Immagini della pagina
PDF
ePub

lunghi dardi, latinamente chiamati gesa, ma eziandio perchè il loro nome appo i Greci significa mercenarii, i quali per certa loro vaghezza di acquistar gloria, facean mestiero di andare al soldo di chi li chiamasse; gente degna di assomigliarsi a quei paladini che mille anni dopo diedero tanta materia a' romanzi, o più veramente a quelle feroci compagnie d'avventurieri che nel decimoquarto e nel decimoquinto secolo dell'era cristiana pigliavano stipendio or qua or là dagli stati d'Italia, e desolarono le nostre contrade.

Mentre i legati dei Galli e dei Taurini trattavano coi re Aneoresto e Congolitano per la venuta delle loro audacissime soldatesche, attendevano i nostri sollecitamente a raunare il danaro per gli stipendii, e a dare gli opportuni bellici provvedimenti, vendendo i prigionieri, già fatti in battaglia, e mettendo contribuzioni straordinarie a ciascuna delle collegate popolazioni. Scesero intanto i Gessati per la via già trita delle alpi taurine, e in una regione vicina al Po fecero la rassegna delle loro genti. Barbara e strana, epperciò spaventosa era la vista di quei transalpini mercenarii, che avean grandi corpi e seminudi, sdegnavano ogni armatura di ferro, ed ogni ricco ornamento, sì per una brutale ostentazion di coraggio, sì per essere più spediti; ponendo la bellica loro arte principalmente nell'audacia, nell'astutezza, e nella celerità, nelle quali doti non pari.

avean

con

se

La fama di questi apparecchi rapidamente precorse a Roma, la empiè di confusione e di terrore; perocchè avendo le guerre esterne per acquistare l'altrui, abbandonata stessa, vedevasi nella guerra interna senza guerrieri; e già parendo a ciascuno dei Quiriti di vedere racceso l'incendio dei Galli alle mura, altro non si udiva che voti delle matrone, sclamazioni del popolo, e rimproveri dei patrizii contra il testereccio promulgatore della legge agraria. Per lo che, come narra il Saliano, il senato, deposti i pensieri dell'Africa, della Spagna, e de' lontani conquisti, spedì, senza frapporre indugi, gli ordini ai generali, che, fatta pace con Asdrubale, riconducessero tosto gli eserciti in Italia; e per mezzo di facondi oratori, e più ancora coll'offerta di cospicue somme di danaro entrò in pratiche con molte popolazioni

di questa penisola, affinchè si armassero contro i Galli, rappresentando ad esse che questi avean giurato lo esterminio non pur di Roma, ma di tutte le itale genti. In questo frattempo così andava crescendo lo spavento de' Romani che essi non avendo mai per lo avanti contaminata la loro religione con inumane superstizioni, non dubitarono in questo frangente d'invocare in loro ajuto l'inferno con una nefanda incantagione di due infelici vittime umane, sotterrando vivi un uomo ed una femmina di stirpe gallica, dentro una fossa in mezzo al foro Boario, per mano dei decemviri augurali, con esecrande parole contro alla nazione dei Galli, come se tutta perir dovesse in quella fossa. Barbarie dei Romani, che non sembrerebbe credibile, se non ne facessero piena fede Plutarco in vita Marcelli, ed Orosio lib. 4, cap. 315.

[ocr errors]
[ocr errors]

