come la loro vicinanza nocque poi sommamente a questa metropoli.

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Teodorico intanto mise il timore nell'animo dei Torinesi, perchè si mostrò risoluto e fermo di punirli 'severamente dell'aver eglino seguitato il partito di Odoacre, e di aver combattuto fieramente per esso alla Dora, come si è detto qui sopra; dichiarò di vendicarsi non solo dei Torinesi, ma di buona parte dei Liguri, che avevano abbracciato la causa dell'emolo sub, spogliandoli dei beni, rimuovendoli perpetuamente da ogni sorta d'úffizii, ed in certo modo privandoli della libertà civile. La qual cosa, quando si fosse eseguita, non poteva' far di meno' che mettere in grandissimo scompiglio la nostra capitale e parecchie altre città. Se non che il buon vescovo di Pavia s. Epifanio deliberò di recarsi egli stesso alla corte a fine di placar Teodorico, e rimuoverlo da quel pensiero. Andovvi di fatto menandosi per compagno di quella caritatevole ambasciata s. Lorenzo di Mi lano, e seppe così bene far conoscere i disordini che sarebbero nati da quella proscrizione, che il Re, perdonando

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all'universale, si contentò per sua sicurezza di dar bando dalla' patria`a quelli solamente che si erano mostrati più caldi e più ostinati contro di lui.

Nè qui si stette il vantaggio che l'efficace opera di quelFegregio vescovo fruttò ai Torinesi e ad altri popoli circumpadani. Il Re, che conosceva l'abilità di Epifanio ed il credito che la santită gli conciliava, lo volle impiegare in un'altra ambascieria, il cui fine era di ricondurre ai patrii tetti gli sventurati Torinesi ed i molti Liguri che i Borgognoni avevano fatti prigioni e condotti oltre le alpi nell'incursione che questi barbari fecero nelle terre cisalpine nel tempo della predetta guerra. Teodorico adunque tenne col santo vescovo di Pavia un pietoso ragionamento del cordoglio che egli sentiva di vedere incolti i campi della cisalpina, mentre i coltivatori eran prigioni di Gondebaldo; gli disse che non trovandosi egli di presenté in istato di vendicarli col ferro, avea risoluto di liberarli con l'oro e colle persuasive parole; essendo uguale vittoria il piegar l'animo del nemico o con la forza, o cón la' soavità, purchè gli schiavi escano dalle mani di Gondebaldo; che perciò egli avea giudicato che una tal legazione non sarebbesi da altri meglio adempita che da lui, ben sapendo quantó la di lui virtù fosse venerata da Gondebaldo. A queste parole rispose Epifanio: Porgimi, o Re, la somma che hai destinata per redimere gl'infelicissimi prigionieri; ma prego la tua clemenza a volermi concedere per compagno di questa ambasciata Vittore vescovo della città di Torino, personaggio sommamente dotto, virtuoso, eloquente e perspicace se avrò questo compagno io mi ti rendo mallevadore che niun effetto sarà negato alla tua dimanda. Teodorico acconsenti di buon grado al desiderio di Epifanio. Partirono adunque i due-santi vescovi, Epifanio e Vittore, non badando' nè ai disagi, nè a' pericoli del lungo viaggio: era di marzo, e le alpi erano cariche di neve, e di ghiacci erano coperte le alpine strade: il Baronio, il Muratori ed i Bollandisti narrano, che i due venerandi prelati furono accolti per via col più grande rispetto dai popoli, a cui era giunta la fama di loro santità. Appressandosi a Lione venne ad incontrarli oltre al fiume Rodano il santo vescovo di quella città per nome Rustico, e diede loro alcuni pro

