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dichiarò profano e nullo il battesimo, che secondo il rito della chiesa si amministrasse facendo il segno della croce sulla fronte dei bambini. Pur troppo aveva Claudio due grandi vantaggi per ingannare i semplici, vale a dire la facondia e l'ipocrisia: quando parlava in pubblico pareva un Giangrisostomo, e sapeva così nascondere i suoi versipelli costumi, che al cospetto del pubblico compariva come un prelato di rigorosa e santa vita. Epperciò in sulle prime pare che abbia sorpreso non pochi degli abitanti di Torino; perocchè in un suo scritto indirizzato all'abate Teodomiro, che eragli stato amico, si vantò che subito salito a questa sedia episcopale persuase alla plebe la sua nuova dottrina. Insegnava Claudio che Dio solo è l'oggetto del nostro culto; che il venerare le immagini dei santi ed anche quella del divin Salvatore è lo stesso che cadere nell'idolatria; vietava al clero ed al popolo di onorare ed invocare i santi, e di onorare le loro reliquie. Nelle Litanie e negli uffizi divini tolse il nome de' santi, abolì tutte le feste che si celebrano in loro onore, e vietò di accendere le faci nelle ecclesiastiche funzioni: altamente biasimava i pellegrinaggi, con cui molti fedeli si conducevano a Roma per venerarvi i santi apostoli; e precipitando di eccesso in eccesso, oltre il rinnovare l'eresia di Vigilanzio, riprodusse anche quelle di Ario e di Nestorio intorno alla divinità del Verbo.

Per queste empie novità innorridivano i sacerdoti ed i fedeli torinesi, i quali perciò lo guardavano non già come il loro pastore, ma come un empio nemico di Dio e della chiesa. A tal che egli stesso scrivendo ad un suo amico si espresse nel seguente modo: « Venni in Italia, nella città di Torino, e trovai tutte le basiliche piene d'immagini. E perchè io solo pigliai a distruggere quello che gli uomini veneravano, tutti aprirono le bocche per bestemmiarmi, e se non fosse che il Signore mi ajuto, mi avrebbero ingojato vivo... Incontanente fui fatto obbrobrio ai vicini miei ed orrore a quelli che mi conoscevano, intanto che quelli che mi vedevano, non solo mi beffavano, ma eziandio l'uno all'altro mostravanmi a dito: opprobrium factus sum vicinis meis, et timor notis meis in tantum ut qui videbant nos, non solum deridebant, sed etiam digito unus alteri ostendebant ». Dal

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che vedesi chiaramente che nè la facondia di Claudio, nè la sua ipocrisia poterono sviare i buoni Torinesi dal retto sentiero, in cui eran eglino stati posti per opera del grande 8. Massimo, e de' suoi zelanti successori. Il primo de' sacerdoti di Torino che si diede a combattere le eresie di Claudio fu un canonico del torinese capitolo di s. Salvatore, per nome Ludovico; e contro le eresie medesime non SOJamente questo canonico, ma eziandio tutti gli altri suoi colleghi reclamarono altamente, ed affinchè non si spargesse così pestifera infezione, ricorsero alla Santa Sede. Egli è certo che il sommo pontefice Pasquale I si mostrò sdegnatissimo verso l'empio novatore; tanto più che gli venne l'infausta notizia di quanto a danno della chiesa operava Claudio in Torino nel medesimo tempo in cui gli erano sopravvenute ambasciate dall'Oriente che gli annunziavano una Aerissima persecuzione contro que'cattolici, mossa dagli éretici iconoclasti; a tal che, mentre il Papa ardea di zelo per impedire, e far cessare quel gran disordine in lontane regioni, seppe con suo grande cordoglio, che già in questa superior parte d'Italia spargevasi dal torinese vescovo l'eresia. Siccome il sommo Pontefice avea subito spediti legati in oriente per confortare i fedeli, e confutare le falsità, condannando gli autori dell'abbominevole dottrina; così altamente minacciò Claudio di gravissime pene, qualora non avesse cessato di spargere i suoi falsi dommi: nè di minore indegnazione si armò cóntro di lui il successore di Pasquale, 'che fu Eugenio II. il quale contro gli iconoclasti si mostrò implacabile; ma questi provvedimenti pontificii, per riguardo a Claudio, furono vani.

