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sinchè la tregua che già stava per rompersi, totalmente si rompesse. A questo valoroso ed accorto generale si presentò indi a poco un'opportunità molto favorevole; perocchè Malasunta, donna di regio sangue, e di elevato animo, incolpando la rea fortuna di vedersi congiunta, com'ella diceva, ad un villano incoronato, secretamente si offerì a Belisario di cooperare alle sue vittorie contro l'odiato consorte. Allora dunque, Belisario mandò alcuni capitani imperiali nella Romagna e nel Piceno ad isgombrare i Goti da quelle provincie, fingendo di non sapere ciò ch'essi ivi facessero: ed intanto eglino, coll'ajuto di Malasunta, occuparono senza molta fatica alcune città di quella provincia. Ciò fatto spedì il prode Mondilla con forti squadre d'Isauri e di Traci nel Piemonte per fornire d'armi i Torinesi, e gli abitanti delle altre città subalpine già disposti ed apparecchiati a togliersi dal dominio dei Goti. E di primo tratto la numerosa popolazione di Milano, ajutata da Greci e infiammata dal suo vescovo, e dall'animoso Riparato, uccidendo o discacciando il gotico presidio, si fece libera. Questo buon successo crebbe animo e forza a tutti i subalpini, che si levarono in arme contro i Goti già indeboliti per lo scemamento delle guernigioni. E benchè in Torino, e ne' suoi dintorni fosse ancor grande il novero de'presidiarii, tuttavia i cittadini con armi occulte e con animo pronto, appena comparvero alcune greche insegne sotto la scorta di Tommaso, uno dei prodi capitani dell'esercito imperiale, impugnarono le armi; e il numeroso presidio de' Goti talmente si atterrì che più non ebbe ardimento di frenare i sollevati. Sitige medesimo governatore delle alpi, che risiedeva in Torino, disperando di ricevere soccorsi da Vitige, e da ogni parte temendo, fu il primo a rendersi all'imperio de' Romani, e costrinse tutti gli altri comandanti delle fortezze e de' presidii delle taurine alpi a fare lo stesso. Il perchè la nostra capitale già consideravasi come libera dalla servitù dei Goti.

Ma Vitige, che ancora da Costantinopoli sperava una pace ragionevole, all'annuncio di quanto era accaduto in Milano, in Torino, e nelle taurine alpi, levò prontamente l'assedio di Roma, per poter ricuperare la piazza di Rimini venuta in potere degl'imperiali, e per poter racquistare le nostre

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d'assedio, copioso di Mondilla avendo man

provincie: mandò a stringer Milano cittadini, ma povero di presidiarii dati i suoi verso le alpi taurine, ed altrove per altri acquisti, era rimasto solo con trecento greci in Milano. Ma sopraggiunto Belisario con grandi forze, così strettamente assediò gli assediatori, che questi da improvviso spavento soprafatti, mandarono ad offerirgli la città e se stessi, purchè salve fossero le loro vite. Accettò Belisario la condizione; e spedì tutti gli assediatori salvi e sicuri in Sicilia, liberando ad un tempo Milano dalla rovina, e Torino dallo spavento.

Vitige, per non vedere il trionfante nemico, si ritirò in Ravenna, ultimo asilo de' Goti. Giunsero intanto fresche e vigorose truppe, inviate in Italia da Teodeberto re de' Franchi, le quali strinsero d'assedio la città di Milano, se ne impadronirono, ne posero a morte i cittadini senza riguardo a sesso e ad età, e quellà gran capitale dell'Insubria fu agguagliata al suolo. Le nobili matrone fatte schiave furono il premio de' soldati di Teodeberto; ma il più miserando spettacolo fu quello di Riparato, cittadino tanto benemerito della libertà della patria, zelante collega del vescovo Dacio; perocchè sbranato barbaramente fu dato mangiare ai cani. A quel santo vescovo venne fatto di salvarsi colla fuga e di andarsene a Costantinopoli. La medesima sorte di Milano era da quei barbari destinata alla città di Torino, ed a Sitige lo stesso infelicissimo fine di Riparato. Chè Uraja nipote di Vitige, fierissimo capitano, il quale con buon nerbo di Goti e di altri barbari andava a Ravenna da Belisario assediata, appena che seppe la dedizione di Sitige all'impero, e la liberazione di Torino dai Goti, tornando indietro, voltossi contro la nostra capitale, credendosi assai forte per potere in pochi giorni esterminare i Torinesi, ricuperare il passo delle alpi, ed irsene quindi al soccorso di Ravenna. Ma due capitani imperiali avendo raccolto e rinforzato le loro squadre d'intorno al Po, così opportunamente si opposero ai nemici, che Uraja abbandonato da' suoi, senza avere nè ricuperata la torinese provincia, nè soccorsa Ravenna, si andò a nascondere nella Liguria. Procop.

