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padronanza del vero si restituiscano

I Meiranesio, dice. non essergli venuto a certa notizia se quelle due lettere di $. Gregorio Magno abbiano prodotto l'effetto da lui tanto bramato, e se Ursicino sia stato risarcito de' tanti danni che aveva sofferto. Il nome storia ecclesiastica per quelle due lettere che sul conto di esso vescovo trovansi nelle opere di s. Gregorio Magno; ma nessun altro ragguaglio si aveva della vita di lui, e del suo pontificato, quando nella primavera e nella state dell'anno 1843, volendosi costrurre un canale sotterraneo, si fecero alcuni scavi nel primo cortile e nella parte che è verso levante del palazzo vecchio del Re, in fondo alla piazzetta che divide esso palazzo dalla chiesa cattedrale di s. Giovanni, e sotto l'andito della porta a ponente del nuovo palazzo reale. Nel cortile gli scavi scuoprirono una fila di sepolcri, tutti privi d'iscrizioni e di segni da poter conoscere quali persone vi fossero state seppellite. Proseguitisi poi gli scavi sotto l'andito che mette nel cortile del nuovo palazzo del Re, si scuoprì addì 5 d'agosto dello stesso anno 1845 il sepolero di Ursicino vescovo di Torino. Due iscrizioni importanti, che qui riferiamo si leggono sopra una gran lapide di bianco marmo, sotto cui riposavano le ossa del vescovo; la prima orizzontale sulla parte superiore della marmorea lapide dice così:

di Ursicino era già illustre nella

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MINVS LXXX

Più sotto entro ad un cerchio, in cui è segnato il mono

gramma di Cristo, si leggono quest'altre parole:

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Da queste due iscrizioni s'impara, che Ursicino visse ottant'anni circa, pontificò per lo spazio di anni quarantasette, e mancò ai vivi il 20 d'ottobre nell'indizione decimaterza. Essendo probabile che lo scrittore di quelle iscrizioni abbia voluto segnare l'indizione costantiniana, che era la

più comune, e cominciava il 24 di settembre, la morte di Ursicino sarebbe avvenuta nel 609, e in questa ipotesi egli sarebbe nato nel 529, e sarebbe stato consecrato vescovo nel 562.

Si hanno alcuni buoni indizii, ma non sufficienti a far credere che il vescovo Ursieino di santa memoria sia sant'Urso vescovo, di cui la chiesa torinese, da tempo rimotissimo fa l'uffizio nel dì 1.° di febbrajo.

Ritornando a parlare di Agilulfo, dobbiam notare che oltre alla novella sua dignità di Re, ei dovette riconoscere da Teodolinda sua benefattrice e consorte i sentimenti che egli ebbe, più che niun altro de' suoi predecessori, in materia di religione; e dalle favorevoli inclinazioni che i due regnanti mostrarono verso la religione cattolica, nacque all'italia un gran vantaggio, quello cioè che di quindi in poi si cominciò ad introdurre in questa provincia l'uniformità é la purità della religione. La santità e la dottrina di Gregorio Magno, che reggeva con infinita lode la chiesa di Roma a' tempi del re Agilulfo, fu in gran parte cagione della pietà di Teodolinda, e della conversione del suo ma÷ rito, al quale fu dato il nome di Paolo, come già ad Aus tari erasi dato quello di Flavio, in memoria di Flavio Vespasiano che fu il più mite, e più fortunato de' cesari. Poche sono le contrade della Lombardia, dove 0 non si mostrino ancora o non si sentano citar monumenti della pietà di questi due reali conjugi. Essi dedicarono a Monza una stupenda basilica in onore di s. Gioanni Battista, dove mostrasi tuttavia, fra parecchie corone di essi, la corona ferrea che dicesi formata d'uno dei chiodi della passione di N. S.; ed è appunto quella che Napoleone nel di della sua incoronazione a re d'Italia, si pose in capo, dicendo Dio me la diede, guai a chi la tocca: non si tardò molto tempo a conoscere la vanità di tali parole. Agilulfo vi offerì anche una corona d'oro ricca di pietre preziose con questa iscrizione:

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Questa od un'altra corona d'oro, di cui Agilulfo cingevasi il capo, nello scorcio del secolo xvi fu trasportata in Francia, e deposta in una pubblica biblioteca; ma venne rapita da ladri, e fusa nel 1804: Agilulfo e Teodolinda fecero altrettanto in Torino della chiesa del battistero al santo Precursore eretta; ed in allora può dirsi che ebbe principio la superiorità della basilica di s. Gioanni sopra le due chiese del SS. Salvatore e di s. Maria.

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Con molto utile e memorabile esempio fo' Agilulfo anche vedere che la pietà de' sovrani non indebolisce e non isnerva il vigor del governo; perocchè in mezzo ai discorsi e alle pratiche di religione, che occupavano non poca parte dei giorni suoi represse come afferma il Muratori, an. 612, l'ardir de' Franchi, che tuttavia di tempo in tempo scendevano ad infestare il nostro paese. Stabili pace onorata e ferma con buone ed onorevoli condizioni cogli Avari che molestavano l'Istria; crebbe il suo reame con l'espugnazione di Padova e di altri luoghi forti che ancor si tenevano per l'imperio; e indusse gli esarchi de' Romani a pagargli un tributo di dodici mila scudi d'oro. Paolo diac. lib. 4. Tenne a freno i suoi duchi, i quali per l'autorità quasi indipendente che esercitavano ne' loro governi, assai facilmente ricusavano di vivere subordinati al capo sovrano della nazione; e per gli intervalli pacifici che seppe procurare al suo regno, diede comodo e aggiunse stimolo a' suoi sudditi di andarsi spogliando la natia barbarie, e d'imbeversi di costumi più dolci e civili.

