Immagini della pagina
PDF
ePub

di stato di tutte le italiche terre. D'altronde non v'ba dubbio, che Ludovico II fu il miglior principe che abbia avuto l'Italia dacchè essa cadde in mano degli stranieri. Appena trovarono gli storici cosa da riprendere nelle sue azioni e ne' suoi costumi. I Torinesi specialmente furono da lui riguardati con occhio propizio sì per la loro fedeltà mostrata anche nella disperata fortuna di Lotario, e si principalmente perchè conobbe quanto fosse il loro valore, e come avessero contribuito a parecchi trionfi da lui riportati; e diffatto avendo egli (Sigonio lib, 5) dovuto fare l'ultimo sforzo contro i Saraceni, al porto di Ostia, raccolse tutte le truppe della cisalpina, e tutte quelle cui potè fornirgli il torinese contado, le quali diedero in ispecial modo così belle prove di coraggio e di valore, che Ludovico potè riportare contro quei barbari quella grande vittoria, della quale il Sigonio dice niun'altra de' cristiani contra gl'infedeli potersi paragonare avanti quella di Marco Antonio Colonna.

Negli ultimi anni di Carlo il Calvo, nel breve regno di Carlomanno, e in quello di Carlo il Grosso, molte particolarità delle loro vicende avvennero e in Piemonte e in Savoja. Carlo il Calvo, fattosi per mezzo di ricchi doni creare imperatore in Roma, venne a Pavia con animo di comandarvi da sovrano, benchè non avesse preso la corona reale, Carlomanno, figlio di Ludovico II, venne dalla Germania contro Carlo il Calvo in Italia. All'avviso della sua venuta, Carlo il Calvo, lasciata Pavia, si ritirò e fortificò come meglio potè in Tortona, dove condusse anche il papa Gioanni VIII, cui avea fatto venire a Pavia; ma Carlomanno lo sbigotti talmente, che occultando anche alle sue truppe che lo seguivano la sua fuga, venne sollecitamente a Torino, e non soffermatosi in questa città, presa la via del Moncenisio, si condusse a Lansborgo, ove caduto infermo mori o per l'ignoranza, o per la perfidia di un medico ebreo. Carlomanno non trovò più ostacolo a farsi eleggere Re; passò alcuni mesi in Lombardia, dove spedì diplomi in favore di parecchi monasteri, e poi subito se ne partì riprendendo la via di Germania. Quivi languì infermo un anno intiero, e finì di vivere, non ancora compiti due anni dacchè era stato eletto re d'Italia. L'imperatore Carlo il Grosso, succeduto nell'879

a Ludovico il Balbo, per la sua inescusabile indolenza fu deposto da' suoi sudditi, e morì in gennajo dell'888.

XIV.

Suppone conte di Torino. Non apparisce che alcuno de' suoi valo-
rosissimi figli gli succedesse nella torinese contea. Probabile con-
dizione di Torino sotto i Re italiani e francesi.

Dall'anno 827, in cui Ratperto o Ratberto era conte di Torino, più non troviamo che altri occupasse quest'importante carica nella nostra capitale, sino all'878, in cui era conte di Torino un illustré personaggio per nome Suppone, il quale teneva ad un tempo i contadi d'Asti e di Albenga: due anni prima egli interveniva al concilio di Pavia, e sottoscriveva all'elezione di Carlo il Calvo a re d'Italia. In Asti risiedeva un suo visconte per nome Baterico, il quale presiedette in sua vece ad un placito nel dì 1.° d'agosto del1'880. Dicemmo qui sopra che sotto Ludovico 11 l'italia fu molto saggiamente governata, ed anzi ch'egli fu il miglior Principe che abbia tenuto l'italico scettro da che essa era caduta in mano degli stranieri. Or bene il nostro conte Suppone era stato il principal consigliero di questo buon Monarca; locchè dee tornargli ad eterna lode. Oltre a ciò egli erasi distinto col suo valor militare nell'esercito imperiale; ed aveva il vantaggio di essere di stirpe nobilissima, e del trovarsi stretto di parentela coll'anzidetto imperatore Ludovico II, e con Berengario I marchese del Friuli, che, come vedremo, fu poscia competitore di Guido nel regno d'Italia e dell'impero.

