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grande affare e di sommo credito fra i Romani, non cercasse di vendicare la morte del genero, uccise poco appresso anche lui.

Certamente dovettero questi crudeli e tiranni atti alienar da Teodorico l'animo di tutti i buoni. S'aggiunse a renderlo vieppiù odioso appresso i cattolici, quali erano a quel tempo generalmente gli italiani, un motivo di religione. Aveva l'imperatore d'oriente pubblicato rigorosi editti contro gli Ariani, esiliandoli in fine siccome perturbatori dello stato. Teodorico credendosene oltraggiato addimandò a Giustino Augusto, e a Giustiniano che ritrattasse gli editti a danno di quelli che professavano l'arianesimo; perchè le sue istanze riuscirono vane, minacciò a Gioanni pontefice massimo, e a 'tutti i cattolici de' suoi dominii sangue e fiamine se Giustino non richiamava gli Ariani dall'esilio. Fu dunque costretto il Papa a navigare a Costantinopoli per impetrare il ritorno di quegli eretici. Ne' sommi mali, un mal minore ha ragion di bene; ma un cuor malvagio dal bene procaccia il male. Ottenne il Pontefice dall'imperatore Giustino la sua domanda; ma perchè fu da lui accolto con grandi onori, Teodorico, preso da fierissima gelosia, fecelo arrestare e marcire in un tetro carcere. Da quell'istante il goto re si pose a perseguitare tutti i cattolici, e principalmente quelli che non potevan nascondere il loro cordoglio per sì grandi iniquità da lui commesse; e siccome tra questi egli non ignorava che i Torinesi erano sommamente afflitti delle sue tiranniche operazioni, fieramente s'innaspri contro di loro. D'altri più non fidandosi egli che de' suoi Ostrogoti, nominò a prefetto delle alpi un barbaro, al quale diede il comando di barbare coorti; tolse ai Torinesi ogni ombra di libertà, e li aggravò più che gli altri suoi sudditi di straordinarii balzelli. Pose nella nostra capitale, e in tutte le altre città subalpine governatori Goti, e numerosi presidii di gotiche truppe; e a tutto ciò non istando pago, con rigoroso editto interdisse a tutti gli abitanti delle subalpine città l'uso delle armi; e perchè i nobili, vergognandosi di comparire senz'armi, e senza le cavalleresche insegne, si ritirarono alle loro ville, con un altro più rigoroso decreto, loro impose di riabitare nelle città; sicchè i nobili di Torino parevan famigli degli

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Ostrogoti, e ciò che loro accresceva il cordoglio, si vedean privi dei militari onori, e non dei carichi militari; oltrecchè furono aggravati di eccessivi tributi. In questo infelice servaggio gemettero i Torinesi sino all'anno 537. Morì in questo mezzo il vecchio re Teodorico, a cui forse il rimorso d'aver uccisi due virtuosi senatori, e di avere barbaramente tribolato il Papa, e la certezza di esser venuto in odio della più parte de' suoi sudditi abbreviò la vita. Amalasunta figliuola di lui si diede a governare il regno a nome del di Jei figlio Atalarico, e ritenne per alcuni anni ogni cosa in buon ordine; si mostrò sollecita a mantenere lo stato in riputazione, e ad allevare il fanciullo non da barbaro, ma da Romano, facendolo istruire da valenti precettori nelle lettere latine e greche; ma al genio de' Goti, di cui era piena la corte del Re, non si confaceva punto l'educazione letteraria; ed eglino perciò consigliarono, e forse obbligarono Amalasunta a levare d'intorno al giovinetto Re quei suoi maestri. Pessimo fu il succedimento del consiglio dei Goti. Chè Atalarico, lasciato libero e sciolto, fu ben presto dirotto ai disordini della gola e della lascivia; nelle quali cose trovò tanto più facile la rovina, in quanto che essendo Re ebbe meno ostacoli allo sfogo delle sue giovanili passioni, e de' suoi capricci. Ora il cattivissimo avviamento che prese Atalarico, e il rallentarsi che per necessità facevano gli ordini del governo, non solamente indeboliva internamente le forze del regno, ma dava eziandio maggiore stimolo a Giustiniano Augusto a far l'impresa, a cui l'ambizione sua già da per se lo chiamava, di riunire all'impero l'Italia, ed oltre a ciò Amalasunta vedendosi decaduta da quell'autorità che aveva ne' primi anni di sua reggenza, e scorgendo alienato da se il favore de' Goti, cominciò a trattare di corrispondenza colla corte d'oriente, dando speranza a Giustiniano, già succeduto nel trono a Giustino, di voler essergli devota ed obbligata. Andavano le cose de' Goti vieppiù declinando, allorchè, morto Atalarico dopo otto anni di regno, Amalasunta si associò al trono il principe Teodato, unico maschio che vi rimanesse del sangue degli Amali; esigendo per altro coi più solenni giuramenti la promessa ch'ei dovesse contentarsi dei titoli e dell'onor del diadema, e lasciare a lei l'esercizio li

