Immagini della pagina
PDF
ePub

Essendo rimasto privo d'effetto l'invito fatto al francese monarca Roberto, l'elezione cadde sovra un principe di quella stessa nazione per nome Guglielmo, figliuolo di un altro Guglielmo, duca dell'Aquitania e del Poitù, che distinguevasi per saggezza e possanza. Questi, dopo avere accondisceso pel suo figlio all'italico invito, volle in persona scorgere le disposizioni in cui eran gli animi dei baroni d'Italia, e venutovi, riconobbe tanta divisione di pareri e di pretese, tante brighe di personali ambizioni, che stupefatto e disgustato ritornossene negli stati suoi; donde indirizzò al marchese di Torino una grave sua lettera, in cui si veggono dipinti i caratteri dei principali attori di quel dramma italiano, e pregollo di valersi della sua autorità, perchè venisse prosciolto da ogni sua promessa verso i medesimi. Vogliam notare che il duca Guglielmo d'Aquitania e di Poitù in quella sua lettera lodò in modo distinto la lealtà e la virtù del nostro principe Manfredo e della di lui famiglia. Non ingannavasi certamente quell'accortissimo duca; perocchè dipartitosi appena dall'Italia, sorgevano l'arcivescovo di Milano Eriberto, e l'ambizioso vescovo di Vercelli Leone, e si dichiaravano in favore di Corrado eletto Re da' Germani addì 8 settembre 1024, in cui fu tolto ai viventi Enrico II. Diffatto quel Corrado venne con forte esercito; fu senza contrasti coronato Re d'Italia in Milano; e ricevette poscia in Roma nel 1027 l'imperiale diadema.

Fa veramente stupire che gl'Italiani, i quali dovean naturalmente aver caro che il sovrano dominio della nazione non passasse a genti straniere, e che diffatto più d'una volta avean pensato di por sul trono de' Longobardi quando uno e quando un altro de' principi italiani, e che tante fiate si erano accesi di rabbia e di dispetto contro gli uffiziali dei Re Francesi, Borgognoni e Tedeschi, si movessero non pertanto sì spesso a chiamar padroni d'oltremonti. Dall'altro canto vedendo come i due Berengari, e in mezzo a loro il re Ugo di Provenza, poi novellamente il nostro Arduino d'Ivrea, s'abbiano tutti quanti del pari tirato addosso l'odio de' sudditi quasi per le stesse cagioni, strana cosa ci sembra, che non abbiano saputo gli ultimi, per l'esempio de' primi, siffattamente moderare il comando, che si togliesse a vas

[ocr errors]

salli ogni stimolo di ribellione, e la tentazione continua di mutar signoria. Ma cesserà per avventura ogni stupore, se si riflette alla difficoltà che trovavasi di conciliare gli interessi del principe e dei vassalli; mentre che i vassalli o vogliam dire i grandi, o baroni del regno non volevano alcun superiore, e al Re pareva vergogna di averli uguali. I duchi, i marchesi, i conti, i vescovi, e gli altri prelati, che avean messo in capo a un loro pari la corona reale credevano di ricevere ingiuria da lui, quando essi non ne avean così pienamente tutti quei segni di amicizia e di gratitudine che a loro sì parean dovuti; e il Re per poco che si vedesse contraddetto dagl'inferiori, credeva vilipesa la sua autorità; e appunto perchè sapeva d'essere stato poco prima in ugual grado cogli altri, per questo s'indispettiva e erucciavasi e incrudeliva per farsi rispettare e temere. Oltre a ciò i baroni d'Italia finivano per pensare esser loro più giovevole un Re forestiero che non regnava se non di solo. nome nel nostro paese, che un principe loro compaesano regnando di fatto, li soperchiasse.

