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della sua crudeltà. Le sue truppe, in parte ancora idolatre ed in gran parte ariane, spogliarono le nostre chiese, molte ne atterrarono, e mossero un'orribile persecuzione a ministri del culto cattolico: tati erano gl'infelicissimi destini dei nostri antenati, quando Alboino, dopo tre anni d'assedio, s'impadroni di Pavia; e riguardando egli questo suo trionfo come l'epoca ed il principio della sua monarchia, sperò di scacciar presto l'esarca da Ravenna, il papa da Roma, e distendere il suo regno dalle alpi sino agli ultimi termini dell'Italia. Per celebrare l'acquisto di Pavia egli diede in Verona un solenne convito, durante il quale altamente offese l'animo di Rosmunda sua moglie, costringendola a ber col padre, cioè colla famosa coppa formata del cranio di Cunemondo; ma ella, pochi mesi dopo, fece ammazzare l'abborrito consorte. Elmechilde, che ne fu l'uccisore, e la regina vedova che lui prese per suo nuovo marito, tentarono invano di occupare il regno; e conosciuto l'odio che i Longobardi avean concepito contro di loro per la morte del loro Re, si fuggirono a Ravenna, ove presto ebbero anch'essi il mal fine. In questo mezzo i duchi Longobardi, che erano in numero di trentasei, nella dieta generale da essi tenuta in Pavia, elessero a re Clefi, o Clefone, il quale, in tre anni che durò il suo regno, si fece conoscere non meno superbo e crudele verso de’suoi, che valoroso e feroce contro i Romani, a danno dei quali ampliò ancora il dominio de' Longobardi. Ucciso costui per cagione della sua libidine, nè avendo lasciati figliuoli atti, per l'età ancor tenera, a succedergli nel governo, i grandi della nazione credettero la congiuntura troppo favorevole per dare maggior rilievo all'autorità ed alla potenza lor propria, e cambiar il governo monarchico nell'aristocratico, od almeno net misto.

In questo mezzo tempo i tre precitati duchi di Torino, d'Asti e di Pavia, per vendicarsi della sconfitta loro data presso Digne dal patrizio Mummolo, raccolte molte squadre, si recarono nella Provenza e nel Delfinato, che allora facean parte del secondo regno di Borgogna. Ivi pure li aspettava il valoroso Mummolo, che li ruppe mentr'erano ancor disgiunti l'uno dall'altro; cioè vinse il duca di Torino in vicinanza d'Arles, quello d'Asti non lunge da Valenza, e quello

di Pavia presso Grenoble : questi duchi, sbaragliati e malconci, discesero per le alpi, come meglio per loro si potè, e vennero a riunirsi sotto di Susa; ma presto dovettero abbandonare quella positura, perchè ne li discacciò il greco governatore, che ancor teneva la piazza di Susa per l'Imperatore, e vi aveva tuttavia un buon presidio. Un'altra spedizione da loro tentata nella valle d'Aosta non ebbe miglior

successo.

Eglino per altro non si perdettero d'animo per i fieri contrasti sino allora incontrati, Il duca di Torino raccolse, numerosa gente da varie parti, e audossene dirittamente a Susa, e dopo iterati assalti s'impadronì di questa forte città nel l'anno 576. Di ciò fatto consapevole il greco imperatore Giu stino II, chiamò in suo ajuto, contra il duca di Torino e gli alleati di esso il possente re di Borgogna Gontranno, il quale, venuto con poderoso esercito, e divisolo in due parti, distrusse le schiere de' Longobardi nelle due valli di Susa e di Aosta. Il frutto di queste vittorie di Gontranno fu la perpetua cessione alla Francia delle due sopraccennate valli, ed un perpetuo annuo tributo di dodici mila soldi d'oro da pagarsele dai Longobardi, i quali perdettero allora le taurine alpi e le valli di Susa, di Lanzo, di Aosta, che divennero provincia francese. I termini di val di Susa contro al Piemonte vennero fissati alla terra di Valloggia, ora Valgioje ; così pure a tramontana, in sulla destra del Malone, che era il limite del Piemonte di contro alla provincia che da Costantino il Grande erasi chiamata della Liguria, innalzarono essi un forte castello a difesa di quel passaggio, il quale denominavasi Longobardorum castrum, ora Lombardore.