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bero della sovranità, di cui alla morte del figliuolo si trovava in possesso. Gli storici contemporanei ci rappresentano questo Teodato come principe istrutto nelle belle lettere e nella filosofia di Platone; ma dicono ad un tempo ch'egli non solo non ebbe pur l'ombra delle virtù del re Teodorico suo zio, ma superò nella viltà, nell'avarizia e perfidia ogni peggior ribaldo di feccia plebea. E di fatto fu egli ben lontano dal mantener la promessa ad Amalasunta, sua benefattrice, che sprezzando ogni santità di religione e di fede, cominciò prendersi l'assoluto comando, e poi tolse alla regina con la corona la vita. L'infamia di così manifesto spergiuro, ed ingratitudine così detestabile rendè Teodato odioso a tutti i sudditi, e diede a Giustiniano l'ultimo impulso a invadere l'Italia.

Sotto colore adunque di vendicar la morte della regina Amalasunta, spedì in Italia il famoso duce Belisario, costituendolo suo luogotenente generale sì per ricevere la promessa cessione del regno fattagli da Teodato, come di occuparlo in caso di rifiuto colla forza delle armi. Il carattere di Belisario è quello che s'incontra sovente nelle vite degli uomini illustri; vogliam dire un composto di grandi virtù e di grandi vizii. Gran capitano, di mente sopra ogni credere feconda di partiti e di spedienti fu egli certamente; ma questo gran duce, soggiogatore de' Vandali, e vincitor de' Persiani, fu sempre vile schiavo di Antonina sua moglie avara e licenziosa, la quale, per più ignominia di quell'imperio, era così strettamente unita di amicizia coll'iniqua imperatrice, da poter essere l'arbitra della fortuna di suo marito. La prima impresa che fece in Italia Belisario, cioè l'occupazione di Napoli, fu cagione immediata della deposizione e della morte di Teodato. Spento questo infame principe, i Goti diedero a Vitige la corona. Erano Vitige e Belisario al tutto uguali di fama, di sperienza, d'accortezza e di fatti illustri. Risoluto Vitige di sostener virilmente il grave incarico, ma non affidandosi punto alla fedeltà dei Romani, lasciò dentro di Roma Leudero prode capitano con quattro mila de' suoi barbari; e conducendo seco per ostaggio il fiore de' senatori e de' nobili romani, egli con le sue forti legioni trasportò il seggio in Ravenna, città

molto bene munita d'opere di fortificazione. Il primo divisamento del nuovo Re fu di richiamare, come presto richiamò tutti i Goti sparsi ne' presidii del regno; locchè fu un sollievo a molte città; ma riuscì di molto aggravio a Torino, e agli abitanti della torinese provincia; perocchè Vitige non solamente non richiamò i numerosi Goti che guardavano il passaggio delle taurine alpi contro la Francia, ma li raddoppiò, come afferma Procopio; così accrebbe le forze a' suoi barbari, e scemò quelle de' cittadini. Era Torino piena di Ostrogoti presidiarii, che da lungo tempo qui accasatisi, e propagati, tenevano in continua apprensione la nostra provincia. Ora più che mai, dentro e fuori della città di Torino, nelle circostanti campagne, e negli attigui monti, Vitige moltiplicò le guardie e le forti squadre, affidandone il comando a Sitige fierissimo e vigilante Ostrogoto, prefetto e custode delle nostre alpi, che risiedeva in Torino.

