Immagini della pagina
PDF
ePub

colo x fu così tenebroso, feroce, gravido di delitti e di sanguinose rivoluzioni, che gli scrittori ne parlano con raccapriccio: ed invero il nostro paese fu in quei tempi devastato ora dagli Ungheri ed ora dai Saraceni; sicchè territorii vastissimi furono convertiti in paludi: più non si vedevano nè ponti, nè porti sui fiumi; le pubbliche vie erano infestate da masnadieri: pochi vestigi rimanevano di viver civile. Più non si coltivavano i campi, perchè erasi radicata in tutte le menti una folle opinione, che nell'anno mille avverarsi doveva il finimondo: la religione era omai ridotta quasi unicamente ad esteriori pratiche; la monastica e chierical disciplina iva quasi universalmente a dirotto, massime dacchè disordini d'ogni maniera succedevano nella capitale del mondo cattolico, la quale, secondo che narra il Baronio, trovavasi lacerata da simonie, sconvolta dagli scismi, e ciò che fu peggio, dominata da due donne di mal affare, Marozia e Teodora. In Torino al tutto trascuravansi gli studii, e più non si frequentavano dai giovani le scuole, statevi assai prima fondate; sicchè le lettere eranvi quasi al tutto spente. Reggeva in allora la chiesa torinese il vescovo Amalrico, il quale è da credere, che, dolente di vedere la sua diocesi in così misero stato di cose, e corrucciato specialmente dell'ignoranza del clero, persuase al re Lotario di riparare, per quanto ei potesse, a tanti mali. Questo giovane Re, che aveva sortito dalla natura un'indole eccellente, essendosi soffermato qualche tempo in Torino colla sua sposa Adelaide, figliuola di Rodolfo re di Borgogna, abitò qui nel regale palazzo, che sorgeva presso la porta che ne prese il nome; qui diede varie disposizioni favorevoli ai Torinesi, e soprattutto emanò un diploma, che grandemente onora la sua memoria ; giacchè per esso venne fondata, o ristabilita in questa capitale un'università di studii, a cui dovessero intervenire gli allievi da varie parti del Piemonte; e per sua volontà fu eziandio aperta una pubblica scuola in Ivrea per l'istruzione dei giovanetti dell'eporediese contrada. Lo stesso Re diede le rendite dell'abazia di Breme ad Arduino III Glabrione, marchese di Torino. Ma egli si trovò assai presto al termine di sua vita in questa capitale, senza lasciar figliuoli, nel dì 22 di novembre di quell'anno; e secondo la voce che qui corse

in allora, e secondo ciò che ne scrisse Luitprando, la precoce morte di Lotario non fu già cagionata da febbre frenetica, come alcuno pretende, ma venne procurata da possente veleno apprestatogli da Berengario; ed invero Lotario viene paragonato ad un agnello dato in custodia al lupo, alludendo con ciò alla perversità con cui Berengario trattò quel giovine Principe. Sembra che Adelaide, quanto bella altrettanto virtuosa, non abbia diviso il suo talamo con Lotario che pel breve spazio di tre anni, che di poco oltrepassa quello della durata del regno di questo Principe. Il trono italiano stette vacante per ventiquattro giorni, che tanti ne occorsero per raunare i baroni ed i prelati, i quali elessero lo stesso Berengario II e Adelberto suo figliuolo, che veggiamo incoronati nella basilica di s. Michele in Pavia addì 15 dicembre del 950. Così per la seconda volta il Piemonte transpadano vide i suoi figli sul trono di Carlo Magno, come il Cispadano e Ligustico ancor si gloria d'aver dato Pertinace al trono di Augusto e di Trajano. Ma l'imperatore Pertinace era pervenuto a quel sommo grado per il solo suo valore; e Berengario salì al trono per titolo di nascita, per brighe, e non meno per le male arti, che per virtù.

