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Vivendo ancora Carlo il Grosso, Lancio vescovo di Torino, Giuseppe vescovo d'Asti, e Luidvardo, da alcuni chiamato Ludmaro, vescovo di Vercelli, già avevano gran parte anch'essi nel governo temporale di questi paesi. Luidvardo erasi talmente insinuato nell'animo di Carlo il Grosso, che divenne suo cancelliere, e fu promosso alla sede vescovile di Vercelli nell'880. Riverito egli e temuto in Piemonte, e in tutta la Lombardia, ove ognuno sapea com'egli fosse in: grazia dell'Imperatore, fece sposare a' suoi congiunti le più ricche e più nobili damigelle, e non ebbe rispetto alle famiglie di principi anche possenti, e non dubitò di far ra-1 pire in un monastero di Brescia una figliuola di un ricco duca del Friuli, fratello primogenito di Berengario.

Nel gennajo dell'888 cessò di vivere Carlo il Grosso, che fu l'ultimo degl'imperatori Carolingi. Tostamente sorse per impadronirsi del regno d'Italia Berengario duca del Friuli, che reggeva gran parte del veneziano paese. Egli era di origine italiana, e figliuolo di Everardo e di Gisla figlia dell'imperatore Ludovico I; sicchè, radunatosi, senza indugi, in Pavia il gran concilio de' principi italiani, Berengario fu eletto re d'Italia pel comune assentimento dei principi raunati, e col consenso del sommo pontefice Stefano V, approvatore del famoso decreto di Adriano, venne incoronáto dal milanese arcivescovo Anselmo. Così nel giro di ottant'otto anni l'imperio che cominciò da Carlo il Grande, ebbe termine in Carlo il Scemo; e se da un papa Adriano l'imperio fu dato ai Franchi, da un altro Adriano pontefice fu restituito agl'italiani. Felice la città di Torino, se essendo stata per lungo tempo la porta alle scese ed alle salite dei transalpini, avesse potuto con impenetrabili ripari separare la Francia dall'Italia; ma la cupidigia che avea stimolato i Franchi a regnar nell'Italia, cominciò a stimolar gl'Italiani a regnar nella Francia; locchè fu un novello principio di rivolgimenti e disordini, che al torinese contado, ed anzi a tutta Italia nocquero sommamente.

Dopo il sopraccennato decreto di Adriano, Berengario duca del Friuli, e Guido la cui famiglia da lunga età possedeva i ducati di Spoleto e di Camerino, avevano, vivendo ancora Carlo il Grosso, convenuto fra loro con giuramento

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di sostenersi Fun l'altro col credito, con le forze e con gli amici, per dividersi fra loro le spoglie di quell'insensato Imperatore, appena ch'ei fosse spirato: secondo tale accordo Berengario avrebbe conseguito il regno d'Italia, e Guido il regno di Francia. Guido fortemente sperava di ottenere il suo intento, perchè era di origine francese, prossimo parente della Carolingia imperiale famiglia, ed anche perchè il papa Stefano V, che teneramente lo amava, e chiamavalo suo figliuolo adottivo, lo aveva caldissimamente raccomandato a Fulcone vescovo di Reims, il quale, sostenendo l'autorità primaria, consecrava i re Franchi col sacro crisma. D'altronde sembrava molto propizia l'opportunità, che la Germania avendo eletto Arnulfo, bastardo del re Carlomanno, per suo signore, tutto quel gran corpo del regno che comprendeva l'isola di Francia, la Provenza, la Borgogna, la Fiandra, e l'Aquitania dispregiando Carlo il semplice, non erasi eletto alcun monarca; e nel vero dopo le stragi degli ultimi tempi era quel regno divenuto così povero d'uomini chiari per valore e per senno, e vi si trovavano tanto confuse le menti degli ottimati e dei vescovi che la Francia facilmente inclinava a ricevere un re straniero. Guido per tutto ciò omai si teneva così sicuro del buon successo, che avendo ceduto a Lamberto suo figliuolo il ducato di Spoleto, con pochi cavalieri andossene in Borgogna, ove fu accolto con grandi applausi ; ma avendo egli premandato un suo maggiordomo nella Lorena perchè gli fossero apprestati gli alloggiamenti, mentre il vescovo di Metz, con isplendidi apparecchi s'occupava a ricevere degnamente il novello Re, l'avara sordidezza del maggiordomo premandato da Guido, spiacque talmente a quel vescovo, ed ai cavalieri, i quali dall'animo abbietto di quel ministro di Guido, argomentando che pari esser dovesse quello del suo signore, chiusero le porte di quella città per non riceverlo. Liutprando hist. lib. A, cap. 6.