Ma mentre accadeva in Roma quest'orribile sacrifizio, non eravi esercito agguerrito; ed appena vi si trovava una turba di collettizi tironi; e già cominciavano i Gessati ad incamminarsi nell'Insubria, dove i Taurini, i Libici, ed i Boi comparirono alla rassegna, e dove per direttori della guerra furono d'unanime accordo eletti i due principi transalpini, tra i quali Aneoresto venne posto a capo supremo della spedizione. Niun campo parve giammai più fiorito di campioni: cento mila combattenti comparvero sotto le insegne, tutti pieni di giubilo e di brio, altro non aspettando che l'arrivo de' Cenomani per passare nella Toscana, ed indi a Roma. Ma un improvviso accidente rallentò il corso a sì grande impresa; perocchè i Cenomani, che al principio si eran mostrati più volonterosi degli altri cisalpini, ed i Veneti, a' quali la vicinanza de' romani nel Piceno faceva pur noja, essendo stati corrotti dall'oro de' Quiriti, non solamente si astennero di concorrere alla gallica spedizione ma si dichiararono fautori della romana repubblica contro ai nemici di essa. Molte rappresentazioni si fecero ai Cenomani, ed ai Veneti per distorglierli dall'intempestiva risoJuzione; e parecchi giorni si perdettreo tra proposte, risposte e repliche; ma finalmente, perdute insieme col tempo le speranze, i Galli ed i Taurini deliberarono di bipartir l'esercito, e passando avanti con la metà di esso, lasciar l'altra a custodire la Cisalpina dalla invasione, ed assicurar le

spalle dell'esercito dalle molestie nel cammino. Supplendo adunque al difetto delle forze col coraggio, e colla intrepidezza s'incamminarono i Galli ed i loro alleati all'Appennino per passare dirittamente a Roma senza molestare gli Etrusci, non volendo offendere chi non li offendeva; ma fatti consapevoli che anche gli Etrusci eransi strettamente congiunti coi Romani, volsero da prima lo sdegno e le armi contro la Toscana, ove ostilmente introdottisi, ne arsero le città e le ville, ridussero in servaggio i nobili e le matrone, uccisero i plebei, rapirono le cose pubbliche e le private; e ciò che non poterono portare con seco diedero alle fiamme. Così camminando e predando erano giunti a quella fatale città di Chiusi, da dove il vecchio Brenno aveva preso le mosse contro la romulea città, a tre giornate vicina. Ma intanto gli impigli e i ritardi del loro esercito, avean dato ai Romani abbastanza d'agio e di tempo per richiamare le loro legioni dalla Liguria e da Oltremare, e per raccogliere le truppe dei loro confederati.

[ocr errors]

Delle inuumerevoli forze opposte da Roma contro i Galli,

i Taurini e gli altri loro alleati.

[ocr errors]

La rassegna che allora fecero i Romani delle proprie loro truppe, e di quelle dei loro aderenti, leggesi distesamente in Polibio, scrittore di quell'autorità che tutti sanno; e fu anche riferita da Fabio pittore, che a' tempi di quelle imprese sostenne nella repubblica le prime cariche tanto civili quanto militari. Noi troviamo dunque che, sull'avviso della venuta dei Galli, de' Taurini e degli altri loro alleati, i Sabini e gli Etrusci armarono settanta mila fanti, e quattro mila cavalli; gli Umbri, ed i Sarcenati abitatori dell'Appennino da quella parte, venti mila; i Romani venti mila fanti, e mille cinquecento cavalli; i Latini trentadue mila tra cavalli e fanti; i Sanniti quantunque usciti pur allora da quella rovinosa romana guerra, in cui perdettero numerosa gente in più combattimenti, mandarono sotto il comando de' Romani settanta mila fanti e sette mila cavalli; i Japigi ed i Messapi cinquanta mila d'infanteria, e sedici

1

mila di cavalleria; i Lucani trenta mila fanti e tre mila. cavalli; e tra Marsi, Marrucini, Ferrentani e Vestini, ventiquattro mila tra fanti e cavalli: così che nella somma totale si trova che da una minor parte d'Italia, che non comprendono ora lo stato del Papa e il regno di Napoli, si armarono allora di primo tratto più di settecento mila uomini; numero senza dubbio maggiore di quanto ne possono ai nostri di mettere insieme due delle più grandi e più possenti nazioni d'Europa. E se noi riflettiamo che si armarono tante migliaja d'uomini in un tempo che non solo i Sanniti, ma tutti gli altri popoli italiani erano, pei disastri delle guerre ch'ebbero a sostenere da Roma, fortemente caduti da quel che erano cento anni addietro, dovremo quindi argomentare che ai tempi di Pirro tutti i suddetti popoli potessero armare un molto maggior numero di gente, che non fecero nel sopraccennato caso riferitoci da Polibio.

