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fortunatamente andò a vuoto. Le guardie di Narsete, veduta la perfidia di Ragnari, lo stesero a terra. Morto costui, i Goti trattarono subitamente la resa; e Narsete loro concedette senz'alcuna difficoltà la vita. Bensì per ispegnere affatto ogni semenza di guerra, volle che que' settemila Goti passassero tutti a Costantinopoli. Rimanevano ancora di qua e di là dal Po nella nostra contrada non pochi militi della gotica nazione, i quali chiesero a Narsete un qualche spazio di terreno da poter coltivare, e vivere disarmati de' frutti delle loro fatiche: Narsete nella sua clemenza loro assegnò un distretto tra Milano e Pavia, dov'essi per gran mercede cangiarono le spade in vanghe, e di uomini di guerra divennero pacifici agricoltori. Così ebbe fine il famoso reguo de' Goti in Italia l'anno di salute 552.

La spedizione de' Greci contro de' Goti niuna specie d'uti lità potè cagionare all'Italia, e le fece tutti i danni che può fare un'invasion di nemici. Si sturbarono primieramente i Goti, le famiglie de' quali, stabilite per varie regioni, avrebbero potuto ripopolar l'Italia, e ricondurla per avventura all'antico valore. Nè i Greci, venuti in picciol numero a guisa di passeggeri e saccomanni, erano per lasciare famiglie in compenso di quelle generazioni che distruggevano. Per altra parte lo scarso numero delle truppe imperiali non tolse già ch'esse non devastassero il nostro paese conie avrebbe fatto un grosso esercito d'invasori. Le uccisioni che seguirono nelle battaglie, non erano al certo di gran conseguenza; ma come quella guerra si fece per via d'assedii continui, che ora i Greci, ed ora i Goli, e poi di nuovo i primi ponevano alle città ed ai castelli occupati dalle parti contrarie, malagevole cosa sarebbe a numerare le migliaja di persone che perirono di fame e di disagio e di pestilenza per questa cagione. I presidii che trovavansi nelle piazze assediate, intese solamente a procurare per sè i viveri affine di poter fare il più che si potesse lunga difesa, lasciavano tutte le popolazioni nella miseria; e il sangue e la vita degl'italiani, così dall'una parte che dall'altra contavasi per nulla. Nè gli abitatori delle campagne erano esenti da queste calamità; tanto più che disturbavasi fortemente la coltivazione delle terre; e tra per le biade che si

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consumavano a bello studio, e quelle che s'impediva di seminare, spesso ed in più luoghi nasceva orribil fame, la quale, passando il più delle volte in malore epidemico, ed in pestilenza, cagionava fierissima mortalità. Da tutti questi mali fu sovente travagliata la torinese provincia, e massi→ mamente nel tempo, in cui Torino sostenne con molta súa gloria il lungo e duro assedio che le fu posto dal feroce Sisualdo.

Vero è per altro, che sotto Narsete, il quale dopo la di struzione del regno de' Goti, rimase al governo d'Italia, questa provincia fu alquanto ristorata dalle passate rovine non solo per la cura ch'egli si prese di rinnovar d'edifizii le città state distrutte, e pel buon ordine che si studiò di mantenervi, ma ancora perchè essendo totalmente cessate le guerre, potè, non meno ne' villaggi che nelle grandi città, rifarsi pur un poco d'abitatori, giacchè vi si recarono così gli antichi villani scampati da tante stragi, come anche gli avanzi della nazione de' Goti, di cui non è da dubitare che gran numero rimanesse tuttavia in Italia dopo il ne di quella guerra. Perciocchè, quantunque moltissimi fossero periti in varie fazioni, e Narsete avesse mandato prigione a Costantinopoli l'ultimo squadrone che s'arrese a Consa, certo è non di meno, che infinite famiglie de' Goti, disperse qua e là per varii paesi d'Italia, vi rimasero tuttavia dopo il fine della guerra, e molti passarono all'obbedienza de' Romani fin dal tempo della prima spedizione di Belisario. E da tutto il racconto di Agatia risulta manifestamente che da quegli in fuori, che persistettero armati fino all'estremo, tutto il resto della nazione non solo non fu più oltre inquietato da Narsete, ma lasciato a modo degli altri naturali d'Italia viversi pacificamente.