Se dobbiamo prestar fede a Liutprando, il nuovo re Berengario, rimasto senza rivale e fattosi subito coronare, cambiò assai presto modi e governo, in quella guisa appunto che fanno i tiranni sciolti che sono da quei rispetti, in cui la vita di chiunque potesse aver diritto alla sovranità gli tenea per l'innanzi. Così forza è di credere che l'Italia non migliorasse destino per cambiar di sovrano, e che Berengario s'assomigliasse troppo bene al suo predecessore Ugo nella crudeltà, nell'avarizia, ed anche nell'ipocrisia.

[ocr errors]

· Gran prova della cecità con cui Iddio confonde la politica de' malvagi è il vedere come Berengario II andasse a precipitare per quella stessa via per cui egli era pervenuto al regno sulla rovina del Borgognone. E dove il re Ugo, forestiero e con assai meno favore della nazione salito sul trono, vi si mantenne pure venti anni; Berengario, sollevatovi con tanto consentimento de' popoli e con tanto applauso, appena vi stette fermo due anni. Vero è che tra le crudeltà e le ingiustizie, per cui egli mosse contro di sè 18 Dizion. Geogr. ec. Vol. XXII.

non meno i suoi vassalli, che le potenze straniere, quelle che più immediatamente gli diedero brighe e travagli ri guardavano la vedova di Lotario, Adelaide, verso la quale era pericoloso ogni partito che si prendesse; ed ei prese il modo più violento a questo riguardo. Paventando egli che la predetta Adelaide passando a seconde nozze con qualche Principe potesse turbargli il dominio dell'Italia, fece ogni possibile per ottenere che questa bella e saggia principessa desse la mano di sposa ad Adalberto suo figliuolo, e già dichiarato suo compagno nel regno; ma Adelaide fermamente ricusò di sposare il figliuolo dell'uccisore del primo suo marito Lotario. Il perchè Berengario la fece rinchiudere in una torre della rocca di Garda con una sola fantesca pei servigi di lei più necessarii. Istigatrice degli aspri trattamenti con cui fu afflitta quella virtuosa principessa era per certo l'altiera ed invidiosa Guilla, moglie di Berengario, la quale non potendo sostenere nè la bellezza, nè l'onestà di Adelaide, 'doti troppo contrarie alla sua vanità ed alla sua impudicizia, cercava con ogni studio di farla dolente e di levarsela d'im ́paccio. L'infelice Adelaide gemette nel fondo di quella torre finchè un prete, appellato Martino, mosso a compassione di dei, ne ruppe il muro, o come altri vogliono, fece una cava <sotterra, e trattala fuori, di notte tempo, la cuoprì di spoglie virili, e col mezzo di alcuni stratagemmi potè condurla in salvo presso Adelardo vescovo di Reggio, nella cui bontà molto ella confidava, e che ricoverolla per allora nella for-tezza di Canosso.

It grido della persecuzione di una sì bella ed innocente principessa penetrò fin nella corte di Ottone 1 re di Germania, di cui, dopo Carlo Magno, non era sorto nell'Europa túns monarca ›nè più saggio, nè più valoroso. S'avvide ben egli, che stendendo una mano benefica alla perseguitata principessa sarebbesi dischiusa la via al trono italiano: laonde si fece precedere in Italia dal suo figliuolo Lodolfo, o Litolfo; quindi vi calò egli stesso, e fingendo un viaggio di divozione a Roma, s'incamminò all'improvviso verso Pavia, che gli apri le porte. Berengario spaventato si ricoverò in un ́suo forte castello mentre Ottone, che era rimasto vedovo della regina Editta, chiamata in sulle rive del Ticino Ade

laide, celebrò con lei solennemente le nozze; e poco dopo ritornossene in Germania, chiamatovi da urgenti affari, la sciando in Pavia Corrado duca di Lorena suo genero, di cui Berengario giunse con molti doni a cattivarsi la benevolenza. Il consiglio che Corrado diede a Berengario fu di non riporre fiducia nella clemenza di Ottone; onde portatosi con lui e col figliuolo Adelberto in Germania, termino i suoi affari nella dieta d'Augusta, in cui venne stabilito che Berengario col figliuolo continuasse ad essere re d'Italia, ma riconoscesse il suo regno in feudo da Ottone, e gli giurasse fedeltà ed obbedienza. Dato il giuramento in faccia a tutta la corte, chiese perdono alla regina Adelaide, che nella bontà dell'animo suo aveva già procurato di rendergli favo→ revole il suo augusto consorte. Tale fu il principio del diritto che i re di Germania pretesero di avere come sovrani sul regno italico, in cui succedette una mutazione considerabilissima, poscia che Ottone riservossi le marche di Verona e di Aquileja, e le diede in governo ad Arrigo duca di Baviera suo fratello.