Gravissimi furono gli effetti di questa gallica lotta, durante la quale fecero prodigi di valore i Taurini; locchè dee tornare a vanto dei loro posteri, la cui capitale che da quelli venne fondata, prendendone il nome rimastole poi. sempre, essendo da più secoli una delle più cospicue città. d'Italia, è ora scopo alla bella invidia degli altri itali municipii, ed oggetto d'ammirazione ai popoli degli esteri stati: ma prima di accingerci a narrare le particolarità di quella fiera memoranda guerra, giudichiamo opportuno di palesare alcune delle precipue ragioni, per cui i Romani abbiano potuto in quel tempo mettere in campo un esercito così sterminato, come ce lo descrissero Polibio e Tito Livio.

Vera cosa è, che se nella presente condizion de' governi, e secondo i costumi nostri, non può uno stato, senza particolarissima eccellenza d'amministrazione, o senza propria rovina sostenere maggior numero di soldati che in ragione di uno, o al più di due per cento, potevansi in quelle antiche età, e in que' piccoli stati armare senza fatica otto ed anche dieci per ogni centinajo. Ma non è perciò ben manifesto che una città od un territorio, per mandare in campo da quindici o venti mila armati, dovesse contare da ducento mila teste nel loro distretto; e poichè tanti erano i

popoli e le repubbliche in Italia, a cui le venti migliaja di armati erano piccolo sforzo, parrà tuttavia cosa incredibile che l'Italia potesse comprendere e nodrire cotanta moltitudine di persone. Per intendere adunque come si producesse e sostenesse così numerosa popolazione, non ostante le guerre e gli altri flagelli a cui fu il mondo sempre soggetto, uopo è dimostrare quali fossero i costumi e le arti che allora fiorivano nella nostra penisola, e le naturali qualità di essa.

Che tutti generalmente i popoli d'Italia fossero quasi per propria e indispensabile professione dati così all'agricoltura come alle armi, non è cosa da porre in dubbio. Il frutto che ne nasceva, tanto era più abbondante, quanto maggiore era l'opera che vi s'impiegava. Ed è perciò da sapere pri-, mieramente che buona parte delle genti italiane (estendendo questa denominazione sino ai termini proprii e naturali d'Italia, che sono le alpi) abitavano a casali e borghi. Tale era l'uso dei Sabini, de' Latini, dei Vestini, e di altri popoli Sanniti; tale quello dei Liguri, e tale specialmente l'uso dei Galli cisalpini, i quali tuttochè possedessero così felice parte d'Italia, qual'è la Lombardia, non solamente non si presero pensiero di fabbricarsi e di abitare grandi città, ma appena si costrussero case, albergando pure in bassi e vili abituri, e in anguste capanne. A questo modo non ci potendo essere alcuna notabile disuguaglianza di beni, ogni uomo e ciascuna famiglia coltivava la sua porzione di terreno in sul luogo stesso del suo albergo, e però più agevolmente e con maggior frutto. Nè per aprire strade, o edificar abituri si occupava altro spazio di tempo o di luogo di quel che bastasse per capirvi entro o piccola carretta, o bestiami da soma; e da ogni palmo di terreno si ricavava profitto. Le donne che nel nostro, vivere cittadinesco sono o di carico, o di piccolo sollievo, siccome quelle che si adoperano per la più parte nelle arti di puro lusso, erano allora di miglior uso che non sono le stesse femmine dei villici d'oggidì; erano di ajuto alla coltivazione, e di opportuno sollievo per tutti gli uffizii domestici, potendosi in pochi momenti condurre dall'albergo al campo, e dalle pentole o dal telajo al rastrello o alla greggia pascolante. Il vero è Dizion. Geogr. ec. Vol. XXII.

3

[ocr errors]
« IndietroContinua »