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fosse il cordoglio dei Torinesi pel tristo destino di questa principessa, figliuola di Agilulfo, al quale si erano dimostrati affezionatissimi; ma essi sommamente esultarono quando seppero com'ella venne posta in libertà; locchè avvenne nel seguente modo. La infelice Gundeberga già trovavasi da alcuni anni nel carcere di Lumello, quando alla corte di Arioaldo comparvero due ambasciatori del Re di Francia Lotario II, i quali a nome di lui, come parente della imprigionala regina, venivano a provarne l'innocenza. Nell'assegnato giorno un campione eletto per parte di Gundeberga trovossi armato da capo a piedi per difenderne le ragioni secondo l'uso barbaro di quei tempi che scioccamente chiamavasi Giudizio di Dio: l'accusatore Ansaldo ne fu ucciso nel duello, e Gundeberga dichiarata innocente, ritornò allo sposo ed al trono.

Intanto Arioaldo, non volendo nè compromettere, nè consumar le sue forze per abbattere i duchi del Friuli, guadagnò un ministro dell'Imperatore che li uccidesse a tradimento. Questo fatto costò al re de' Longobardi la cessione di un tributo che gli si pagava dagli esarchi di Ravenna. Tuttavia Arioaldo non andò lungo tempo lieto dell'esterminio di que' suoi nemici, essendo ancor egli morto senza prole un anno dopo. Allora si vide di bel nuovo arbitra del regno longobardo una vedova, cioè Gundeberga, la quale per altro fu meno felice nella scelta del secondo marito, di quel che era stata Teodolinda, perocchè diede la mano di sposa a Crotario, o Rotari, duca di Brescia, che, come narra il Sigonio, occupò la provincia delle alpi cozie, vale a dire la parte della Liguria marittima, che nella provincia delle cozie alpi era stata compresa, e non già del Piemonte che eziandio le apparteneva, perchè questo già trovavasi occupato dai Longobardi a' tempi della loro prima venuta.

Rotari ebbe i vizi e le virtù che ben sovente s'incontrano in quelli, che dagli storici son chiamati gran Principi. Poco scrupoloso in fatto di femmine, si tolse per sue concubine quante ne gli piacquero. Risoluto e fiero a reprimere la prepotenza e le macchinazioni dei grandi, ne commise al boja un grande novero con più biasimo di crudeltà, che con lode di giustizia. Ma nel tempo stesso prode ed intraprendente 14 Dizion. Geogr. ec. Vol. XXII.

nelle cose di guerra, assalto più volte i Romani, e tolse loro molte terre nella Liguria marittima spezialmente, mentre essa trovavasi ancora soggetta all'imperio da Luni sino ai confini di Francia. Le sue barbare truppe da lui aizzate vi commisero le più orribili crudeltà, e fecero tali devastazioni, che non bastano le parole a darne un'adeguata descrizione. Paolo Diac. lib. 4, c. 47. Egli, al dire dello stesso Sigonio, tolse pure alla chiesa romana varie possessioni nelle cozie alpi, cioè nei balzi della Liguria, e non già nel nostro Picmonte, come alcuni credettero per isbaglio. Ciò non pertanto egli, desideroso di mantenere l'equalità e la giustizia ne' popoli a lui soggetti, fu il primo tra i principi Longobardi che desse leggi scritte a' suoi popoli, i qual fin allora si erano governati seguendo semplicemente le usanze dei loro antenati. Il qual sistema di governo, per poco che la nazione inclini alla corruttela, porta seco gravissimi incovenienti. Perciocchè, dove appena con leggi chiare e fisse si possono gl'inferiori difendere ed assicurare dalle violenze dei potenti e dei ricchi, molto difficilmente si potrebbe far ragione agl'inferiori dove non essendovi altra regola che l'usanza, basta che un grande faccia due volte la stessa ingiustizia per pretendere di farla senza controversia nell'avvenire. Questo era appunto il disordine a cui il re Rotari cercò di portar rimedio; e diffatto nell'esordio del suo codice di leggi civili da lui pubblicato nel 643, codice che servì di base e di norma ai longobardi giudizi, dichiarò egli stesso ch'erasi indotto a fare quella nuova compilazione di leggi per causa dei continui travagli dei poveri, ed anche per motivo delle soverchie gravezze che si ponevano da' più potenti contro i più deboli. E però questo novello codice forma senza dubbio nell'interiore e civil governo del regno d'Italia un'epoca notabile. Non vuolsi per altro tacere che le sue leggi penali si risentono molto della barbarie, ed anche di una somma ingiustizia.

