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nista novaliciese si fece ad inveire contro di lui, dichiarandolo come uomo sommamente vizioso. Ma se aveva egli ragione di biasimare l'usanza con cui gl'Imperatori ed i Re in quei tempi procuravano di affezionarsi i proprii vassalli col donare ad essi i beni della chiesa, aveva poi il torlo di rimproverare gli atti di giurisdizione, onde il marchese si affrettò a ristorare la susina vallea, e a riedificarvi le chiese; perocchè, giusta i decreti di Carlo Magno e di Ludovico Pio, quella intiera valle, per riguardo alla giurisdizione civile era subordinata ai conti e marchesi di Torino, che poi furono anche detti volgarmente marchesi di Susa.

Dopo la morte di Lotario (950), Arduino Glabrione conducevasi a Pavia per assistere all'incoronazione di Berengario, e seguivalo all'assedio di Canossa; ma il tedesco imperatore Ottone 1, avendo abbattuto quel Re d'Italia, e volendo accondiscendere al desiderio dei monaci di Breme, ordinò che si abbruciasse in sua presenza il decreto di Lotario, con cui questo Re aveva dato in commenda ad Arduino la bremetese abadia; ma siccome Ottone emanò quel decreto nel momento in cui stava per ritornarsene in Alemagna, non fu poi eseguito dal nostro marchese, perchè i grandi vassalli, quando gl'Imperatori si trovavano assenti dall'Italia, si curavan poco di adempierne i comandi. L'abate Belegrimo vedendo che il marchese Arduino non mostravasi per nulla disposto ad obbedire all'imperatore Ottone I, si rivolse al sommo pontefice Gioanni XIII, affinchè egli si adoperasse efficacemente a favore del monastero di Breme; e per indurlo ad appagare il suo desiderio, nell'esposizione del fatto indicò Arduino come un lupo rapace sotto mentite spoglie di candido agnello; e cercò intanto le frasi più ampollose e strane, sperando con esse di guadagnarsi l'animo e il patrocinio del Papa, chiamandolo fornito decorosamente del lucentissimo apice dell'apostolica dignità; ineffabilmente splendido per chiara prosapia e per luculenta ingenuità; diligentemente istrutto del vasto dogma della sfolgoreggiante e sempiterna Sofia. A malgrado di tutte le rimostranze di Belegrimo, e de' suoi monaci, il nostro marchese Arduino continuò ad essere possente nel torinese contado e negli altri suoi stati non solo sotto il regno di Berengario II, ma ben anche

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sotto quello dell'imperatore Ottone I, che gliene confermò il possedimento.

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Questo nostro marchese nel 966 risiedeva nel castello di Avigliana, quando venne a lui il signore d'Alvernia per nome Ugo lo Scucito, il quale per motivo di religione bramava di costrurre sull'alto monte superiore ad Avigliana una chiesa ed un monastero ad onore di Dio e di s. Michele Arcangelo. Quel monte che ora chiamasi Pirchiriano, fu detto Porcariano dagli antichi scrittori, che denominarono Caprasio l'altro che gli sta di fronte. Il marchese Arduino nella sua generosità volle dare opportunamente l'area opportuna per quella fabbricazione al signorernia, il quale preferì di comprarla, perchè i monaci che vi si sarebbero stabiliti, non andassero soggetti nei tempi avvenire ad alcuna molestia; ed anzi per assicurare il loro sostentamento sborsò cospicue somme di danaro nell'acquisto della terra della Chiusa e di alcuni altri possedimenti."

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Ma trammezzo a queste religiose e pacifiche opere, altamente risuonarono le grida spaventose degli abitanti dei circonvicini paesi per causa di una novella irruzione dei Saraceni non per anco abbastanza domati: una parte di costoro che dal Re Ugo era stata confinata nell'Elvezia settentrionale e nella Baviera, traversò improvvisamente l'Elvezia ed il Vallese; s'introdusse nella Savoja; e congiuntasi cogli altri Saraceni, che ancor vagavano per la Provenza commetteva da per tutto nel suo passaggio i più orrendi misfatti. Allora il nostro marchese, quantunque già inoltrato nella vecchiezza, fu prontissimo a raccogliere le sue soldatesche per la difesa della sua marca, e trovò pur modo di spedire molti fanti nella Provenza in ajuto del marchese Guglielmo e del conte Robaldo, i quali si uniroño ai confinanti signori, e concertarono una ben ordinata spedizione sotto un valente condottiero, la quale riuscì tanto felice'mente, che quei barbari furono sterminati per sempre (972), e fu intieramente distrutto il loro nido di Frassineto.