Siccome la diocesi di Torino si estendeva oltre, le alpi cozie nella Moriana, così l'anzidetto Gontranno re della Borgogna, dopo aver tolto ai Taurini la valle di Susa, e la Morianese contrada, fece stabilire un vescovo in san Gioanni, detto poi di Moriana, che ancora nel 570 era un meschino villaggio, e che fu eretto in città da quel Re, indotto dalla fama, che una santa vergine per nome Tigri vi avesse recato ne' primi tempi del cristianesimo le sacre reliquie del divin precursore. Gontranno fece assegnare anche il Brian(zonese a quella nuova sede vescovile per sue cure fondata. Duchesne Notizia della Gallia 1. 15.

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Gontranno mori nell'anno 595. Gli succedette il suo uipote Childeberto, il quale mancò ai vivi nel 596: i figliuoli di lui Teodorico e Teodeberto si divisero lo stato paterno. Teodorico che come re di Borgogna possedeva le valli di Susa e d'Aosta, volle che per le cose spirituali i valleggiani di Susa e di Mati (Lanzo) obbedissero non più al vescovo di Torino, ma sibbene a quello di s. Gio. di

Moriana.

La pace che i Longobardi erano stati costretti a stipulare coi Franchi, avevali obbligati ad abbandonare le imprese delle alpi, e a rivolgere i loro tentativi verso l'Italia inferiore all'imperio d'oriente soggetta. Allora l'imperatore Maurizio col mezzo di cospicue somme di danaro invitò il franco re Childeberto a discendere in Italia, e scacciarne i Longobardi. Childeberto mosso dal danaro e dalle promesse di Maurizio, e non diffidando d'unir frattanto una parte dell'italiana penisola al suo dominio, s'apparecchiò a passare le alpi. H timore di questa guerra e gl'interni lamenti del popolo longobardo e de' sudditi italiani, a' quali il governo di tanti piccoli e sempre avidi tiranni riusciva grave e molesto; e finalmente il sospetto che, all'esempio di Drottulfo, fu uno dei loro Duchi che aveva tradito la nazione, ed era passato alla divozione dell'Imperatore, altri facessero il somigliante, obbligarono a procedere, dopo un interregno di dieci anni, all'elezione di un nuovo Re. Il vantaggio della nascita, e gl'indizi che dava di senno e di valore, inclinarono facilmente le voci degli elettori in favor d'Autari, figliuolo di Clefi (an. 584). Questi, che fu il terzo re d'italia della stirpe de' Longobardi, per le cose che fece nel breve spazio di sei anni ben meritò d'essere annoverato fra i re più gloriosi. Di fatto rialzò il decoro e la maestà del trono; con somma fermezza perseguitò i Duchi ribelli, tenne in obbedienza tutti quelli che n'erano vacillanti, e s'oppose gagliardamente agli assalti replicati che i re de' Franchi, sollecitati dall'imperatore Maurizio, diedero al suo regno; oltre a ciò or con trattati a lui vantaggiosi, ora con le sconfitte che diede agli assalitori, ampliò il dominio de' Longobardi con notevoli acquisti; fece in fine la pace non solo coi Franchi, ma eziandio coi Romano-Greci, restaurò le fortezze del regno,

ed eresse un castello sul Ticino che ne ricorda il nome. Sposò Teodolinda figliuola di Garibaldo re di Baviera: questa bella e saggia principessa, si acquistò talmente l'affetto e la stima de' Longobardi, ch'essi dopo la morte del di lei marito, avvenuta in Pavia non senza sospetto di veleno, la riconobbero come reggente e arbitra del regno, e lasciarono all'arbitrio suo la scelta d'un nuovo Re e di un secondo marito. Ella, che, fin dal tempo in cui si trattava delle sue prime nozze coǹ Autari, aveva conosciuto Agilulfo, mandato dal suo Re ambasciadore in Baviera, uomo in cui alle belle qualità dell'animo si univano quelle del corpo, ed era in allora duca di Torino, a lui subitamente rivolse l'animo, e fattolo andar a Lumello, dove in allora risiedeva la corte reale, il dichiarò ad un tempo consorte del talamo e del trono. Vedi Lumello vol. IX, pag. 928 e seguenti. Le nozze di Agilulfo con Teodolinda vennero celebrate nel mese di novembre dell'anno 590; e nel maggio del 591 Agitulfo fu con grande consolazione dei Torinesi, che ne conoscevano le preelare virtù, dichiarato re de' Longobardi dalla dieta generate degli altri Duchi, l'anno 589.