L'imperatore Ludovico II non lasciava morendo (an. 875) che una sola figliuola detta Ermengarda, la quale siccome ricchissima Principessa dovea essere maritata al figliuolo dell'Imperatore d'oriente; ma quel Bosone, conte di Provenza, del quale abbiamo superiormente dovuto far cenno, non dubitò di rapirla, e condottala a Vercelli, la sposò in presenza di Carlo il Calvo, e dell'imperatrice Richilde, che gli era sorella. Carlo il Calvo allora lo nominava duca di Milano; ma egli di ciò non contento aspirava alla corona d'Italia, e per ottenerla erasi procacciato il suffragio del papá

Giovanni VIII, che a quel tempo ritrovavasi in Francia, e sapendo quanto grande fosse in questi affari l'autorità e l'influenza di Suppone conte di Torino, gli scrisse una lettera, con cui lo invitò ad andargli incontro con la sua corte sino ad montem Cinesem, cioè al Moncenisio, primo confine di sua comital giurisdizione, annunziandogli che dovea trattare con esso lui di oggetti molto rilevanti. Labbé tom. 11, epist. Joan. VIII, 307.

[ocr errors]
[ocr errors]

Ma il nostro conte, che sosteneva le alte ragioni dell'imperiale dinastia Carolingia, non diè retta a quell'invito del Pontefice, sebbene questi nella lettera che gli scrisse, chiamato lo avesse glorioso conte; e nè anche badò quindi ai rimproveri che il Papa gliene fece, allorchè egli intervenne al concilio di Pavia, ove fu veramente eletto Carlomanno a cui il regno spettava. Il medesimo conte con un suo placito dell'880 confermò la sentenza che Ratperto suo antecessore avea pronunziato nella gran lite tra gli uomini della valle di Oulx, e gli abati del monastero della Novalesa. Antiq. ital. 1, dissert. 7. Circa quel tempo reggeva la chiesa di Torino il vescovo Claudio II o III, del quale non si sa altro che il nome. Correva l'anno 878 quando l'anzidetto papa Gioanni VIII venne a Torino in compagnia di Bosone duca di Provenza, e di Ermengarda sua consorte, e con brillante seguito di cortigiani. Quanto tempo siasi soffermato in questa città, e che abbia qui operato, s'ignora. Giova riflettere che l'illustre Suppone conte di Torino fu alcuna volta dal Muratori e dal Giulini confuso con due altri dello stesso nome, di cui il primo era marchese e duca di Spoleto, ed il secondo era marchese e duca di Milano; ma questi marchesi o duchi non avean niente che fare col Moncenisio, ch'era il principio della giurisdizione del solo conte di Torino, come lo attestò l'anzidetto papa Giovanni VIII; ibid. epist. 430. Cur ut audisti nos in tuos honores venisse, obviam non concurris? Cioè nel confine della di lui contea.

L'anonimo panegirista di Berengario rammenta tre figliuoli del nostro conte Suppone, e li chiama tre fulmini di guerra, per causa del mirabile coraggio, con cui nell'888 combatterono a favore di esso Berengario duca del Friuli, incoronato re d'Italia in quell'anno, in cui era morto Carlo il Dizion. Geogr. ec. Vol. XXII.

16

Grosso, ultimo imperatore Carolingio. Quel panegirista non dice che alcuno di que' tre prodi guerrieri sia succeduto al padre nella contea di Torino. Forse allora in queste regioni. non era per anco divenuta ereditaria la dignità de' conti nelle loro famiglie. Suppone conte di Torino trovavasi ancora nel fiore degli anni suoi, e già vedeva l'impero d'oc cidente in preda alle civili guerre, mosse dai principi della Carolingia prosapia, che a vicenda procuravano di farsene padroni. I conti o governatori delle provincie profittavano delle discordie di que' Principi, aderivano ai più potenti di essi, per accrescere colle usurpazioni la loro autorità, ed il Joro potere. A questo fine il conte Bosone di Provenza, imparentandosi, come già s'è detto, con Carlo il Calvo, ne otteneva il titolo di duca di Milano e di Provenza; e quindi facevasi proclamare re d'Arles da' suoi vassalli; la qual dignità veniva poi confermata da Carlo il Grosso nell'885. Tre anni dappoi, Rodolfo conte di Borgogna facevasi incoronare in s. Maurizio del Vallese re della Borgogna Trajurana; Roberto marchese d'Angiò, detto il Forte, perchè avea liberato Parigi dai Normanni, fu nell'888 salutato re di Francia a pregiudizio di Carlo il Semplice.

