Immagini della pagina
PDF
ePub

a

Fatto è che nell'anno 827 l'indegno vescovo Claudio as-
sistè in Torino ad un solenne giudizio vertente fra l'abate
della Novalesa e diciassette valleggiani di Oulx. Giunge in
quell'anno nella nostra capitale il messo imperiale Bosone,
conte di Provenza, che rappresenta l'Imperatore. Egli siede
in giudizio nel palazzo detto Curte Ducali, ed eziandio Curte
Ducis, perché un secolo avanti ivi risiedeva la corte dei
duchi Longobardi: essó trovavasi nella via di Torino, che
di presente chiamasi contrada del Gallo. A' fianchi di Bosone
ivi siedono Ratperto, o Ratpertone, conte di Torino, ed il
ridetto Claudio vescovo di questa città, e vi stanno pure
cinque vassi dell'Imperatore, due giudici imperiali, due sca-
bini del conte Bosone, tre scabini di Torino e tre vassi del
conte Ratperto. Diciam di passata, che i vassi imperiali e
quelli dei vescovi e dei conti erano uomini, che per le loro
benemerenze, o per quelle delle loro famiglie verso i proprii
signori, godevano particolari favori e privilegi, e compari-
vano nei pubblici giudizi come assessori aventi il diritto del
voto consultivo: avevan eglino anche l'obbligo di difendere
i loro signori, fosser questi imperatori, vescoví o conti,
di far ad essi corteggio in tempo di pace. Gli scabini erano
a un di presso ciò che or sono i Giurati, vale a dire uomini
riconosciuti come intelligenti e probi, e destinati con voto
popolare a compierne i placiti con l'ufficio di giudice: i giudici
dell'Imperatore, o del Re, o del sacro palazzo erano giure-
consulti-approvati. Non solo le città, ma anche i borghi ed
i piccoli villaggi avevatio i loro scabini, scelti fra gli uomini
che fossero ereduti ben pratici delle consuetudini locali.

Or dunque al conte Bosone ivi si presentarono nell'anzi-
detto anno diciassette uomini di Ulcio, ossia Oulx, quere
landosi di essere ingiustamente trattati come schiavi dai mo-
naci della Novalesa, dei quali a quel tempo era abate un
Elderado. Bosone allora chiamò a sè Ghiselberto di Feletto,
avvocato di quei monaci, il quale non credendosi abbastanza
informato per rispondere subitamente alla quistione, furono
le parti rinviate al primo giudizio ché terrebbe Ratperto,
Ratberto, conte di Torino. In questo giudizio, al quale in-
fervennero pure il vescovo Claudio, gli scabini del conte ed
i vassalli suoi, sedendo egli nella corte Contenasca, vale a

[ocr errors][merged small][merged small]

dire nel palazzo del conte, il felettese Ghisilberto dimostrò che quegli uomini di Oulx erano discendenti dai servi di Unnone figliuolo di Dionigi, il quale Unnone aveva donato ai monaci della Novalesa tutti i suoi beni mobili e stabili, e per conseguenza anche i servi, secondo l'uso di quell'età. Per questa e per altre ragioni addotte dall'avvocato del monastero, e che non occorre qui riferire, il conte di Torino non dubitò di pronunciare la sentenza contro quei valleg→ giani.

Tre anni dopo questo placito tenuto in Torino cessò di vivere l'iconoclasta Claudio, che v'intervenne: checchè ne dica in contrario il Tesauro, quest'empio vescovo morì impenitente. Monsignor della Chiesa riferisce, che appena Claudio spirò, il suo corpo fu dalla sdegnata popolazione gittato dentro una fogna, e che il suo palazzo rimase disabitato e deserto, perchè era stato l'abitazione di un vescovo così indegno; ma il celebre Giona, meglio istruito di ogni altro intorno ad ogni particolarità riguardante a Claudio, e che non tenne mai occulte le ignominie di lui, non disse neppur motto di tale sprezzo fatto dai Torinesi al suo cadavere.