La fama delle sue eresie dal nostro paese passò tostamente in Francia ed in Germania, ove parecchi scrittori si fecero a combattere il torinese vescovo iconoclasta. Il primo che gli serisse fu un suo amico, cioè quell'abate Teodomiro, di cui abbiam già fatto menzione. Volendo questi far cessare lo scandalo che Claudio cagionava nella sua diocesi, col distruggere le sacre immagini, gli scrisse ́una dotta lettera, in cui con forti ragioni, ed insieme con ́espressioni amorevoli cercò di trarlo d'inganno. A questa saggia scrittura rispose Claudio con alterigia e per

tinacia, dando alla sua risposta il seguente titolo: Apolo geticum atque rescriptum Claudii adversus Theodomirum abatem. Si accinse dopo Teodomiro a difendere la venerazione delle immagini sacre un altro pio e dottissimo monaco irlandese, denominato Dugallo, che ai tempi di Carlo Magno erasi ritirato nell'abbadia di s. Dionigi in Francia. Il libro che scrisse contro le eresie del torinese vescovo, fu da lui dedicato agl'imperatori Ludovico e Lotario, e trovasi nella biblioteca de' Padri stampatá in Lione, tom. 44. I tempi che corrono, ci consigliano a fare un breve cenno di quanto disse il rinomatissimo Dugallo in quel suo libro. Comincia egli a stabilire, conformemente ad una conferenza tenuta in un concilio di Parigi l'anno 825, che niuno mai non deve essere tanto insensato di offerire sacrificio od onori divini agli angeli, ai santi, od alle immagini loro; ma che nemmeno vi dee essere alcuno tanto ardito di sprezzare le immagini sacre: riferisce poi molte autorità de' santi Padri, e particolarmente di s. Paolino, per mostrare che le sacre immagini sono sempre state in uso nelle chiese; e sostiene che Claudio, negando la venerazione ai santi, e alle loro reliquie, rinnova gli errori di Vigilanzió e di Eunomio. Ad un'altra falsa proposizione di Claudio, con cui offendeva l'onore fatto alla Croce, risponde Dugallo, che i veri cristiani, ad esempio dell'apostolo s. Paolo, pongono la loro gloria nella croce di Gesù Cristo, il quale non volle che la sua passione restasse celata a'cristiani, come cosa vergognosa, ma che anzi se ne facesse continua memoria nella sua chiesa. Quindi reca molté autorità per mostrare che in ogni tempo la croce fu onorata da fedeli, e soggiunge che un vescovo, il quale abbia in orrore la croce di Gesù Cristo, come avevala Claudio, non può esercitare le funzioni ecclesiastiche, benedire il santo crisma, imporre le mani, dar qualche benedizione, celebrare la messa; imperciocchè, come dice sant'Agostino, non si può fare legittimamente alcuna di queste funzioni senza il segno della croce. Continuando poi il dotto Dugallo, osserva che Claudio rigettando la croce, si dichiara nemico della Incarnazione e della Passione del figliuol di Dio, e condannando i pellegrinaggi fatti ad onorare i santi, a venerare il luogo del loro

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martirio, il deposito delle loro reliquie, 'egli condanna la pratica di tutti i primitivi cristiani, i quali usarono sempre. particolar venerazione a' sepolcri di Eliseo, del santo Precursore, dei ss. apostoli Pietro e Paolo in Roma, quelli dei ss. martiri e segnatamente quello di s. Felice di Nola, ove accorrevano i fedeli da tutte le parti della terra. Il celebre confutatore di Claudio osserva ancora, che questi colla sua falsa dottrina ardisce biasimare un s. Gerolamo, una s. Paola, che intrapresero il pellegrinaggio nella Palestina per onorare quelle sante memorie, e biasima un sant'Agostino che volle esporre alla pubblica venerazione le reliquie del protomartire santo Stefano, non che i riti di tutte le chiese che praticarono sempre sin da' primi secoli di accendere lampadi ad onore de' santi. Nelle quali cose, termina egli, è tanto più da riprovarsi Claudio, in quanto che pertinace ne' suoi errori ed in molte altre empietà, ricusa d'intervenire al concilio de' vescovi, ov'è stato chiamato, dicendo colla massima impudenza, ch'esso concilio è una radunanza di asini. Discordano gli eruditi, nello assegnare il luogo e l'anno di questo concilio. Ceillier avvisa che sia quello celebratosi in Parigi l'anno 825, delle cui decisioni, l'imperatore Ludovico ordinò che si mandasse un sunto al papa Eugenio II.