Ma il pacifico e tranquillo stato, in cui si mantenne l'Italia sotto il reggimento di Narsete, non durò più che sedici anni, dopo i quali questa sempre travagliata penisola ricadde in peggiori mali che prima. Morto Giustiniano quattordici anni dopo il famoso conquisto, Narsete perdette il favor della corte ed il suo comando. Si narra da molti scrittori che Sofia moglie dell'imperatore Giustino II, il quale si lasciava da lei governare e guidare a guisa di fan

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ciullo, richiamò Narsete dall'applauso degl'italiani alla cen→ sura de' Greci, aggiungendo all'ingiuria la contumelia, che ad un cuor magnanimo è più insoffribile di qualunque gran danno; perocchè in vece di encomiarlo come esterminatore de’barbari, e' restitutor dell'imperio, rammemorogli l'antico obbrobrio già cancellato con tanti eroici fatti, dell'aver servito di eunuco al Gineceo, scrivendogli che andasse tosto a Costantinopoli, perch'ella aveva bisogno dell'opera sua a filar lana con le sue femmine. Narrási pure che Narsete rintuzzò la greca argutezza col greco ingegno rispondendole ch'ei le tesserebbe una tela ch'ella non potrebbe distessere in tutto il tempo della sua vita. Checchè di ciò sia, vero è che circa due anni da che Giustiniano finì di vivere, morì ancora Narsete l'anno 567. E siccome la virtù e la riputa→ zione di lui era il solo propugnacolo che guardasse l'Italia dalla cupidità de' barbari che l'addocchiavano, così la sua morte risveglio in questi il pensiero di occuparla ; qual nuova e mal difesa preda.

XII.

Discendono in Italia i Longobardi, sotto il cui dominio la città di
Torino diviene capitale di un illustre ducato. Varii fra i Lougo-
bardi duchi di Torino furono eletti Re. Fine del regno Lou-
gobardico.

I Longobardi, nazione senza dubbio germanica, uscirono anco essi, se crediamo ad alcuni autori, dalla Scandinavia, come i Vandali e i Goti. Vi è ancor chi pretende che fos'serò una stessa nazione coi Goti, e che non per altro prendessero nome diverso dal resto della nazione, se non per cagion della barba, che per qualche lor nuovo capriccio s'invaghirono di portar lunga, dove che gli altri la ́si tagliavano. Comunque sia, le genti di cui dobbiamo qui parlaré, già nei primi anni dell'imperio di Giustiniano erano state nella Pannonia, dove le avea poco prima condotte, non si sa donde, Audoino, che fu il nono o il decimo Re di quella nazione. Prima di venire nella Pannonia, esse avevano avuto lungamente a contendere cogli Eruli, probabilmente nella

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e

Moravia; e non furono senza rivali nella nuova stanza che si cercarono perciocchè vennero presto in dissensione, poi in aperta guerra coi Gepidi, i quali per altro furono rotti in varie fazioni. Frattanto Alboino, che succedette nel regno al suo padre, Audino, pel valore che avea già dimostrato durante quella guerra, mosse Clotario re de' Franchi a dargli la sua figlia Clotsuinda per moglie. Nè contento di questo parentado, il re Alboino strinse lega perpetua con certi Unni, che dal nome di un loro Re presero quello di Avari. Mediante questa nuova alleanza non molto tardò a debellare affatto i Gepidi; ed ucciso il re Cunemondo suo emolo, fece incassare in argento il cranio di lui, e se ne servì poscia ne' suoi banchetti. Fra le spoglie dei Gepidi non di picciol momento furono i prigioni dell'uno e dell'altro sesso che fecero i vincitori, tra i quali prigioni fu ancora la figliuola dello stesso re Cunémondo per nome Rosmonda. L'averle ucciso il padre, e distrutta la famiglia ed il regno, non impedì Alboino dal cercar le nozze di questa principessa prigioniera, dacchè egli era rimasto vedovo della prima, moglie Glotsuinda.