ficui avvisi. Appena che Gondebaldo seppe Epifanio essere. pervenuto con Vittore a Lione, così disse a'suoi: «Voi andate a visitare quest'uomo, il quale, per le sue virtù e per l'aspetto suo, io ho sempre tenuto come un altro Lorenzo martire, e dimandategli quando egli vorrà essere da noi, e ditegli che saranno adempiti i suoi desiderii ». Se ne andarono i deputati, che si maravigliarono vedendo come la grandissima sua fama, la quale aveva in quelle parti tanto risuonato, forse assai minore de' meriti suoi. Fu adunque stabilito il giorno dell'udienza, nel quale, presentatosi Epifanio al re Gondebaldo, salutollo, e poi rivolto al nostro Vittore lo in. vitò ad esporre l'oggetto della legazione; ma il vescovo torinese ciò rifiutando per umiltà, dovette Epifanio dar principio al discorso, il quale, secondo la traduzione che ne fece Odorico. Rinaldi, fu concepito a un di presso in questi termini: L'inesplicabile amore che io, approvatissimo principe, vi porto, mi ha condotto ad imprendere questo viaggio contra stagione, e a non guardare a tanti pericoli presentati dall'asprezza delle alpi, dalle molte nevi e dai ghiacci, non avendo io paura della morte per recare a te prestamente il premio dell'eterna luce. lo sono adoperato per mediatore fra due ottimi Re, per essere di ciò testimonio il cielo, se quello che Teodorico, mosso da misericordia, ti chiede, tu benignamente il concedi. Combattete insieme, duci invittissimi, e superatevi l'un l'altro, seguendo i precetti divini: nel quale conflitto il vincitore per modo riceverà il premio, che il vinto non rimarrà senza guiderdone. Prendete il mio consiglio, e amendue superiori, e amendue eguali voi sarete ».

«« Teodorico desidera ricomperare gli schiavi, e tu rendili senza prezzo alle loro contrade. Credimi: quegli in questa causa è per aver più, che niente riceverà... odi le voci dei supplichevoli Italiani, ed ammetti con faccia serena le preghiere di quelli che confidano in te: odi l'Italia, la quale da te non si è mai separata, e molta fidanza ha nella tua clemenza... Restituisci, eccellentissimo principe, gli infelici prigionieri alle loro famiglie, rendili alla tua gloria......è tua grazia ordinaria conceder grazie alle persone supplichevoli, sì come opprimere i superbi; e così tu nell'una e nell'altra cosa fortissimo, ti acquisterai trionfi con la spada e con la

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clemenza: Deh muoviti a' pianti di noi e de' nostri! Così piaccia al Signore Iddio di accrescerti il numero de' figliuoli, perchè la tua vita si rinnovi nella successione di tua pro→ genie. E come che tu faccia questo dono a Dio, tu nol fai per uomini stranieri, ma al signor d'Italia a te congiunto per affinità »>».

Poichè tacque sant'Epifanio, il Re, che era ornato favellatore, gli rispose da prima in modo che mostrò le ragioni della guerra e i diritti della conquista; ma in fine così conchiuse: « Or via, santi uomini, tornate senza verun affanno ai vostri alberghi, ed io intanto, considerato il bene dell'a nima mia e del mio regno, pronunzierò quello che sarà conveniente ».

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Partironsi adunque dalla sua presenza s. Epifanio ed il santo vescovo torinese, e poco dopo il re Gondebaldo, chiamando a sè Laconio, uomo di alto lignaggio e di somma bontà, gli ordinò di stendere il decreto, con cui tutti gli schiavi della nostra contrada venivano rimandati liberi tuitamente alle loro case, tranne quei pochi che erano stati presi nel calore della battaglia, per i quali volle che si desse un piccolo prezzo, affinchè meglio imparassero ad avere in abbominio i pericoli del guerreggiare. Non fu tardo il buon Laconio a scrivere la sentenza della liberazione, a farla tirmare dal Re, ed arrecarla ai venerevoli prelati, che la ricevettero con sommo giubilo, ed abbracciarono il portatore di un tanto dono. Sant'Ennodio vescovo di Pavia, successore in quella sede di s. Epifanio e compagno di lui e del santo vescovo di Torino in quella insigne missione, dopo aver riferito le anzidette particolarità, soggiunge, che appena quella sentenza di Gondebaldo fu pubblicata, si raccolse tosto una così grande moltitudine di persone liberate, che sarebbesi creduto essersi disertate eziandio le ville de' Galli. Testimonio, dice Ennodio, di questa cosa sono io, che portai il decreto favorevole alle chiuse delle alpi. lo so di certo, che in un sol dì furono da Lione lasciati tornare in Italia quattrocento uomini, ed il somigliante fu fatto in ciascheduna città della Savoja; sicchè quelli che furono liberati alle preghiere del santissimo uomo Epifanio, e del santissimo Vittore, passarono i sei mila». Così questi due ottimi vescovi,

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