Da quanto abbiam detto qui sopra si vede che il marchese di Torino Manfredo 11 era nel novero di que' prin cipi Italiani, che più bramavano di essere governati da un Re straniero; ma se in ciò non mostrossi di animo veramente italiano, non cessò mai dal dar prove di sua pietà religiosa. Due anni prima che Corrado fosse coronato Imperatore, cominciossi a venerare nella città di Susa la mortale spoglia di un uomo colà rinvenuta, e creduta quella di un santo martire denominato Giusto: tale credenza, benchè da dotti religiosi contradetta in allora, si estese tuttavia in modo così mirabile, che quella salma fu ivi solennemente trasportata nella chiesa della SS. Trinità; ed indi a poco il marchese di Torino Manfredo unitamente alla consorte Berta e al vescovo Alrico suo fratello, edificò in onore a quel martire un tempio ed un monastero in Susa, assegnando in dote ai due novelli sacri edifizi la metà di Susa medesima, tranne il suo castello, la metà della valle dal Monginevro e dal Moncensio sino a Vayes, gli interi luoghi di Almese, Rubiana, e Volvera, ed infine la metà di Vigone, il tutto per l'estensione di quindici mila jugeri.

Gli stessi religiosi principi fecero un'insigne donazione alle monache benedittine di Caramagna, con atto stipulato in Torino (1028); donarono nello stesso anno anche la corte di Montelletto con duecento venti jugeri di terreno ai preti, diaconi, suddiaconi, ed accoliti, che menando vita regolare e comune ufficiavano la chiesa cattedrale di s. Salvatore in Torino; e alli 12 di maggio del 1029 diedero agli stessi canonici torinesi il castello e il villaggio di Santena con la cappella di s. Paolo, e con le loro pertinenze. Affidarono gli stessi principi ai monaci benedittini (1029) la chiesa e il monastero del sopraccennato martire s. Giusto; e la carta di questo loro atto è preziosa, perchè fa conoscere gli antenati, e gli agnati di essi donatori. Indi a poco tempo il ridetto marchese di Torino fondò in Revello una congregazione di sette sacerdoti compreso il preposto, assegnandole la decima del luogo, e del territorio, e quella dei viveri che entravano nel castello.

[ocr errors]

.

Nell'anno 1031 accadde in Torino un avvenimento che vuol essere qui rammentato. Un certo Odilone, nipote di sant'Odilone abate di Cluny, trovandosi ancora in giovanissima età, era stato eletto ad abate di Breme per opera dell'imperatore Corrado, che lo avea in molta grazia; ma il giovane abate abbandonavasi palesemente ad una vita molto licenziosa, conversava solamente coi militi. Il suo salterio, dice uno storico, eran le carte, i digiuni, l'ubbriachezza, e le sue meditazioni erano le lascivie: palesava un gran disprezzo de' suoi correligiosi. Ai compagni de' suoi disordini donava que' benefizii, che dovevano alimentare i monaci; e con nuova specie di simonia rimunerava co' beni della chiesa i mezzani delle sue dissolutezze; e intanto metteva in non cale le ammonizioni dello stesso Imperatore; a tal che donò questi l'abbazia ad Alberico vescovo di Como. Il scioperatissimo Odilone se ne fuggì in s. Andrea di Torino, portando con sè molto danaro, e fece in quell'anno un cambio di terre vicine alla chiesa di s. Martino d'Alpignano, con altri poderi situati nel territorio di Rivoli. Il contratto fu stipulato con Mauro figliuolo di Domenico nel castello proprio di esso monastero detto Gunzene presso Beinasco. Sopraggiuntovi Alberico ottenne dal marchese di Torino

[ocr errors]

Manfredo H, che avea giurisdizione ereditaria sopra Breme, d'averlo con bel modo in suo potere. 1 Torinesi, saputo l'arresto dell'abate, si levarono a rumore per liberarlo; ma uscito Manfredo colla sua milizia, frenò il moto popolare; e Odilone fu dal vescovo condotto in sicuro, finchè gli fu sottomesso, ed a quiete ritornò il monastero.

Ad Amizone, di cui abbiam già fatto cenno superiormente e che da alcuni si crede essere stato figliuolo del marchese Arduino III, detto Glabrione, succedette nella cattedra vescovile di Torino Gezone, il quale la resse pel corso di quasi due lustri, cioè dal 1000 al 1011: questi fu vescovo sommamente pio, e generoso verso gli ordini monastici: fondò in Torino un monastero ad onore de' tre ss. martiri torinesi, Solutore, Avventore ed Ottavio, ora più conosciuto col nome di monastero di s. Solutore; lo fondò nel luogo, ov'era la basilica di questi santi martiri, ossia dove oggidì sussiste la cittadella. Di questo monastero abbiam parlato stesamente nell'articolo Sangano Vol. XVIII, pag. 846 e segg.