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Informato questo Imperatore degli errori di Claudio, della sua ostinazione in difenderli, volle che le scritture di lui fossero diligentemente esaminate da più dotti uomini del suo palazzo, i quali tutti convennero doversi condan-, nare gli scritti di Claudio, ed avendone fatto un epilogo, gliene mandarono una copia. L'Imperatore allora diede l'incarico a Giona, vescovo d'Orleans, di scrivere una nuova confutazione. Questi la intraprese incontanente, scrivendo un trattato diviso in tre libri col titolo De cultu imaginum... et de adoranda Cruce.

Il Tesauro afferma che Claudio s'indusse allora a condannare pubblicamente i proprii errori, e che diede prove manifeste della sincerità di sua conversione, quando la città di Torino si trovò in pericolo di essere sopraffatta dai Sa❤ raceni, i quali nella loro empietà non solo abborrivano la croce, e le sacre immagini, ma atterravano gli altari, i

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templi, ed uccidevano i sacerdoti. Nessun vescovo, dice il Tesauro, mostrò in Italia tanto furore contro que' barbari, quanto il nostro Claudio; perocchè avendo da Ludovico imperatore una pienissima autorità eziandio nelle cose temporali, ricorse alle armi, e non come vescovo, ma come capi-, tano, chiamò tutti i Torinesi atti alle armi sotto le insegne, raunò un esercito; ordinò i militi veterani, elesse capitani novelli, ed invece della verga pastorale, impugnando la spada, condusse i valorosi uomini di Torino ad affrontare que'barbari nemici della cattolica fede, e più d'una volta venuti alle mani con essi, tornò sempre vittorioso nella nostra capitale. Ma da nessun altro scrittore si parla nè del ravvedimento di Claudio, nè delle sue belliche imprese a danno de' Saraceni; e tutti i migliori storici ne accertano che quest'empio vescovo contiuuò ne' suoi errori durante tutto il corso della sua vita; locchè torna a biasimo dell'imperatore Ludovico, il quale, quando nominò Claudio a vescovo di Torino, ben poteva essere ingannato a riguardo di lui, e crederlo degno dell'alta dignità conferitagli; ma se gli mostrò connivente quando più non potè non conoscerlo, in seguito a quanto fu deciso da un venerando concilio, e dai moltiplici scritti venuti in luce contro questo eretico; a tal che si rese colpevole non reprimendo lo scandalo e non castigando lo scandaloso. Diffatto il commentario di Dugallo contro l'empietà di Claudio, fu dirittamente inviato all'Imperatore, per accenderlo al patrocinio della chiesa cattolica tanto apertamente oltraggiata dall'iniquo vescovo. Ma Ludovico non pose mente a tutto ciò, non rimosse Claudio dalla sua sede, e acconsentì che egli rimanesse tranquillo in Torino con grande scandalo degli abitanti. Anzi negli annali ecclesiastici si legge che Ludovico si lasciò indurre da coloro che in Francia insegnavano le false dottrine di Claudio, a fare istanze a papa Eugenio, affinchè questi permettesse sopra di ciò qualche mezzano temperamento. Comunque sia, certo è che Ludovico attribui egli stesso a gravissimi suoi mancamenti le angoscie, ed i travagli che gli fu forza di tollerare da' suoi figliuoli; travagli che posero quindi non solo la città di Torino, ma tutta Italia, ed anzi tutto l'impero in grandissima turbazione.

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