Il regno di Agilulfo dovette essere vantaggioso singolarmente a Torino e a tutto il Piemonte, perchè appunto furono lungi da' suoi confini le guerre. Non evvi memoria di alcuno nè disastro, nè tumulto, nè fatto d'armi che avesse luogo in tutta l'estensione del Piemonte moderno; e neppure dalle alpi sino alla foce del Ticino, o alle rive del mare ligustico. Per suo proprio genio moderato e tollerante, mentr'era ancora semplice duca di Torino, ne proteggeva i cattolici, quantunque allora professasse gli errori degli ariani, come la massima parte de' principi Longobardi. Quando poi divenuto Re, a persuasione di Teodolinda abbracciò la fede cattolica, assicurò a'suoi stati, e special

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mente alla torinese contrada ch'egli aveva governato come duca, una pace religiosa che per lungo tempo non fu turbata. E ciò che per noi più rileva, ritenne anche dopo es sere stato elevato al trono reale, il ducato o governo particolare della provincia torinese. Poi quando maritò la sua figliuola Gundeberga ad Ariobaldo o Arioaldo, lo creò e lo fece eleggere duca di Torino. Da ciò si dee credere che verso la città di Torino conservasse un affetto singolare sì per l'amore della diletta sua figlia, ivi maritata, e per la bontà degli abitanti, come anche per la vantaggiosa positura di essa e per l'opportunità del passaggio delle alpi. Il per chè sembra non improbabile l'opinione di alcuni scrittori, i quali avvisano che Teodolinda abbia trasferito in Torino per qualche tempo la reggia. Agilulfo restituì i beni involati nella prima irruzione dei Longobardi alla chiesa di Torino, le restituì il suo vescovo, procurandogli la maggior riverenza non solo dei cattolici, ma eziandio dei pochi superstiti ariani; troncò le radici delle ribellioni; e finalmente dopo un felicissimo regno di venticinque anni, secondo il computo di Paolo Varnefrido, più conosciuto col nome di Paolo Diacono, cessò di vivere, lasciando di sè il più gran desiderio.

Ad Agilulfo succedette il suo figliuolo Adoloaldo giovinetto di dieci in undici anni sotto la tutela di Teodolinda, la quale seguitò ad assisterlo co' suoi consigli quando fatto maggiore prese a governarc da sè. Ma la vedova regina madre finì di vivere nell'anno 628, quando Adoloaldo non ancora compiva il ventesimoterzo anno dell'età sua. Per destino assai frequente delle cose umane, il figliuolo di Agilulfo, benchè cattolico, non ebbe virtù simile al padre, o ebbe il voler del cielo men favorevole alle sue imprese. In dieci anni di regno non lasciò Adoloaldo alcun monu. mento che gli acquistasse rinomanza appresso i posteri. Solamente sappiamo che l'astuto Eraclio imperator greco, il quale sempre meditava la rovina del regno longobardico, vedendo che con la forza non potea conseguire il suo fine, ricorse alle patrie arti; perchè simulando una gran brama di continuare col nostro Adoloaldo una stretta confederazione, gli mandò un facondissimo e sommamente scaltrito

ambasciadore per nome Eusebio, il quale con tanti vezzi e tanti astuti modi seppe guadagnar l'animo di Adoloaldo, che cominciò riscaldarlo nelle dispute religiose con danno de' suoi sudditi, e poi con un certo beveraggio gli sconvolse così fattamente l'uso della ragione, ch'ei fece uccidere dal carnefice pubblicamente parecchi nobili longobardi, che non avevan delitti; sicchè al fine ribellatisi gli altri più po • tenti, il re Adoloaldo fu spento col veleno (625); ed a suo successore. venne eletto un altro duca di Torino, cioè Arioaldo cognato di lui, e marito di Gundeberga. Dicesi da qualche storico che Adoloaldo perdesse il trono e la vita ad istigazione dei vescovi transpadani, e che per loro cura gli succedesse Arioaldo; ma egli è probabile che questi avvenimenti succedessero principalmente per opera di Arioaldo, fattosi capo de' malcontenti per motivo di paterne inimicizie, massime dacchè il di lui genitore fu punito di morte da Agilulfo. Tuttavia, se fu poco legittima la elezione di Arioaldo al trono, egli vi si tenne non senza lode dimoderazione e di giustizia per assai tempo. Tale era divenuta la sua riputazione di equità, quantunque ancor professasse l'Arianesimo, che il vescovo di Tortona ne chiese il patrocinio in occasione di un litigio ch'egli sosteneva, contro Bertolfo abate di Bobbio; e secondo che narra Giona, di cui parlammo nell'articolo Susa, e che viene meritamente riputato come l'unico scrittore fornito di buone lettere al tempo tenebroso de' Longobardi, molto saggia fu la risposta che Arioaldo diede al tortonese prelato. Egli è certo che questo Re fu d'indole assai mite, e bramosissimo di rendere fortunati i suoi sudditi; ma la potenza troppo grande e le incessanti cabale de' due fratelli duchi del Friuli intorbidarono non poco il suo regno; ed i sospetti maliziosamente insinuatigli che Gundeberga sua moglie mantenesse occulti maneggi con quei duchi, ed anzi fosse in amorosa corrispondenza con uno di essi per nome Taccone, gli vennero ancora a turbare l'interno della famiglia, e la quiete domestica; a tal che, indotto dalle maligne detrazioni di un Ansaldo suo cortigiano, spogliò Gundeberga della dignità di regina, e nell'anno 632 la fece rinchiudere in una torre della rocca di Lumello. È facile immaginarsi quanto grave

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