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muni che or sono soggetti a questa nostra capitale, adottarono e fecero poi molto utilmente uso di questo nuovo palladio della loro indipendenza, gioverà che qui se ne riproduca la descrizione, quale ci vien data da Arnolfo storico milanese. Era questo un carro a quattro ruote tirato da quattro coppie di candidi buoi, tutto dipinto a rosso e sormontato da un'antenna che avea sulla cima un pomo dorato con due vessilli bianchi, al di sotto dei quali sventolava quello del comune. Sotto questa bandiera si scorgeva un Crocifisso colle braccia distese in modo da sembrare che benedicesse i combattentií. Una specie di piattaforma, che stava sul davanti del carroccio, era riservata ai più valorosi militi che la dovevan difendere; un'altra che stava di dietro era occupata dai suonatori. Dalla conservazione di questo carro dipendeva l'esito della battaglia, ed il perderlo era riputato una sempiterna ignominia. L'aspetto di esso rinfrancava l'animo dei combattenti nelle più dure e malagevoli imprese; ed il timore che cadesse nelle mani dei nemici era un grande stimolo a far mirabili prove di valore nei pericoli più gravi delle battaglie: e a ciò si aggiunga che essendo i movimenti della fanteria subordinati a quelli di questo carro pesante trascinato da buoi, doveva essere misurata e lenta la ritirata, e la fuga impossibile, a meno che fosse vergognosa.

XXI.

Figliuolanza del marchese di Torino Manfredo II.

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Memorabili

Cenni sulla prole di lei.

fatti della grande Adelaide La morte del nostro marchese Manfredo II, avvenuta in Torino nel 1035, fu lamentata universalmente dai sudditi suoi, che sotto il suo paterno regime vivevano in quella maggior tranquillità che si potesse godere a quei tempi, in cui ben altramente succedevano le cose negli altri stati d'Italia, ove le popolazioni ben sovente si ribellavano ai loro signori, di cui per lo più era tirannico il governo, e così si avvezzavano esse a farsi giustizia di per sè, e creavansi capitani, e combattevano le milizie dei governatori dei castelli; sicchè sorsero poi le libertà e gli statuti dei comuni, come diremo qui sotto.

La figliuolanza del marchese Olderico Manfredo II si compose di un maschio, che ebbe il titolo di conte di Mombardone, premorto al padre, e di due femmine Adelaide ed Imilla, od Ermengarda. Questa principessa, dopo la morte dell'egregio padre, sposò in prime nozze Ottone marchese di Suinenfurt, poi duca di Svevia, il quale apparteneva al più alto lignaggio di Germania. Egli cessò di vivere nel 1058, e la vedova sua in età di quarant'anni rimaritossi con Egberto di Brunswick, marchese o duca di Turingia, parente del re di Germania Arrigo IV, figliuolo di Arrigo III, e nipote di Corrado il Salico. Berta era figlia della marchesa Adelaide, e di Oddone principe di Savoja. Ma nè Imilla, nè Berta ebbero ad esser soddisfatte dei loro mariti ancor troppo barbari; ed Imilla, dopo la morte di Egberto, avvenuta nel 1068, ritornossene, quanto più presto potè, in Torino, ove fece cospicue donazioni in favore di varii monasteri del Piemonte. Imilla duchessa di Turingia e non mai di Torino, come disse il Chiesa nella sua Corona reale, morì nel 1077 in questa capitale, e venne seppellita presso l'illustre suo genitore Manfredo 11 nella chiesa di s. Gioanni Battista, appiè dell'altare della SS. Trinità.