Frattanto si spedirono ambasciadori in Borgogna a nome di tutti i principi Franchi, per far intendere al duca di Spoleto, che lungo tempo l'avevano aspettato, e che nel suo ritardo le cose avendo mutato aspetto, egli poteva ritornarsene in Italia. Essendogli fallito il disegno, venne Guido in Italia

con elette squadre di cavalieri, ai quali unendo le sue milizie di Romagna, si recò verso il fine dell'anno 888 in sul Bresciano ad assalire Berengario, spregiando così l'accordo già fatto con giuramento fra loro. La strage fu terribile da ambe le parti; e rimase finalmente a Berengario il trionfo di quella giornata. Nella seguente primavera raccolse Guido novelle truppe e diede al suo rivale un'altra battaglia nel Piacentino alla Trebbia, e lo costrinse ad una precipitosa ritirata nei monti del Veronese; sicchè dovette poi ståre contento al possesso di Verona e del Friuli, dove colla più grande difficoltà difendevasi dai frequenti assalti di Guido ; e già temendo di esserne intieramente soperchiato chiamò in ajuto il predetto bastardo di Carlomanno.

Per questi prosperi successi di Guido non poterono a meno di attristarsi altamente il vescovo, il municipio, e i principali nobili di Torino, i quali parteggiavano per Berengario; e più degli altri dovettero rammaricarsene i tre prodi figliuoli del magnanimo conte di Torino Suppone, i quali fecero così stupende prove di valore combattendo sotto i vessilli di Berengario loro zio, da essere chiamati Fulmini di guerra; ma il loro cordoglio, ed i loro timori crebbero più ancora, tosto che avvenne il fatto memorando che ci accingiamo a narrare.

Guido, debellato il suo rivale, entrò in Pavia, città capitale del regno italico. Ivi fece andare tutti i vescovi della provincia, e quelli che, o per sincera affezione verso di lui, o per tema della sua possanza, vollero intervenirvi da altre parti d'Italia: ivi essi tutti solennemente a modo di sinodo congregati, lo elessero a Re e signor loro. Gli atti di questo sinodó pavese furono per lungo tempo conservati nel monastero di s. Colombano in Bobbio, e pubblicati dal Muratori nella sua gran raccolta Rer. ital. script. tom. 2. Piccolo, ma prezioso monumento per convincere gli odiatori di ogni spirituale autorità che nei secoli anche più barbari, giovava bene spesso al sollievo dei deboli, ed al mantenimento della giustizia, non mai troppo sicura dalla violenza de' più potenti.

Un breve cenno sugli atti di questo sinodo gioverà a dimostrare non solo che la potenza dei Re d'italia era limitata dai vescovi, ma eziandio a conoscere i motivi, per cui