Dopo questo provvedimento, Vitige, ch'era uomo sagace non meno che valoroso, per meglio assicurarsi lo scettro, usò due mezzi, creduti da lui egualmente efficaci, e che gli tornarono anzi a danno che a profitto. Conoscendo che eragli di molto pregiudizio tra i Goti l'oscurità della sua famiglia, trovò modo di farsi illustre coll'esterno splendore di un regal maritaggio, costringendo Malasunta nipote del gran Teodorico a dargli la mano di sposa; ma presto si vedrà qual profitto egli abbia tratto dallo sposare quella principessa contro la voglia di lei. Quasi allo stesso tempo cercò Vitige di munirsi di ajuti esterni col cedere ai re Franchi, per farseli amici, le provincie che gli Ostrogoti possedevano nelle Gallie. Ma egli nè ebbe l'ajuto che sperava dai Franchi, nè con le forze che aveva in Italia potè impedire i progressi degl'imperiali. Belisario, senza sparger sangue, ebbe Roma nelle sue mani. Vitige uscito allora di Ravenna ov'erasi rinchiuso, andò con un esercito assai numeroso di fanti e di cavalli ad assediare quella capitale del mondo cattolico. Innanzi a tutto mostrò la sua fierezza con l'uccisione di que' nobili e senatori che avea condotti seco per ostaggi; volle per altro mostrare la sua pietà, conservando illese le basiliche e le persone sacre fuor delle mura; la quale pietà fu ai Romani perniciosa; perchè Belisario

traendo da essa un argomento di qualche secreta intelligenza tra Vitige e il sommo Pontefice, scacciò da Roma involto in una tonaca monacale quel santo vecchio; e sulla cattedra di s. Pietro intruse un antipapa: sicchè Roma non sapea qual fosse peggior nemico il propugnatore o l'oppugnatore: nè i Torinesi e gli altri cisalpini sapevano qual dovessero desiderare, il tiranno, o il liberatore. Più d'un anno durò quell'assedio; e mentre Belisario ora assalito, or assalitore tiene a bada il nemico, gli abitatori dell'Italia orientale cercano col mezzo di capitani greci ch'erano venuti in Italia con Belisario, di sottrarsi all'abborrito dominio di Vitige; e nell'occidente della penisola primamente i Toscani, guidati da duci imperiali, prendendo le armi da lungo tempo irrugginite, fugarono od uccisero i Goti, che stanziavano nel loro paese; e frattanto la città di Torino, ed altri municipii subalpini cominciarono tenere secrete pratiche con Milano per fare ciò che i Toscani avevano felicemente eseguito. Vitige allora, udite queste novelle, deliberò di chiedere un onorevole accordo all'imperatore Giustiniano, e si accordò da Belisario la tregua in Italia finchè da Costantinopoli venissero i capitoli della pace. Ma niun tempo è più pericoloso di quello degl'indugi; Belisario ricevette per mare nuovi socorsi; e a Vitige viene indicata una secreta via di entrare in Roma per un sotterraneo cunicolo. Invitati dunque dall'opportunità, i Greci sorprendono il porto di Ostia; e Vitige tenta la sorpresa di Roma. L'un condottiero incolpa l'altro della fede violata; ed entrambi négano il fatto essere accaduto di loro saputa; ma chi è più forte suol credersi che abbia la ragione; e a chi ha il profitto suo! darsi la lode. Gli affari di quella terribile lotta non riuscendo a Vitige prosperamente, i suoi Goti furon costretti a diminuire i presidii che tenevano nella torinese contrada. Quindi, durando ancora la tregua, e stabilitasi la lega fra Torino e le altre città cisalpine, giunsero in Roma Dacio vescovo di Milano, e Riparato cittadino di gran senno e coraggio, capi di quella lega, proferendosi a Belisario di scacciare da Milano e dall'intiero Piemonte tutti i Goti, purché egli volesse con armi, e con altri ajuti secondare i loro disegni.

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Belisario non rifiutò l'offerta, ma volle sospendere il colpo,

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