In questo frattempo i Franchi, dopo aver dato due scon

fitte ai Greci, cominciarono trovarsi in grandi angustie; ed il loro re Teodeberto non ebbe altro frutto delle sue vittorie, che l'onta d'una 'temeraria ed ingiusta invasione, e della perdita dei due terzi della sua oste numerosa. Perciocchè non trovando altro da sostentar le sue genti, che buoi ed acqua, e per le acque che bevevano non avendo forza, a digerire la qualità del cibo, una sì fiera dissenteria attaccò l'esercito de' Franchi, indeboliti e fiacchi per altra parte dalla. qualità della stagione e del clima più caldo di quello del loro paese, che vi perivano miseramente, perchè il caldo e il difetto del pane, cagion del morbo, ne toglievano ancora di vita. Partito cogli avanzi del suo afflitto esercito il re Teodeberto, poco stettero i Goti e per varii fortunosi accidenti e per industria di Belisario a mancar di viveri anch'essi; onde pareva che poco tempo essi potessero durare contro i Ro-. mani. La qual cosa intendendo i re francesi, cioè Teodeberto suddetto e i suoi fratelli, mandarono ambasciatori a Vitige per offrirgli pronto soccorso, dove i Goti volesser dividere il dominio d'Italia con esso loro. Belisario che di eiò fu avvisato, spedì anche suoi ministri al re Vitige a fine di rimuoverlo da ogni pensiero di collegarsi con altra gente, e far sapere a lui ed a' suoi capi Goti, che qualora deliberassero di ceder una parte de' paesi italiani che avean nuto innanzi, il più sicuro partito per loro era di trattare accordi con Giustiniano. Prevalse nel consiglio de' Goti la proposta di Belisario; e, licenziati gli ambasciatori dei re francesi, fu conchiuso di spedire incontinente deputati a Costantinopoli per trattar della pace. Continuavasi in questo mezzo l'assedio di Ravenna, dove i Goti s'erano ridotti col meglio delle loro forze, superiori senza comparazione a quelle de' Greci, aspettando le risoluzioni della corte di Costantinopoli. Giunsero infatti gl'inviati dell'Imperatore con lettere e coi capitoli della pace, sottoscritti dall'imperator Giustiniano, a queste condizioni: che ai Goti resti in Italia l'assoluto dominio delle provincie transpadane dal corso del Po sino al piè delle alpi; e tutte le provincie cispadane, dal Po sino al capo dell'Italia sieno proprie del romano impero; e che il tesoro di Vitige si divida tra Vitige e l'Imperatore. All'annunzio di siffatti capitoli, si turbarono som

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mamente i Torinesi, perchè la loro provincia giacendo nell'ultimo angolo tra il Po e le alpi, dovean soggiacere per sempre agli Ostrogoti: e non meno attonito ed afflitto rimase Belisario, vedendosi con quella intempestiva capitolazione svelta di mano la più certa e la più nobil palma che mai riportasse alcun trionfante nel Campidoglio; e tanto più se ne afflisse, in quanto che tutti i capitani a lui inferiori mostraronsi inclinatissimi al partito di quella pace, considerando che l'esercito cesariano non bastava assolutamente a far fronte alle gotiche soldatesche numerosissime. Ciò non ostante vinse la fermezza ed il maneggio di Belisario, il quale avendo per secrete pratiche colla moglie di Vitige fatto appiccar fuoco a magazzini di Ravenna, stimolò maggiormente i Goti alla resa. E fu allora che le donne dei Goti, vedendo sì scarso e sì misero l'esercito de' Greci, dissero gran villanie a' loro uomini che s'erano dati per vinti. Videsi nel giorno di quella resa come si perda il coraggio quando si perde il senno, e come si perda il senno quando vien meno il coraggio. Fu cosa dagli storici di quel tempo stimata prodigiosa, come tanti Goti dentro Ravenna, in un istante avviliti d'animo, si arrendessero a Belisario.

