Immagini della pagina
PDF
ePub

Al marchese Arduino d'Ivrea, quattro anni prima che fosse incoronato re d'Italia, accadde un grave caso mentr'egli avea guerra con Pietro vescovo di Vercelli, la cui diocesi era compresa nella marca d'Ivrea. Il tristo fatto è, che le soldatesche di Arduino, impadronitesi della città di Vercelli nell'eccesso del loro furore diedero il fuoco al palazzo dello stesso vescovo, il quale, non avendo potuto uscirne per tempo, restovvi miseramente spento. Essendo a lui succeduto il monaco Leone, trovò questi il mezzo di persuadere al credulo imperatore Ottone III, che non già al caso, od al furore de' soldati dovesse attribuirsi l'infelice morte del vescovo Pietro, ma ben piuttosto alla sola empietà del marchese: e così potè farlo mettere al bando dell'impero, ed ottenne egli tutti i beni del marchese e quelli de'parenti e degli amici di lui. Per un sì grave motivo il sommo Pontefice tenne un concilio di vescovi, innanzi al quale presentalosi Arduino, attribuì il deplorabile avvenimento ad involontario caso non dipendente da lui, e funne assolto mediante una grave penitenza,

Quando poi Arduino fu creato ed incoronato re d'Italia, diede principio al suo governo con rinnovare e confermar privilegi alle chiese, perchè da lungo tempo i vescovi, gli abati, i capitoli de canonici s'erano avvezzati a cercar sempre nuove donazioni da' Principi, o almeno la conferma delle donazioni già ricevute. Ma, a dir vero, l'amore e il rispetto della religione e de' suoi ministri non era la qualità, che predominasse nel carattere del re Arduino; che anzi il difetto ch'egli ebbe in questa parte fu tantosto la principal cagione delle sue disgrazie, ed in ultimo della sua rovina. Fatto è, ch'ei presto cominciò a trattare con modi troppo alteri e sdegnosi i nobili ed i prelati, che lo avevano proclamato Re. Narrasi particolarmente ch'egli, lasciatosi trasportare dalla collera contro un vescovo di Brescia, ghermitolo pe' capegli, se lo travolgesse fra i piedi. Questi portamenti empierono di mal talento non meno i Principi laici, che gli ecclesiastici. Or siccome ad Ottone III, in cui si spense la Casa regnante di Sassonia, era già stato sostituito un nipote del fratello di Ottone il Grande, che fu incoronato in Magonza sotto il nome di Enrico, od Arrigo, così gli Alemanni,

considerando l'elezione di un Re italiano come un'ingiuria ad essi fatta ed un'infrazione dei loro diritti, si 'accinsero a conquistar di nuovo l'Italia colle loro armi; ed il loro novello re Enrico, stimolato anche dagl'italiani marchesi, conti, vescovi ed abati, spedì Ottone duca di Carinzia e governatore della marca di Treviso e di Verona contro di Arduino, il quale, valoroso ed avveduto com'era, impedì che i Tedeschi congiungessero le loro forze con quelle dei Principi italiani suoi emoli o nemici; sconfisse Ottone, ed obbligollo a tornarsene nella Germania. Così egli regnò di bel nuovo liberamente sopra una gran parte della penisola.

[ocr errors]

Il marchese di Torino Manfredo II non solamente non gli si dimostrò aperto nemico, ma pare che secretamente gli si palesasse favorevole; e tanto ci sembra ciò vero, che Arduino, potendo nuocergli grandemente, si astenne dall'offenderlo menomamente, quantunque gli fosse agevole il vedere com'egli poneva ogni cura per conservarsi benevolo il re Arrigo, il quale perciò lo tenne nel novero de' principali signori a lui devoti, siccome apparisce da una léttera ch'egli scrisse ai prelati ed ai Principi d'Italia per raccomandare ad essi di proteggere l'abazia di Fruttuaria; nella qual lettera nominò dopo i vescovi immediatamente il marchese di Torino, dichiarandolo suo compagno e fedele nell'italico regno. Il marchese di Torino in allora vivea stretto d'amicizia coll'arcivescovo e coi principali cittadini di Milano, e contraeva parentela con essi; collegavasi pure col vescovo d'Ivrea, con gli abati di Fruttuaria e di Breme, ed eziandio col marchese Ottone di Verona.