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Gli Unni, o Avari, che una parte soltanto tenevano della Pannonia, occupata da loro per l'alleanza fatta coi Longo: bardi, alla partenza di questi ultimi s'impadronirono del rimanente. I Longobardi, co invitati, come si crede generalmente, da Narsete, od allettati dal bel cielo dell'italiana penisola, si partirono di là con animo e con fermissima fidanza di stabilire il loro soggiorno in Italia; e però trassero seco e mogli e figliuoli e bestiami, e quanto di mobile avevano al mondo: il loro re Alboino non si assicurando abbastanza di poter colle sue genti abbattere ogni ostacolo che polesse nuocere al suo disegno, raccolse d'altre nazioni germaniche il maggior numero di militi che gli fu possibile, cioè Gepidi, Bulgari, Sarmati, Svevi, e principalmente Sassoni, alla testa dei quali per le alpi Carniche scese Alboino in Italia l'anno 568: di primo tratto si gettò nella Venezia, la qual provincia fu tutta, da Padova e Monselice in fuori, con poco, ostacolo occupata dai nuovi assalitori. E perchè ella si potesse più agevolmente conservare, contro gli sforzi dei Greci, piacque ad Alboino di lasciarvi un Duca con una

parte delle sue truppe. Egli diede quell'importante governo ad un suo nipote chiamato Gisolfo; e questo fu il primo stato di natura quasi feudale che i Longobardi ordinassero in Italia. Frattanto Alboino continuò sue imprese, e impadronitosi di Milano fuvvi con le cerimonie militari usate dai barbari oreato re d'Italia nel 569. Pavia costò al nuovo Re tre anni d'assedio; nel qual tempo mandò di qua e di là una parte delle sue genti ad impossessarsi di altre terre, dovunque ostacolo non s'incontrasse: quelle barbare genti fecero irruzioni nel Piemonte e nella marittima Liguria, rispettando le sole terre murate, depredando l'aperto paese e monando schiavi gli abitatori delle campagne. Oltre a ciò, nel 571, ardirono oltrepassare le alpi cozie; sorpresero i Franchi, li scon fissero ed uccisero Amato loro generale. Alboino intanto collocò in Piemonte fra il Tanaro ed il Po venti mila di que' Sassoni ch'erano discesi con lui in Italia, e qui li pose quasi ad avanguardo contro de' Franchi. La città di Torino era in fine caduta in potere di così numerosa gente, e divenne capoluogo del paese con titolo di ducato; lo stesso avvenne ad Asti e alle altre città forti del Piemonte e del Milanese, che per ciò furono poi comprese nel solo nome di Longobardia, o Lombardia.

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Nel 573 Amone, che fu il primo duca di Torino, invitò Rodano duca d'Asti e Zabano duca di Pavia a tentare con essolui un'irruzione nel paese de' Franchi, al quale d'or innanzi daremo il nome di Francia: unitisi tutti e tre per una siffatta impresa, mandarono innanzi loro, come antiguardo, il grosso corpo di Sassoni, che, come s'è detto, stanziava in Piemonte fra il Tanaro ed il Po. Questo corpo, aspettato al varco presso Digne, vi ebbe dal patrizio Mummolo, successore del generale Amato, una fierissima rotta. A malgrado di tale sconfitta non s'invilirono i tre duchi Longobardi, come dimostreremo dopo aver fatto un breve cenno sul fine tristissimo dell'iniquo e feroce Alboino. Questo re erasi già impadronito d'una parte dell'Italia colla forza, e dell'altra col terrore; perocchè il fuoco ed il ferro, le rapine e le violenze facevano sì che le popolazioni, colpite dallo spavento, o s'allontanassero dalle loro patrie, o senza veruna difesa a lui si arrendessero. Nella torinese provincia egli fece orrende prove

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