Per riguardo ad Adelaide vuolsi dire che il marchese suo genitore nella sua estrema vecchiezza sentendosi venir meno le vitali forze, deliberava di stabilire in lei gli stati della sua marca, i quali consistevano in poco meno di quello che si comprende sotto nome di Piemonte dall'alpi cozie sino. alla riviera di Genova, e dalle falde di Monviso, dov'è Saluzzo, sino ad Asti. Oltrecchè si può credere che fosse venuta in potere di lui alcuna parte del marchesato d'Ivrea, quando, dopo la morte di Arduino, l'imperatore Arrigo II smembrando la marca eporediese, ne investì d'una gran parte il vescovo di Vercelli, ed altri signori. Il padre di Adelaide adunque le scieglieva a marito il duca di Svevia. Ermanno, figliuolo dell'Imperatrice Gisla, il quale, dopo la morte del suo suocero, avvenuta nel 1035, otteneva l'anno dopo l'investitura del marchesato di Torino, che da soli maschi doveva essere rappresentato. Seguì egli l'Imperatore nella sua guerra d'Italia l'anno 1038, e morì vittima della

che ne afflisse l'esercito, addì 28 di luglio di quel

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l'anno. Non ostante la costituzione di Corrado, poco sopra riferita, la successione de' grandi feudi non era ancor bene stabilita nè in Italia nè altrove. Benchè i governi delle marche non fossero nè assolutamente ereditarii, nè potessero reggersi da femmine, che la legge, o per dir meglio, la consuetudine supponeva inabili a succedere ne' feudi, perchè inabili al servizio militare, non di meno e le figliuole e le vedove dei marchesi e dei duchi ne disponevano quasi a loro senno, quando mancavano eredi maschi; e adempivano letteralmente la legge con cercarsi marito, in capo del quale si appoggiasse di nome il governo, ritenendone però esse la reale ed effettiva amministrazione, se il nuovo marito non ne le spogliava forzatamente. Morto adunque il duca di Svevia Ermanno, la celebre nostra Adelaide, vedendo i grandi moti che agitavano l'impero ed il sacerdozio presso la metà del secolo xi, per non rimaner sola al governo degli stati suoi, passò a seconde nozze col marchese di Monferrato Enrico di stirpe aleramica, l'anno 1042: non avendo avuto prole nè dal marchese Enrico, che presto le mancò di vita, nè dal primo consorte, pensò di dover passare a terze nozze; ma siccome le nacque qualche scrupolo a questo riguardo, s. Pier Damiano le scrisse una lettera, e con buone ragioni cercò di levarle dall'animo io scrupolo ch'ella aveva di rimaritarsi la terza volta. Questa lettera non è solamente notabile ed importante per la notizia che ci porge delle virtù e della potenza di Adelaide medesima, chiamata quivi eccellentissima duchessa e marchesa, e del credito ch'ella avea nei maggiori affari d'Italia, ma ancora per le massime di governo e di disciplina ecclesiastica che il santo e dotto cardinale vi stabilisce. Adelaide pertanto elesse a suo terzo marito, nel 1047, Oddone quartogenito di Umberto I detto dalle bianche mani, principe di Borgogna, conte di Aosta e di Moriana, signore di molti paesi in Savoja ed in Francia. Dal conte Oddone Ella ebbe in prima due figliuole Berta II, ed Adelaide II, e quindi ebbe tre figli, Pietro I, Amedeo II, e Oddone II. Non godette la celebre Adelaide più di tredici anni della compagnia del conte Oddone, come si conosce dalla data di una donazione di lei, fatta per suffragare l'anima del

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suo defunto consorte Oddone. Per ottenere la benedizione di Dio sopra l'eletta sua famiglia, ella fece considerevoli doni a s. Gaudenzio di Novara, a s. Maria di Pinerolo, alla chiesa d'Asti, al monistero di s. Pietro del Gallo in Torino, a quello di Caramagna, ed in fine a quello di s. Lorenzo d'Oulx, coll'intervento de' suoi due figliuoli Pietro I, ed

Amedeo II.