Il marcheṣe Arduino III, dopo avere nel 973 nominato il monaco Gioanni a successore dell'abate Belegrimo nell'abazia di Breme, gravemente infermossi, e mancò ai vivi circa l'anno 975. Da lui nacquero Manfredo I, Arduino IV,

e Oddone I. Di Manfredo I che gli succedette nel governo della marca torinese, non si trova memoria sino al 1001, e si sa unicamente, ch'egli diede alla sua famiglia esempi di pia generosità. Arduino IV premorì al suo padre nel 969. Oddone assunse il titolo di marchese; donò intorno al 1000, all'abazia di Breme, la metà di Pollenzo, di cui l'altra metà, dopo la morte di Manfredo I, toccò a' suoi› nipoti Olderico Manfredo II, ed Alrico : diede inoltre a quell'abazia la corte di Colonia ed il castello unitamente alla grossa terra di Manzano.

Olderico Manfredo II appena entrato, dopo la morte del padre Manfredo I, nel governo della marca di Torino (1001), fu chiamato dall'imperatore Ottone III perchè seco lui si conducesse con le armate sue squadre insino a Roma, che, levatasi a tumulto, lo aveva costretto ad uscirne insieme col Papa. In conseguenza dei servigi prestati all'Imperatore, Olderico Manfredo II ne ottenne per imperiale diploma del 31 luglio 1001 la conferma degli estesissimi suoi beni allodiali, che formavano il terzo di val di Susa, della città e del territorio di Torino, ed ebbe ad un tempo la conferma di cospicue possessioni in val di Lanzo, nelle Langhe e nel Saluzzese. Seguì egli Ottone III a Pavia, ove nel dì 14 d'ottobre di quello stesso anno il conte del sacro palazzo tenne un placito alla presenza del medesimo Imperatore, di Varamondo vescovo d'Ivrea, di Costantino vescovo d'Alba, di varii altri prelati e dell'anzidetto marchese.

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Ottone Il mançò ai vivi poco tempo dopo, cioè verso il fine di gennajo dell'anno 1002, senza lasciar prole veruna. Subito il nostro Arduino marchese d'Ivrea si adoperò a persuadere i baroni ed i prelati a convocarsi in Pavia per la scelta di un Re, persuadendoli che il patto che gl'Italiani avean fermato colla Casa di Sassonia era annullato dall'estinzione di questa prosapia; e che i due regni della Germania e dell'Italia potean benissimo rimaner divisi, come lo erano prima degli Ottoni. A persuasione di lui raunaronsi presto a parlamento in Pavia i marchesi, i conti ed i vescovi per l'elezione del nuovo Re; e Arduino loro energicamente espose, che era venuto il tempo di ricuperare all'italico regno quella gloria, che già per tanti anni eragli