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La chiesa torinese era governata in que' tempi dall'ottimo vescovo Ursicino, il quale già sedeva sulla cattedra di s. Massimo alcuni anni prima che Alboino scendesse in Italia: ma i Longobardi, che in gran parte erano Ariani, l'avevano scacciato dalla sua sede, e condottolo in ischiavitù. Più tardi ei fu posto in libertà; ma non venne reintegrato nella propria sede, perch'essa, durante la di lui prigionia, era stata occupata da un vescovo Ariano. L'ottimo Ursieino era anche profondamente afflitto perchè una ragguardevol parte della sua diocesi era stata aggregata a quella di Moriana, che per cura del re Gontranno, come s'è detto, era stata fondata. Il romano pontefice s Gregorio Magno, che a quel tempo governava la chiesa universale, sommamente addolorato dei mali trattamenti, e dei gravi danni sofferti dall'egregio Ursicino, scrisse a favore di lui due lettere, circa l'anno 598, una indiritta a Teodorico e Teodeberto re dei Franchi, e l'altra a Siagrio vescovo d'Autun, il quale era stato ajo di Teodorico, ed era in grandissima stima presso quel Re, ed anche presso Teodeberto. Crediamo cosa opportuna ri

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ferire alcuni tratti di quelle due epistole, secondo la tradizione che ne fece il Brizio nell'italico idioma. Abbiamo saputo, dice s. Gregorio Magno ai due re de' Franchi, che il nostro fratello Ursicino, vescovo di Torino, è stato con termini molto acerbi danneggiato nelle parrocchie contenute nel vostro regno, contro le maniere della chiesa, contro la grandezza sacerdotale, è contro i sagri canoni, e quello che più importa, senza suoi difetti, un altro ha avuto ardimento di farsi in sua vece consegrare quivi vescovo. E perchè pareva negozio da nulla, se le cose illecite non si rendevano con altre disdicevoli, fortemente aggravate, si dice essergli stata usurpata ogni sua sostanza: là dove essendo questa una operazione insopportabile, che l'innocente rimanga dalla violenza conculcato; dopo un saluto paternale vi preghiamo che vogliate sopra di ciò effettuare quello che il giusto ed onesto alla palese richiede, perchè la nostra intercessione non sia spogliata di frutto a favore del desoláto; facendogli vedere il valore della giustizia, e correggere gl'insulti ingiusti, col fargli ritornare quello che dalla rapina gli è stato usurpato, come speriamo dalla bontà vostra. Nè deve pregiudicarli il tempo della sua detenzione sofferta ingiustamente per opera dell'inimico. Sendo che questa maggiormente piega gli animi delle Cristianità Vostre a Sovvenirlo... La lettera che il santo Papa scrisse a Siagrio vescovo di Autun, contiene, fra le altre, le seguenti cose... Sappiamo che Ursicino vescovo della città di Torino, dopo lo spoglio delle sue robe e la prigionia della persona, patì ancora grave infortunio in quelle parrocchie che sono situate solto la giurisdizione dei re de' Franchi, e che ivi finalmente senza suo errore sia stato contro i sagrt canoni intruso un altro pastore. E perchè forse sembravagli leggero il pregiudizio fattogli, gli hanno rapito l'appartenente alla sua chiesa... Raccomandiamo perciò alla Fraternità Vostra che s'impieghi con ogni calore e prontezza nella difesa di esso vescovo, e che non sia più tollerata la lontananza di sua persona dal suo gregge; anzi con suppliche e con parole tratti con gli eccellentissimi Principi, i quali crediamo non negarle petizione alcuna, perchè sia emendato e corretto questo misfatto, e le cose con violenza rapite con la

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