di

Non molto innanzi a quest'epoca l'ecclesiastica disciplina iva a dirotto in tutta Italia, ed anche in altre regioni d'Europa; ed anzi l'aspetto della romana chiesa trovavasi in tanta confusione, che diede motivo di forti lagni al dotto cardinale Baronio. L'imperatore Enrico II soprannominato il Nero a cagione della sua barba, discendeva in Italia per mettere un argine ai gravi disordini, ond'ella era desolata: raunava un concilio in Sutri nel 1046; vi faceva esaminare la causa di tre eletti alla tiara, cioè di Benedetto IX, Silvestro III, e di Gregorio VI, e trovatili tutti rei di male arti e di simonia, li faceva deporre. Entrato poi in Roma, raccolse nella basilica vaticana il clero ed il popolo, che proclamarono papa il vescovo Suidgero, il quale assunse il nome di Clemente II, ed ornò ad Enrico la fronte del diadema imperiale. Si adoperò quindi per abbattere il mostro della simonia, ed impedire che la chiesa romana fosse da nuovi tumulti conturbata; ed i pontefici che sotto i suoi auspizii furono eletti, cioè Clemente II, Damaso II, Leone IX, e Vittore I governarono saggiamente la chiesa, e nulla tralasciarono per riformare i costumi del clero.

Se non che nella Lombardia, ed anche in Piemonte, succedevano molti scandali massimamente pel riprovevole contegno di una gran parte delle persone addette al santuario. In tanta confusione di cose levossi il monaco Ildebrando, che divenne poi papa, il quale tentò di apporre un argine a tali disordini. Egli era piccolo di corpo, ma di concetti smisurati, d'irremovibile fermezza e di vita integerrima; governò la chiesa romana per lungo spazio di tempo, ora come arcidiacono, or come cardinale, e finalmente come sommo pontefice sotto il nome di Gregorio VII: fu l'anima della corte romana sotto i pontificati di Stefano IX, di Nicolò HI e di Alessandro II.

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Per diradare l'abuso del concubinato nel clero di Milano, il quale cercava di difendere il matrimonio dei preti, si valse di un zelante diacono per nome Arialdo; e questi commosse il popolo milanese contro quei preti, che ricusavano di scompagnarsi dalle loro donne, cui essi dicevano d'essersi legalmente uniti. Guido arcivescovo di Milano, succeduto in quella sede al precitato guerriero arcivescovo Eriberto, favoriva apertamente i preti concubinarii, dopo aver cercato inutilmente i mezzi di amicarsi il diacono Arialdo ed un certo Landolfo nobile laico, che anche gridava contro gli abusi introdottisi nel clero, deliberò di convocare un concilio, e diffatto lo convocò l'anno 1057 in Fontaneto, affinchè ivi si pronunciasse una sentenza massimamente per riguardo alla legge del celibato. Egli per questa bisogna scelse appunto il monastero di Fontaneto, posto nel Novarese tra l'Agogna ed il Sizzone a tre miglia di Borgomanero, sì perchè un tale cenobio era molto spazioso e ricco, sì perchè trovavasi munito di un forte castello. Sette furono i vescovi ivi congregati, oltre a parecchi sacerdoti; cioè l'arcivescovo di Milano, il vescovo di Torino e quelli d'Asti, Vercelli, Novara, Brescia e Lodi. Essi diedero l'avviso ad Arialdo ed a Landolfo di comparire a quel provinciale concilio; ma l'eccessiva indulgenza di alcuni dei vescovi congregati e l'indifferenza di non pochi altri fecero sì, che vennero condannati e colpiti della scomunica i due fervorosi difensori de' sacri canoni, perchè citati non vollero comparire davanti a quel conciliabolo ; laonde il disordine si sostenne e dilatossi impunemente soprattutto perchè l'arcivescovo Guido, o Vidone, dichiarossi apertamente fautore de' suoi ecclesiastici ammogliati, sicchè il novero dei preti concubinarii si accrebbe anche in Torino e nell'intiero Piemonte. Ciò udendo il pontefice Nicolò II spedì nell'anno 1059 due legati a Milano, i quali furono san Pier Damiano vescovo d'Ostia ed Anselmo da Baggio vescovo di Lucca, incaricati di mettere un valido freno all'incontinenza de' chierici ed alla simonia; due vizi abbominevoli, che massime in quei tempi infelici, deturpavano la chiesa. Capo de' simoniaci in Lombardia ed in Piemonte era il predetto arcivescovo di Milano, il quale a forza di danari era stato investito di quella sede metropolitana dall'imperatore

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