La memoria di Claudio iconoclasta fu sempre nella chiesa cattolica in esecrazione. Tuttavia alcuni moderni scrittori valdesi lo dichiararono per loro capo, chiamandolo degno e selante prelato, vescovo virtuoso, uomo di pello forte, animato dallo spirito del Vangelo, uomo di un sembiante inspiratore ec. Ma questi Valdesi s'ingannano a gran partito. Appena Claudió morì, in tutte le chiese della diocesi di Torino furono tosto ristabilite le croci, le immagini sacre e le reliquie de' santi, che in gran parte erano state sottratte ai furori di lui. In breve tempo sparirono i pochissimi seguaci di questo vescovo iconoclasta, nè mai più parlossi di loro in Piemonte; il perchè non si può concepire che ad essi alcun'altra setta o di Valdesi, o di altro nome si unisse dappoi; e al tutto manca ogni anello di comunicazione tra loro e la settá di Valdo comparsa tre secoli dopo.

Al che si arroge, che alla supposta origine de'Valdesi dal vescovo Claudio si oppongono essenzialmente le dottrine degli uni e quelle dell'altro. I due punti di dottina sostanžialí, per cui venne accusato e condannato Claudio dagli

anzidetti scrittori e dai concilii del suo tempo, furono il negare la divinità di G. C, e l'abbominare le immagini; mentre l'error principale di Valdo era il credere necessaria alla saJute l'apostolica povertà; errore che non fu mai ammesso da Claudio, il quale d'altronde non negò mai la presenza reale di G. C. e la trasustanziazione nell'Eucaristia e non negò mai un solo de' sette sacramenti, e nè anco niegò la primazia de' romani Pontefici, quantunque ne parlasse talvolta con poco rispetto: finalmente Claudio non conobbe l'autorità dello spirito privato nello interpretare le divine scritture. Tutto al più si può dire che i Valdesi hanno comune con Claudio l'odio alle sacre immagini, la pertinacia nell'errore, l'abbandono della chiesa cattolica, la quale lutte similmente condanna le sette e le eresie antiche e moderne.

L'imperatore Ludovico, che non mai volle reprimere gli scandali dati dal vescovo Claudio ai Torinesi, poco stante dalla morte di Bernardo, infelicissimo re d'Italia, fu per consiglio de' suoi indotto a menar altra sposa, la, quale fu Giuditta, figliuola di un Guelfo nobilissimo bavarese; e forse per levare alla nuova regina la presenza d'un figliastro, cioè di Lotario, e perchè questi non fosse obbligato a far sua corte ad una matrigna; il mandò al governo delle provincie di qua dell'alpi, aggiungendogli al titolo ch'ei già portava d'Imperatore quello di re d'Italia; Ludovico frattanto richiamò il saggio Adelardo alla corte, e restituì la sua grazia a tutti coloro che n'erano decaduti, siccome fautori del mis sero Bernardo. Nè qui si stette la bonarietà dell'Imperatore; perocchè con un'azione più conveniente ad un novizio dei cappuccini, che ad un reggitor di popoli, in una numerosa adunanza di baroni e prelati del suo regno, con pubblica confessione accusò se stesso di ciò ch'era seguito nella causa del re Bernardo, come di un'ingiustizia enorme e scandalosa. Ora un somigliante atto d'umiltà valse a screditar fortemente il governo, e a ievar via dai sudditi quell'opinione troppo necessaria per la pubblica tranquillità, che il governo agisee sempre con buon fondamento. Comunque sia, la corte di Ludovico e quella di Lotario si trovarono governate dall'arbitrio de' due fratelli Adelardo e Vala, l'uno divenuto

consigliere intimo e ministro di Ludovico, l'altro mandato nuovamente con Lotario, dove già sotto il re Bernardo avea con grandissima autorità amministrato ogni cosa. Si attribuisce al consiglio di Vala, che fu uno dei grandi uomini di quel secolo, tutto ciò che si fece di buono tanto nel governo civile ed ecclesiastico, quanto nel ristoramento degli studii nel regno d'Italia per lo spazio di circa sette anni dal tempo che Lotario ne prese l'amministrazione sino alle tur4 bazioni grandissime che si levarono per tutto l'imperio nel1'850. Lotario segnalò il suo regno specialmente per la fondazione di pubbliche scuole, che furono i primi modelli delle università de' secoli posteriori. Tre di queste scuole, fondate, od almeno ordinate da Lotario, furono aperte in Piemonte; una in Torino, l'altra in Vercelli, la terza in Ivrea. Allo studio di Torino dovevano concorrere i giovani da Albenga, da Vado, da Alba.