Per le quali cose Arrigo gli diede in appresso ben chiare prove della fiducia che in lui riponeva; giacchè mentre negli stati d'Italia che a lui ubbidivano, rimuoveva i prelati ed i signori aderenti ad Arduino, e tra questi obbligava il vescovo d'Asti a lasciar la sua sede, nominava a succedergli Alrico, fratello del marchese di Torino Manfredo II; ma l'arcivescovo di Milano, quantunqne ligio ad Arrigo, altamente disapprovò quest'atto, e non volle consecrare Alrico, nominato ad essergli suffraganeo nella diocesi d'Asti, come lo erano a quel tempo tutti i vescovi del Piemonte. Arrigo in tal frangente procurò che Alrico fosse consecrato in Roma

dal Papa; locchè pose il colmo all'indegnazione dell'arcivescovo di Milano; e siccome a quell'età i prelati appartene→ vano per lo più a guerriere famiglie principesche, ed eglino stessi reggevano stati temporali ed armavano alla propria difesa i loro sudditi, così l'arcivescovo unito a' suoi suffra ganei, che fra tutti raccolsero un grosso esercito, venne personalmente a stringere d'assedio la città d'Asti, e non cessò dal devastarne le terre circostanti; e la cosa andò a finire in una scena più curiosa, che tragica, che vuol essere qui riferita tal quale si legge nella storia di Milano di Arnulfo. « Acceso di giustissima collera l'arcivescovo, non tanto per la regia nomina di Alrico a vescovo d'Asti, quanto per lá consecrazione fattane dal romano Pontefice con pregiudizio del suo dritto arcivescovile, convocò primieramente un sinodo provinciale, in cui privò della comunion de' fedeli il novello prelato. Poi, raccolto un esercito numeroso, recossi egli stesso con altri de' suoi suffraganei alla città d'Asti, assediò quivi il vescovo ed il marchese di Torino di lui fratello, che là si trovava; nè cessò dal guasto, finchè non vennero adempiuti i suoi voleri. La condizione della pace fu questa, che il marchese di Torino ed il suo fratello Alrico, giunti a tre miglia presso la città di Milano, s'incamminarono poscia a piedi nudi verso di quella, tenendo il vescovo Alrico un codice, forse de' canoni, ed il marchese di Torino un cane; ed in tal modo arrivati entrambi ayanti alla porta di sant'Ambrogio, divotamente confessarono i loro mancamenti. Quindi il vescovo sopra l'altare del suddetto santo confessore depose il baston pastorale e l'anello, che poi riprese per concessione dell'arcivescovo; ed il marchese di Torino donò ad essa chiesa moltissimi talenti, forse marche d'oro, con cui si formò una bellissima croce, la quale per lungo tempo si costumò di portare in Milano ne' giorni più festivi. Dopo quella sommessione il vescovo ed il marchese di Torino di lui fratello parimente a piè nudi per mezzo della città s'avviarono alla chiesa maggiore della santa Madre di Dio, dove furono in pace ricevuti dall'arcivescovo, dal clero e da tutto il popolo milanese ».

+

L'elezione di Arduino a re d'Italia, fattasi in Pavia, era agli occhi dei milanesi un motivo sufficiente per dichiararsi 19 Dizion, Geogr. ec. Vol. XXII.