Dopo la sua morte, avvenuta circa l'anno 651, salì al trono il suo figliuolo Rodoaldo; ma non regnò che per soli cinque mesi, perchè la sua incontinenza fece che venne ucciso da un marito nell'onore della sua donna offeso e vituperato da lui. Fu chiamato a succedergli Ariperto 1, figliuolo di Gon

debaldo, o Gondoaldo, duca d'Asti, del quale nient'altro si sa, fuorchè morendo lasciò il regno diviso a due suoi figli, Bertarito e Godeberto, destinando al primo Milano con la parte della Gallia cisalpina che è sulla sinistra del Po, ed all'altro Pavia colla Liguria posta fra il Po e le alpi marittime. Al governo di Torino rimase Garibaldo. La gelosia si mise assai presto fra i due fratelli: a Bertarito, come primogenito, spiaceva di vedersi uguagliato al fratello minore, e dava manifesti segni di volerlo spogliare. Godeberto, sentendosi meno forte, mandò il duca di Torino a chiedere ajuto a Grimoaldo duca di Benevento, promettendogli una sua sorella per moglie se egli veniva con buone forze a difenderlo ed ajutarlo contro il fratello. Il duca di Torino, che era un uomo perfido, andò senza indugi a Benevento, e ne persuase il Duca, non già a venire in soccorso di chi lo mandò, ma sibbene a togliergli il regno. Venne Grimoaldo, e l'iniquo duca di Torino, fatto nascere un alterco col re Godeberto, di propria mane lo trucidò; sicchè Grimoaldo ne occupò lo stato, e sposonne la sorella. Non è ben certo se Grimoaldo venisse con animo già risoluto d'usurpar la corona a chi lo aveva chiamato, o se per malvagi suggerimenti vi si risolvesse dopo che si trovò in Pavia nel palazzo del Re. Ma siccome era venuto per far guerra a Bertarito, contro lui volse effettivamente le armi, dopo che fu ucciso il di lui fratello, e si fece riconoscere dai Longobardi sovrano di questa parte d'Italia.

Ma l'orrendo delitto di Garibaldo duca di Torino non rimase lungo tempo invendicato. Tra i familiari del Re ucciso eravi un torinese, piccolo di statura, ma di svegliato ingegno ed arditissimo, il quale, ritiratosi nella nostra capitale, ove era nato, nutriva un ardente desiderio di vendicare il suo signore. Egli colse l'occasione in cui, ricorrendo la solennità della Pasqua, il duca Garibaldo dovea recarsi con grande corteggio alla chiesa di san Giovanni: ivi salì sul fonte del battistero, sorreggendosi colla sinistra mano ad una colonnetta, e tenendo colla destra il ferro sotto alle vesti, che lunghe ed ampie portava alla foggia dei Longobardi; e nel punto che il Duca trapassò la porta del torinese duomo piombatogli addosso, gli troncò il capo. E così, dice il Var

nefrido, ei fe' vendetta del suo signore; ma subito da quelli che accompagnavano il Duca fu egli pure immantinente ucciso. Spettacolo orribilissimo, che cambiò in profonda mestizia la gioconda solennità, e mise un alto raccapriccio nell'animo di tutti i Torinesi.