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quel sinodo s'indusse ad eleggere un nuovo Re, vivendo ancora Berengario I. Ne' primi sei capitoli si propone, come per condizione necessaria e fondamento dell'elezione che si aveva da fare, che il Re debba conservare l'immunità e i dominii della chiesa romana e i diritti de' vescovi; che non debba inquietarli nè sturbarli nell'esercizio delle loro funzioni e della giurisdizione coattiva verso i violatori della legge di Dio. Ne' quattro seguenti capitoli si stabilisce e prescrive che gli uomini plebei, e tutti quanti i fedeli sieno lasciati vivere secondo le proprie leggi; che non si esiga violentemente da loro più di quello che è di ragione, minacciando di scomunica i conti, o reggitori delle città, i quali od opprimessero i sudditi, od ajutassero o non castigassero i commettitori d'ingiustizie e di violenze; che i palatini o familiari di corte si contentino de' loro assegnamenti, e i baroni del regno paghino a giusto prezzo ciò che prendono in occasione di trasportarsi da un luogo all'altro per intervenire a quelle assemblee giudiziarie che si chiamavano placiti o malli, e non rapissero ciò che loro tornava a grado nelle città e nelle ville per dove passavano. Medesimamente alle genti d'arme, che venivano nel regno da estranee provincie, si fece severo divieto perchè più non andassero predando e rubando i nazionali, come usavano fare pur troppo frequentemente i soldati che venivano in Italia dalla Ger'mania e dalla Francia; e lo stesso divieto fu fatto a coloro, al cui soldo venivano queste genti straniere. Quindi, sulla promessa che fece Guido d'osservare i suddetti capitoli e di proteggere la chiesa, i padri del sinodo dichiararono di eleggerlo a Re, esprimendo però ancora i motivi di procedere a questa elezione, non ostante l'obbedienza che contro voglia e per minacce s'era promessa ad altri, che furtivamente e con fallaci persuasioni gli avevano tirati al loro partito. Significavano con ciò manifestamente l'elezione già fatta della persona di Berengario.

Per questi riguardi, conchiude il concilio, noi lo abbiamo scelto al governo del regno, e con tutto lo sforzo ci siamo accostati a lui, ordinandolo da quest'ora innanzi, per comun consentimento, in signor piissimo ed eccellentissimo Re. Ancorchè non si trovasse a questo concilio papa Stefano V, egli andò

per altro d'accordo coi vescovi della Lombardia nell'esaltamento di Guido; e pare che lo invitasse eziandio a condursi a Roma per prendere la corona imperiale. Certo è che questi, o chiamato o spontaneamente v'andò, e che fu in Roma proclamato augusto nell'891, e venne incoronato da Stefano W.

Essendo mancato ai vivi questo Papa in quell'anno medesimo, si disposero le cose a nuove agitazioni e muta'zioni di stato per tutta Italia. A successore di Stefano fu eletto Formoso, vescovo di Porto, ch'era già stato' legato apostolico in Francia nel pontificato di Gioanni VIII, e sosteneva la causa dei Carolingi. Per questo, e per altri motivi era questi avverso a Guido, massime pensando che i duchi di Spoleto avean dato più volte fastidio ai Pontefici. Ma siccome nei primi mesi del suo pontificato non potè bandir la guerra, e opporsi tosto alla grandezza di Guido, così fu costretto a coronare anche Lamberto, figliuolo di lui, che il padre volle farsi collega nell'imperio. Per la nuova di'gnità imperatoria conferita a lui ed assicurata in certo modo nella sua casa per l'associazione del figliuolo, Guido cresceva non meno di fasto che di potenza, e Berengario veppiù abbattuto, temeva d'essere affatto oppresso. Il Papa era disar'mato, ed i baroni mal affetti a Guido non osavano mostrar l'odio loro. Non si potea d'altronde che dalla Germania sperar ajuto per abbattere cotesti novelli Imperatori. Per la qual 'cosa Berengario rinnovò le sue istanze al re Arnolfo per ottenere da lui un possente ajuto.

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Arnolfo bastardo di Carlomanno, e re di Germania, che aspirava alla Carolingia successione, mandò allora in Italia 'un esercito sotto la condotta di Zuendebaldo suo figliuolo bastardo, il quale benchè mettesse qualche argine agli acquisti 'di Guido, ciò non di meno, dopo aver fatto cattive prove 'sotto Pavia, ritornossene in Baviera, donde s'era mosso, e lasciò a Guido più voglia che mai di perseguitare e strin'gere il suo nemico. Ma Berengario, recatosi in persona da 'Arnolfo, e secondato dagl'inviati del Papa, e di altri signori italiani o aperti od occulti nemici di Guido, persuase quel Re a venire egli stesso col maggior nerbo delle sue forze a cacciar di stato i due spoletini Guido e Lamberto, ai

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