contrarii a questo Principe; giacchè Pavia e Milano si disputavano il primato nel regno italico. Arnolfo II arcivescovo di Milano era assente quando Arduino fu proclamato Re: tornato da Costantinopoli, ov'era stato spedito ambasciadore da Ottone III, riguardò come illegittima l'elezione di un Re, cui il primo principe della nazione non avea partecipato per nulla. Mentr'egli era di ciò altamente sdegnato, Enrico, detto il Santo, assestati gli affari della Germania, calò in Italia, correndo l'anno 1004; fu da alcuni Principi accolto come sovrano; ricevette il giuramento di fedeltà dall'arcivescovo Arnolfo in Bergamo; vide disperse le truppe del rivale Arduino, che per viltà, come dice il precitato storico di Milano, lo abbandonarono; ed entrato in Pavia fuvvi con gran giubilo proclamato ed incoronato monarca. Ma se Arduino aveva possenti avversarii, i Tedeschi non tardarono molto a farsi odiare nelle città dove albergavano; e le spiacevolissime ebrietà a cui si abbandonavano, ed i ruvidi lor portamenti andarono tant'oltre, che nacque nell'istessa città di Pavia, poco dopo la solenne incoronazione di Enrico, un siffatto sollevamento, che quella città ne fu per metà incendiata: ed il Re, per salvarsi dalla furia popolare, si vide costretto a gettarsi giù per le mura, e secondo che narra Genebrardo nella sua cronaca, si ruppe in quest'occasione una gamba, d'onde poi gli venne il soprannome di zoppo. Or, tra per questi disastri, e per alcune guerre che insorsero in Alemagna, Enrico si partì d'Italia, dove, benchè ei lasciasse molti principi a lui divoti, e fra gli altri Tebaldo marchese di Toscana, il nostro Arduino re ricuperò buona parte del dominio di Lombardia, e specialmente del Piemonte. Per la partenza di Enrico fu eziandio in istato di punire e sottomettersi molti di quelli che lo avevano abbandonato; e durarono così parecchi anni le ostilità fra i partigiani dell'uno e dell'altro monarca.

Il marchese di Torino continuò a dimostrarsi ligio ad Enrico, almeno sino all'anno 1011; e diffatto s. Pier Damiano ci narra, ch'egli in quel tempo ricevette a vescovo di Torino il cappellano di quel Re, che era un Landolfo, e di cui farem parola qui sotto. Sul finire del 1013 gli animi degli Italiani, ch'erano contrarii ad Arduino, sommamente s'ina

sprirono, perchè egli comportavasi in barbaro modo contro le città di Como, Novara e Vercelli; onde Enrico, usando l'occasione, venne con molta gente in Italia, vi domò il partito del suo rivale, e condottosi a Roma, vi ricevette l'imperiale corona nell'estate del 1014. Già nel precedente anno il re Arduino ritiravasi nel suo marchesato, e vigorosamente sosteneva il duro e lungo assedio del suo castello di Sparone sull'Orco; assedio postovi dai Tedeschi, che a malgrado di ogni loro tentativo non poterono espugnare quel forte luogo. Nel seguente anno ei fu colto da una grave malattia, e vedendosi dappresso l'ultimo termine della vita, prese l'abito di monaco nel monastero di Fruttuaria, e mori nel 1015, dopo quattordici anni d'inquieto ed agitatissimo regno; epperciò la dominazione dell'Italia rimase per intiero nelle mani di Enrico. Questo Imperatore confiscò tutti i beni dell'infelice re d'Italia, e ne proscrisse i congiunti e gli amici. Correva l'anno 1024 quando Enrico cessò di vivere senza lasciare un suo erede.

[ocr errors]

XIX.

Il marchese di Torino Manfredo II coopera vivamente all'elezione di un nuovo Re. Sua munificenza verso la Chiesa. Doma un tumulto popolare dei Torinesi.

vescovi di Torino Gezone e Landolfo.

Atti piamente generosi dei

I Principi italiani pensarono tosto ad eleggersi un loro proprio sovrano. Per togliere di mezzo qual si fosse motivo di gelosia dell'un Principe verso dell'altro, deliberarono di chiamare al trono un potentato d'interessi opposti a quelli dei Tedeschi, e capace di resistere alle forze di costoro. Offerirono dunque l'italico scettro a Roberto re di Francia, o ad Ugo suo figliuolo: Ugo morì in quello stesso anno 1024; ed il suo genitore non s'indusse ad abbandonare un regno, com'era quello di Francia, venuto di fresco in potere di sua famiglia.

In questa circostanza il marchese di Torino Manfredo, a cui pareva che avesse a riuscire felicemente la deliberazione dei signori d'Italia, la favoreggiava con tutta la sua possa, e valevasi anche a tal uopo dell'influenza de' marchesi di Milano suoi parenti e vicini.

« IndietroContinua »