Ci appressiamo ad un'epoca sciagurata. La nuova imperatrice Giuditta iva preparando materia a novità non più udita. La bellezza di lei e la vivacità del suo ingegno la rendettero subitamente arbitra dei voleri di suo marito, il quale, per le suggestioni di Giuditta, che voleva, come donna di alti spiriti, amministrare l'imperio, cominciò a pentirsi d'aver ceduto troppo precipitosamente al figliuolo i suoi stati; e questo rincrescimento fu assai più forte, allorchè la novella sposa gli ebbe partorito un figliuolo, a cui fu dato il nome di Carlo, e che divenne poi famoso nella storia di Francia sotto il nome di Carlo il Calvo. Troppo era naturale, che dopo la nascita di questo figliuolo nascesse ai genitori il pensiero di provvederlo di stato; ed era d'uopo per conseguente di scemar le porzioni già destinate, e quasi già date in mano ai tre fratelli maggiori, od acquistare un nuovo regno al principe Carlo. Si abbracciò il consiglio di un nuovo parteggiamento di stati per dividere in quattro tutta la massa dello stato, ch'erasi dapprima diviso in tre. Questo progetto non potea piacere ai tre fratelli maggiori, che perciò altamente protestarono all'Imperatore ed alla sua corte, ch'essi non erano per acconsentire a nuova divisione di regni. Il perchè si venne a dissensione aperta tra padre e figliuoli con infinito scandalo di tutti i buoni; e quello scandalo du

rerà sempre ne' posteri, a cui la storia lasciò contezza delle perfidie e degli spergiurii che furono commessi in quelle ostinate contese, e dell'abuso che fecero molti vescovi e non pochi monaci dell'autorità e del credito loro per sostenere una manifesta ribellione. Fatto è che il buon Ludovico fu condannato dal suo destino a passar la vita con l'armi in mano contro il proprio sangue, finchè parte per vecchiezza, parte pel dolore cagionatogli da quello tra'suoi figliuoli che già era fatto re di Baviera, morì in un'isola vicino a Magonza, allorchè già stava per dare nuovi ordinamenti a fine di assicurare il prediletto Carlo e l'Imperatrice, e lasciar, morendo, in pace la sua famiglia. Uno storico francese, parlando di quest'Imperatore, dice che fu principe ottimo, padre troppo buono, cattivo politico, Imperatore mediocrissimo benchè virtuoso.

[ocr errors]

Ma per la morte di Ludovico non cessarono le discordie della famiglia reale; ed ancorchè tutti e tre i fratelli avessero qualità da regnare migliori forse che non ne avesse il loro padre, non migliorò lo stato de' Francesi, nè quel d'ltalia, che avea sì stretta unione con gli affari di Francia, L'ambizione e il genio avido ed inquieto di Lotario Augusto, cagione principale delle calamità accadute sotto Ludovico riaccese ancora dopo la sua morte lo stesso fuoco delle guerre civili. Egli mirava a niente meno, che ad occupare tutti gli stati dell'uno e dell'altro fratello. Ciò non pertanto, dopo. tre anni di civil guerra, ei dovette ridursi a trattar di pace (anno 844), affinchè così gli uni, come gli altri potessero rivolgere le forze contro i nemici esteriori, cioè contro i Normanni da un canto, e i Saraceni dall'altro. Nell'anno stesso che questa pace fu stabilita fra i tre fratelli, Lotario Augusto, sebbene potesse egli medesimo venir facilmente in Italia a provvedere alle cose del nostro paese, giudicò meglio di mandarci il suo figliuolo Ludovico, che avendo poi avuto il titolo d'Imperatore, fu detto Ludovico Il. Sotto questo re d'Italia, che governò col titolo d'Imperatore, si ebbe nel nostro paese questo vantaggio, che il suo governo fu per allora fatto indipendente da ogni influenza di dominio estero; tal che pei venti anni che Ludovico II visse dopo la morte del padre, egli fu il primo e il vero arbitro e di ragione e

« IndietroContinua »