Dopo che Grimoaldo si fece riconoscere sovrano de' Longobardi di questa parte d'Italia, Bertarito, costretto a prendere la fuga, si ritirò nella Pannonia fra gli Unni, d'onde dovette anche partire, e non sapendo trovare altro scampo, venne a mettersi nelle mani di Grimoaldo, che da prima parve trattarlo con modi benevoli, e poi avvedutosi dell'affetto della nazione per esso, meditò di spegnerlo in un banchetto. Fatto conscio dell'empia risoluzione di quel barbaro Re, Bertarito, disguisatosi in forma di schiavo, se ne fuggì dalla corte, venne a ricoverarsi in Asti, e quindi a Torino, d'onde celeremente si dipartì per riparare appo il re Clotario III in Parigi. Clotario, ad istanza di Bertarito, mandò in Piemonte per la via di Provenza un esercito, che senza ostacolo arrivò presso ad Asti. Gli si fece incontro Grimoaldo, e, come astutissimo ed esercitato nel mestiere della guerra, con uno stratagemma trasse i nemici nel suo campo, cui finse d'abbandonar per paura, lasciandolo ben provveduto di viveri, e sopratutto di generoso vino astigiano, di cui le truppe di Clotario capitanate da Bertarito fece così larga gozzoviglia, che rimasero quasi tutte ubbriache; sicchè il Longobardo potè senza contrasto gittarsi loro addosso, e farne così orribile strage, che il luogo del combattimento fu detto Rivus Francorum, e chiamasi tuttavia Rifrancore. A tanta strage allude l'Ariosto nel canto XXXIII del Furioso, stanza XIII.

Bertarito disperando di poter ricuperare il perduto regno con gli ajuti francesi, stava per passare in Inghilterra, quando ricevendo l'annunzio della morte di Grimoaldo, avvenuta sul fine del 669, durante il regno del quale pare che fosse lasciato al governo di Torino e di tutto il Piemonte superiore un figlio di Godeberto, deliberò senza più di ricondursi in Italia; e con sua dolce sorpresa trovò per via i signori del regno che andavano ad incontrarlo, e che lo accompagnarono insino a Pavia, ove da tutti fu nuovamente proclamato

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Re. Egli associossi al ricuperato regno il suo figliuolo Cuniberto, che conservò regnando l'astese ducato. Dopo la morte del genitore, accaduta nel 686, Cuniberto regnò tranquillamente di per se solo sino all'anno 690; ma ebbe poi a fare assai con Alachis duca di Trento, uno dei più tristi e feroci tiranni che ci presenti la storia de' Longobardi. Vinto ed ucciso Alachis in una battaglia, Cuniberto non ebbe più nemici che gli dessero disturbo. Regnando lui, era duca di Torino un suo congiunto chiamato Ragumberto o Regimberto, salvato per avventura dalle mani di Grimoaldo, allorchè Godeberto di lui padre fu ucciso, e Bertarito fuggì dal regno. Costui, quando Cuniberto morì lasciando ancor tenero fanciullo l'unico figliuolo Liutberto, occupò il regno, e lo lasciò, mancando ai vivi un anno dopo al suo figliuolo Ariberto, secondo di questo nome, il quale in un combattimento vinse Liutberto, e regnò con riputazione di principe pio e caritativo; finchè sceso, contro di lui ed ajutato dai Bavari Asprando già tutore di Liutberto, combatterono i due nemici presso a Pavia, ed Ariberto, fuggendo, si annegò nel Ticino.

Non si hanno altri particolari ragguagli relativi a Torino, ed a' suoi duchi Longobardi, durante il tempo del dominio di questa nazione in Italia; e nulla si può sapere di certo per riguardo alla torinese cattedra vescovile, tranne che nel 678 la occupava il vescovo Rustico, il quale intervenne al concilio di Roma, celebrato dal papa sant'Agatone nel 679, essendo perite le memorie di quelli che dopo Ursicino lo precedettero, come di quelli che lo seguitarono sino a Reguimiro.

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Ariberto o Ariperto II segnalò il suo regno per l'amore costante della giustizia e della religione. Essendo piissimo Principe fondò la celebre abazia del Villare che prese il titolo de' ss. Costanzo e Vittore. E varii grandi del regno fondarono altri monasteri, che divennero celebri per la santità, e la dottrina dei religiosi che vi si raccoglievano. Per tal modo i Longobardi che nella loro prima irruzione in Italia davano continue prove non solo di rozzezza, ma di ferocia, penetrati finalmente della soavissima luce, cui la religione cattolica inspira, divennero temperati, benefici e giusti.

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