Ciò non di meno la città di Torino e le altre piazze transpadane trovavansi ancora presidiate dagli Ostrogoti; e quel che è peggio dagli Eruli, che aspiravano ad allargare il territorio che loro era stato assegnato; e intanto Belisario, quantunque fosse entrato vincitore nella capitale del regno italico, ed avesse fatto prigione il re Vitige con forze tanto disuguali, tuttavia, accusato da' suoi nemici di voler occupare per se medesimo il regno d'Italia, fu richiamato dall'Imperatore a Costantinopoli. Il motivo che addusse la corte Bisantina per rimuoverlo dagli affari della nostra penisola fu il bisogno che v'era dell'opera sua per la guerra persiana, al governo della quale egli fu di fatto mandato incontanente. Appena egli se ne partì, gli Ostrogoti che stanziavano in Torino e nelle città transpadane, acclamarono per loro re lldebaldo giovane coraggioso di regio sangue de' Visigoti; e quantunque a principio fosse molto debile il suo esercito, si andò poi accrescendo non solamente dai Goti che si erano sparsi qua e là, ma eziandio da molti ita

liani, i quali si unirono a questo nuovo Re, non potendo più comportare l'ingordigia de' capitani greci, tutti intesi at riscuotere esorbitanti imposte per satollare l'avarizia di Teodora Augusta. Sicchè in breve spazio di tempo i Veneti gl'Insubri, ed i Piemontesi ricaddero sotto il giogo degli Ostrogoti; e dovette maggiormente soffrirne Torino, che dovea mantenere una numerosa guarnigione di quei barbari, ed era più lontana dal soccorso degl'impériali. Onde, mentre per la resa di Ravenna pareva che i Torinesi dovessero uscire dalla trista loro condizione, si trovarono essi in preda a nuovi affanni.

I Goti, che già per la mala condotta de' loro avversarii cominciavano ad avere il sopravvento, molto più gagliardamente risorsero, quando per la prigionia di Vitige, e per la morte violenta d'Ildebaldo, fu innalzato al regno il valoroso Totila. Gli scrittori delle cose ecclesiastiche ci dipingono questo Re come un mostro dell'uman genere, come un altro Attila, flagello di Dio; egli è accusato di aver posto a morte Ercolano vescovo di Perugia, di aver esposto agli orsi Corbonio vescovo di Populonia, e fatto troncar le mani a Valentino vescovo di Selva Candida, mandato a Roma dal Sommo Pontefice per suo vicario. Di questi atti crudeli Totila s'abbia il biasimo di tutti i posteri, ma non gli sia niegata la lode di quanto ei fece di bene. Lo storico Procopio che ci serve di scorta a riferire le particolarità di questa guerra gotica, e che fu partigiano de' Greci, e scrisse dopo la morte di Totila, o dopo la distruzione de' Goti, e perciò non poteva avere stimolo alcuno di lodarlo più del giusto e del vero, parla in più luoghi della sua storia delle azioni di questo Re barbaro in tal maniera, che appena fra gli antichi eroi che ci presenta la storia greca e la romana, troveremo alcuno da anteporgli. Chè egli seppe accoppiare il vigore e la fermezza del governo con l'umanità, la clemenza, la destrezza e l'attività d'un ministro, e l'affetto d'un Principe amorevole. La cura che in tanta agitazione di guerra e in tanto sconvolgimento di governo egli ebbe d'animare gli agricoltori alle opere rustiche; l'ordine posto loro pei tributi da pagare al Principe, e' per dare la dovuta parte dei frutti ai padroni delle terre; le lettere che scrisse ai

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