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stata tolta dalla barbarie alemanna; che se regnava nella Germania un re Germano, era ben giusto che anche regnasse un Italiano re nell'Italia, cui la natura divise per monti altissimi da quella barbara nazione; dar segni di non valer niente da sè chiunque, potendo giustamente avere un proprio regno, soffre infingardamente un giogo straniero ; che se gli Ottoni, prima con la forza e poscia con la legge iniqua e surrepita, avevano usurpato agli Italiani il romano imperio, non mancavano forze all'Italia, volendo i Principi di essa vivere uniti e concordi, per far valere le sue ragioni e tenere da se facilmente lontane le armi germaniche, qualora i Germani avessero tentato di bel nuovo d'impadronirsi del nostro bel paese. Dimostrò inoltre, che al decreto legale contrapponevasi la natural ragione, ed alla tumultuaria costituzione di Gregorio V, dal solo Ottone accettata, facea contrasto la salutar costituzione di Adriano III, ricevuta da tutti i Principi francesi, lombardi, romani, e praticata, dopo la morte di Carlo il Grosso, nelle persone dei due Berengarii e di Adelberto; che in caso che l'uno di questi regni avesse ad essere ligio dell'altro, essere ben giusto, che la Germania tributasse all'Italia, da cui era già stata soggiogata per le vittorie di Druso Nerone, riferite da Svetonio, e per altri trionfi riportati sui Germani, massime ai tempi dell'imperatore Probo, che totalmente soggiogò la Germania; soggiunse che niuna impresa era più nobile, più giusta, nè più degna del valore degli Italiani, che il racquistare la libertà è l'antico splendore; disse che le armi son nemiche d'indugio, e che l'indugio riuscirebbe ad evidente profitto dei nemici; che bisognava prevenire l'elezione di un Re straniero con la subita scelta di un Re italiano. Le parole di Arduino furono come vive fiamme, che nel cuore di tutti i Principi in Pavia raunati accesero un gran desiderio di seguire quel provvido consiglio, per cui l'Italia da ancella vilipesa dovea fra breve ritornare alla dignità di regina. Molti erano i Principi in quel maestoso congresso; ma ciascuno di essi, prevedendo che molto si dovea sudare contro alla forza brutale degli stranieri e dall'incostanza dei medesimi Italiani, di genio somiglianti agli Ateniesi, approvarono sibbene il magnanimo pensiero del nostro Arduino, ma niuno

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di loro pretese d'essere eletto Re. Pareva che la corona ferrea, dopo tanti balzi e ribalzi, da capi italiani, a capi stranieri e barbari, divenuta formidabile, minacciasse la rovina di qualunque Principe italiano l'avesse cinta; il perchè tutti d'accordo deliberarono che il prode e magnanimo nostro Arduino era il solo capace di sostenere il gran peso, ed a voti unanimi lo elessero a re d'Italia, se lo fecero incoronare nella basilica di s. Michele di Pavia add) 15 febbrajo 1002. I comuni in generale lo riconobbero come Re legittimamente eletto; e ne' primi giorni del seguente marzo nel comune d'Asti i pubblici atti già s'intitolavano nel suo nome; e lo stesso probabilmente accadde anche in Torino, quantunque il marchese Glabrione non si dichiarasse ancora apertamente in favore del Re novellamente eletto a Pavia, forse aspettando ciò che potesse accadere in Germania.

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Or prima di esporre i principali fatti di Arduino marchese d'Ivrea, divenuto re d'Italia, giova osservare di qual prosapia egli fosse. Molti scrittori vollero attaccare questo Arduino, che fu il primiero dei marchesi d'Ivrea della seconda dinastia, alla famiglia dei primi marchesi, della quale l'ultimo rampollo fu Ottone Guglielmo, che poi divenne signore del contado o ducato di Borgogna. Cessati quei primi marchesi d'Ivrea, non ci dice la storia se il primo Ottone, od il secondo ne abbia altri in loro vece stabiliti: ciò solo ci narra, che un potente signore per nome Arduino passò a reggere la marca d'Ivrea, e che quell'Arduino era figliuolo del conte Dadone, il quale nel 996 aveva la dignità di conte dell'imperiale palazzo di Pavia, come s'impara da un placito da lui tenuto, durante quell'anno, in Brescia, e raccontaci pure, che dopo il 996 venne a quella dignità sostituito un Ottone nipote di Pietro vescovo di Como. Ciò presupposto, diciamo che s'ingannano a gran partito coloro, che attaccano il primo dei secondi marchesi d'Ivrea alla prosapia dei marchesi della prima dinastia; perocchè ciò immaginarono senz'altro fondamento che quello di un diploma interpolato, e fors❜anche intieramente inventato, nello scopo di adulare i pretesi discendenti di Arduino re; e ciò fecero contro la fede di tutti gli storici del tempo e contro chiari monumenti, siccome crediamo di avere sufficientemente dimostrato. Vol. VIII, pag. 638 e segg.

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