e

Venuto era l'ultimo periodo di grandezza che Iddio aveva prescritto al legnaggio di Carlo Magno, legnaggio non meno illustre per la virtù de' primi, che famoso per la viltà e dappocaggine, e per le discordie domestiche di quasi tutti gli ultimi. Questa famiglia, che nell'anno 856 contava sei Re viventi nel tempo stesso, già forniti di prole, e in età da sperarla ancor numerosa, prima però che finisse il nono secolo, cioè in meno di quarant'anni, si vide ridotta a poco meno che ad un solo rampollo, cioè all'anzidetto Carlo il Semplice, che dai grandi del regno giudicato incapacissimo di regnare, fu per due volte escluso dalla successione. Carlo il Grosso che avea raccolto tutte le corone della Germania, della Francia, dell'Italia e dell'impero, non avea capo da sostenerne una sola; tutto indicava che la famiglia dei Carolingi era per estinguersi colla morte di queste debole Imperatore. Era succeduto a Gioanni VIII nella cattedra di s. Pietro, Adriano HI, al quale i Principi italiani, e specialmente i Longobardi rinnovarono i giusti lamenti che il regno

d'Italia e il romano impero, nato per comandare a se stesso e a tutti i popoli stranieri, fosse comandato non solo da straniera, ma stranissima gente. Gli rappresentarono le stoltezze di Carlo il Grosso, che incoronato per difendere l'ltalia dai Saraceni, lasciavala depredare da que' feroci Africani, che crudelmente trucidavano i sacerdoti sopra gli altari; che trascurando gl'interessi della Francia ne vendeva ai Normanni le provincie; che aveva ingiustamente accusata d'adulterio la sua sposa per isciogliere il matrimonio con essa; gli rappresentarono infine ch'era ottima occasione per trasportare l'imperio in Italia il non poter questo augusto lasciar del suo sangue un successore, e che fra' suoi nipoti, il solo che mostrasse qualche attitudine al governo, era un bastardo di suo fratello, per nome Arnulfo. Queste ragioni erano già state addotte a papa Giovanni VIII, il quale però non volle acconsentire al giusto desiderio degl'italiani Principi; ma Adriano III s'indusse finalmente a dichiarare con memorando decreto, che morendo Carlo il Grosso senza prole, il regno d'Italia e il sommo imperio dell'occidente si trasferisse ne' Principi italiani. Il quale decreto, riferito dal Sigonio de regno ital. lib. 5, sub. ann. 884, fu poi confermato da papa Stefano V, successore di Adriano.

A questo tempo era già divenuta grandissima l'influenza che acquistarono l'ordine ecclesiastico secolare ed il monastico. A parecchi vescovi del Piemonte e della Lombardiasi lasciò tanta autorità negli affari temporali, che poi li condusse poco meno che ad un'assoluta dominazione nelle loro provincie. La parte ch'ebbero i Papi nella traslazione dell'imperio, le concessioni, le donazioni fatte alla chiesa di Roma da Carlo Magno, e da Ludovico Pio, servirono di esempio e di titolo ai vescovi per cercare stabili vantaggi nei distretti delle loro diocesi, e di motivo ai principi secolari, Re, duchi, conti e marchesi di concederli. Che se i vescovi del nono secolo ebbero tanto potere di sottoporre a' loro giudizii lo stesso imperatore Ludovico Pio, di deporlo dal trono, e di rimetterlo, è ben facile a riconoscere quanto grande autorità avranno essi esercitata verso i sudditi di quel monarca; ed or ora vedremo come un consesso di vescovi elegge un Re d'Italia, e lo fa, senz'altro, incoronare.

« IndietroContinua »