1

Landolfo, successore di Gezone, occupò la cattedra vescovile di Torino dal 1011 at 1038. Molti beni egli donò al predetto monastero di s. Solutore. Ebbe cominciamento da lui la fondazione e la dotazione dell'abazia di s. Maria di Cavorre (1037); alla qual fondazione concorsero anche e sottoscrissero i canonici di sua cattedrale. Gli obblighi imposti dal piissimo fondatore ai monaci di Cavorre, altri non furono, se non che pregassero di e notte per la pace e prosperità spirituale e temporale della diocesi, per l'Imperatore e l'Imperatrice, per le anime di tutti i fedeli vivi e defunti, e per la salvezza sua propria, non meno che per quella de' suoi predecessori e de' futuri suoi successori Vedi Cavorre Vol. IV, pag. 333 e segg.

Lo stesso vescovo instituì nella chiesa maggiore di s. Maria di Testona un collegio di canonici, provvedendoli del diritto delle decime, di cappelle e di molti poderi, affinchè nulla mancasse al decoroso sostentamento di que' canonici, per la celebrazione perpetua del divino servizio, e per l'utilità dei fedeli. Delle vicende di Testona, e del collegio di canonici ivi stabilito, abbiam discorso sufficientemente nell'articolo Testona, e dovremo parlarne ancora nel corso di queste

[ocr errors]

storie. Più viaggi intraprese l'ottimo vescovo Landolfo in Italia, e primieramente a Roma nel 1015, ove trovossi al concilio di Laterano, raunato da papa Benedetto VIII; intervenne ad un sinodo che si celebrò in Pavia circa il 1022; e si condusse un'altra volta a Roma nel 1030, ove con Alrico vescovo d'Asti, Alderico vescovo di Vercelli, e con più altri prelati sottoscrisse ad una lettera del sommo pontefice Gioanni XIX, indiritta ai fedeli di Mompellieri per esortarli a riparare le rovine della chiesa di quella città. Non cessò mai l'ottimo vescovo Landolfo dall'adoperarsi col massimo zelo al vantaggio spirituale ed anche temporale de' suoi diocesani; fece molti ed importanti ristauri al maggior tempio di Torino; eresse varie chiese, in diversi luoghi di sua diocesi, e le fornì di sacri arredi; e siccome i Saraceni, a cui si unirono i malviventi dei nostri paesi, avevano devastato le nostre terre, affinchè gli abitatori di esse più non fossero nell'avvenire soggetti al furore de' barbari, muni di castelli e di opere di fortificazione varii luoghi, tra i quali sono da noverarsi Chieri, Testona, Moccariado e Tiziano; non lunge dal castello di Chieri da lui riattato, e reso assai più forte, che nol fosse da prima, fece edificare su elegante disegno un tempio in onore della Gran Madre di Dio, lo forni di bei quadri, di suppellettili sacre, e destinò sacerdoti e chierici per ufficiarlo. Questo insigne prelato, di cui la memoria sarà sempre venerata e cara ai torinesi, maneò ai vivi addì 12 febbrajo 1038, e nello stesso gli succedette Widone, o Guidone, che imitò le virtù pontificie del suo predecessore.

XX.

anno

Nuovi atti della pia generosità del marchese di Torino Olderico
Manfredo II: egli concorre ad una importante spedizione in favor
di Corrado: accoglie in Torino il guerriero arcivescovo di Milano
Eriberto; questi va ad assediare il castello di Monforte, ove si
erano rinchiusi molti eretici: tristissimo fine di costoro.

[ocr errors]

Olderico Manfredo II subito dopo aver frenato il moto popolare dei Torinesi, che favorivano Odilone abate di Breme, stipulò insieme colla sua consorte e col suo fratello vescovo

« IndietroContinua »