Tornato Berengario nell'Italia, cercò ogni mezzo di nuo cere ai baroni, e singolarmente ai vescovi, loro attribuendo i suoi passati infortunii. Ottone, che era stato involto in guerre pericolose, dopo aver ristabilita la pace nella Germania, potè soddisfare alle vive ed iterate istanze dei conti e dei prelati italiani, che lo pregavano di venire a liberarli dalla tirannia di Berengario, e spedì in Italia un poderoso esercito capitanato dal suo figliuolo Litolfo. Ma Berengario, secondo che scrive Arnolfo storico milanese, ben sapendo di essere dagli Italiani odiato per le sue crudeltà e per l'eccessiva avarizia di sua consorte Villa, e non osando di venire a battaglia, si ritirò nella fortezza di s. Giulio, che era in allora, come lo afferma il precitato storico, inexpugnabile Muncipium. Ciò non pertanto egli venne in mano a Litolfo.

papa Gioanni XII e Valperto, o Gualberto, arcivescovo di Milano, offrirono allora al re di Germania la corona d'Italia e quella dell'impero. Ottone, lusingato da si generosa offerta, discese nell'Italia per la valle di Trento, ove fu incontrato da molti conti e vescovi, che si mostrarono ben lieti della sua venuta. Egli per altro avrebbe trovato gravissimi osta

[ocr errors]

coli a' suoi disegni, se Villa, moglie di Berengario, non avesse ella medesima scavato il precipizio a sè ed alla sua famiglia.

Dopo alcune vicende che non occorre qui riferire, Ottone non trovando più alcuna resistenza, si condusse dirittamente a Pavia, ove fu proclamato re dalla dieta, e quindi venne cinto con grande solennità della regal corona dall'arcivescovo Gualberto nella basilica Ambrosiana di Milano verso il fine dell'anno 962. Indi trasferitosi con lo stesso arcivescovo Gualberto, e con gran corteggio a Roma, fuvvi incoronato Imperatore addì 2 febbrajo del 963 dal papa Gioanni XII fra le acclamazioni di un immenso popolo... In tal guisa il romano imperio, che dopo la morte di Berengario I era fino a quest'epoca rimasto vacante, passò ai re di Germania.

Berengario II erasi ricoverato nella fortezza di s. Leo posta nel contado di Montefeltro nell'Umbria; il suo figliuolo primogenito Adelberto era venuto a Torino, donde recossi a Frassineto per ottenere il soccorso de' Saraceni, che gli fu rifiutato, epperciò andossene in Corsica; il suo minor fratello Guido avea ricercato asilo in una rocca del lago di Garda; e la regina Villa rifuggì nell'isola di s. Giulio nel lago d'Orta, che sebbene già fosse una delle più celebri fortezze italiane a quell'età, ciò non pertanto fu ancora da lei munita di valide mura e di fortificazioni, di cui si vedono tuttavia gli avanzi chiamati le muraglie della regina. Qui rinchiusa sostenne un blocco di più di due mesi; ma infine si trovò costretta ad arrendersi, e l'imperatore o per compassione ch'egli avesse di una donna, o per ottenere una buona parte de' suoi tesori, le permise di andarsene› libera a trovare il marito.

Dopo ciò, Ottone I sen venne a Pavia per dar sesto alle cose del regno italico, ed ivi rimase parecchi giorni ricevendo le ambascierie delle città e delle provincie, e con parzialissima benignità accolse i deputati che gli spedirono i Torinesi a giurargli lealissimo ossequio, ed a congratularsi seco lui, che nel passare a seconde nozze avesse fatto la scelta di un'ottima sposa nella persona della vedova regina Adelaide, di cui eglino avean potuto conoscere le doti ec

« IndietroContinua »