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sorpresa dagli invasori del contado di Torino e di Susa, si ritirò e finì i suoi giorni in un tristo villaggio chiamato Canischio; ma nè egli, nè alcuni altri, che seguirono questa sua opinione, non seppero addurre altre prove in appoggio di siffatta loro credenza, fuorchè un'oscura tradizione di quel villaggio. Certo è che Adelaide morì in Torino sua sede, e fu sepolta nella chiesa battesimale a piè dell'altare della SS. Trinità, ove riposavano le ossa de' suoi genitori e consorti, ed ove in suffragio delle loro anime uffiziava in ogni dì il ridetto collegio de' sei canonici da essi fondato, e dalla stessa Adelaide in più guise beneficato, Falso è pure che questa gran donna, sul finire de' suoi giorni, fosse stata abbandonata da' suoi: i fatti che abbiam qui sopra narrati, e massimamente il severissimo castigo ch'ella diede agli Astesi nell'anno stesso in cui ella morì, dimostrano la sovrana potenza da lei esercitata sino all'ultimo punto del viver suo; ed invero fu appunto nell'anno 1091, in cui l'anima sua ›volossene al cielo, ch'essa conseguì dall'imperatore Arrigo l'investitura della marca torinese per Pietro Il figliuolo di Federico di Mombeliard.

Torino e l'intiero Piemonte, sotto l'illustre Adelaide, poterono godere di una lunga pace. Ella ebbe a' suoi giorni fama non meno chiara di quel che l'avesse Matilde contessa di Toscana; ma è verissimo, ché i fatti.dei Principi in tanto si tengono per chiari e magnifici, in quanto sono celebrati, o narrati da più conosciuti scrittori, Qra le cose che riguar dano la Toscana sono generalmente più note, che quelle di ogni altra parte d'Italia. Ed oltre a ciò non essendosi la nostra Adelaide tanto impacciata dei fatti di Roma, che in quei secoli del regnante monachismo erano più studioșamente riferiti, non è meraviglia, che il suo nome s'incontri meno spesso nelle storie italiane, che quel di Matilde; ma le erudite fatiche del nostro Terraneo già cominciarono a far più noto e più celebre un nome sì caro e sì degno presso noi di onorata memoria; essendo che per l'eredità di Adelaide gli antenati dell'augusta Casa di Savoja cominciarono ad acquistar dominio di qua dalle alpi. D'altronde se si volesse fare un imparzial paragone tra Matilde e Adelaide, chiaramente vedrebbesi, che i meriti di questa ecclisserebbero

quelli della contessa di Toscana. Chè nessuna macchia oscurò giammai la lunga vita della nostra Principessa, la quale consecrò tutti i suoi giorni, a rendere fortunati i suoi popoli, a soccorrere gl'infelici, a beneficar le chiese, a tener lontana da loro l'eresia de' Nicolaiti, che imperversava nelle contermine regioni, a ridurre il clero all'adempimento de' suoi doveri, a frenar l'ambizione soverchia de' baroni ed a sostenere con lealtà e senz'altri fini particolari la Santa Sede contro le ingiuste persecuzioni degli imperatori d'Alemagna: le quali lodi non sappiamo se meritar si possa Matilde. Chè dubbio sarebbe a risolvere se maggior fosse il vantaggio, cui provarono i Papi dalla protezione che di loro prese Matilde, o l'utilità ch'ella medesima trasse dal mostrarsi.com tanto fasto protettrice e difenditrice del partito ecclesiastico. L'ambizione, che, a malgrado degli sperticati elogi che fecero di Matilde i suoi panegiristi, fu forse in lei la qualità dominante, potè farle provare qualche sentimento lusinghevole di compiacenza a comparir, nel teatro del mondo come antagonista di un grande e possente e bellicoso Re, e d'un Re spezialmente, che per la sua sregolata ed irreligiosa, vita poteva accrescere riputazione di bontà e di pio zelo a' suoi avversari. Oltrecchè, sicome la voglia di comandare supera nelle donne forse più che negli uomini ogni altro affetto, la contessa di Toscana traeva questo reale e presente vantaggio dalla sua così stretta unione col romano Pontefice, che i suoi sudditi, e generalmente tutti gli zelanti cattolici, la obbedivano e aderivano a lei con più prontezza e fervore;. e ciò che più importa osservare si è che ella ottenne anche più facilmente di valersi dei beni ecclesiastici in ogni sua impresa. Vero è ch'essa mostrò sempre intenzione di lasciare alla chiesa gli stati suoi, ed anche ne fece sotto Gregorio VH strumento di donazione; ma non si tolse tampoco la libertà di pensare a nuove nozze ; e la vediamo dar la mano di sposa a Guelfo V di Baviera, principe di dieci anni più giovane di lei, e quindi allontanarlo da sè in modo così sconvenevole, che diè motivo a molte dicerie assai pregiudice, voli alla di lei riputazione. E finalmente si dec biasimare l'indegno artificio, di cui ella si valse per ottenere che Corrado figliuolo di Arrigo IV si ribellasse dal suo genitore, e

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poi lo riducesse nelle più grandi angustie; nessuno dubita che Corrado, caduto in grande avvilimento, si condusse a Firenze, e finì quivi i suoi giorni non senza forti sospetti, che gli si fosse col veleno affrettata la morte.

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Al contrario l'illustre Adelaide, nel lungo corso della sua vita, diede costantemente le più belle prove d'aver sortito dalla natura elevati spiriti e di essere fornita di tutte le virtù religiose, politiche e civili, che sempre richiedonsi nei regnanti, e richiedevansi massimamente nel tempo in cui ella viveva. Se si eccettui l'eccessivo rigore con cui punì gli Astesi che s'erano ribellati al loro vescovo ed a lei, la storia non solamente non può rimproverarla d'alcuna colpa da lei commessa nel regime degli stati suoi, ma dee colmarla di lodi per la saggia condotta da lei sempre tenuta anche nelle più difficili emergenze : ond'è che ben meritati furono gli elogi che di essa fecero tutti i suoi contemporanei, e massimamente quelli, con cui vollero onorarla due alti personaggi di eterna fama, che dovettero conoscerne le preclarissime doti, vogliam dire il sommo pontefice s. Gregorio VII e il dotto e santo cardinale Pier Damiano.

L'abate di Lavriano ed altri prima di lui narrano disastri orribili, a cui Torino sarebbe soggiaciuta subito dopo la morte di Adelaide. I Torinesi, dicono essi, vennero a fierissime dissensioni fra loro. La furia de' popolari, la quale se non opera tosto non fa gran cose, suggerì alle fazioni infierite le più triste maniere di lacerarsi. La natura stessa contribuì in quella lotta civile alla distruzione non solo degli uomini, ma eziandio delle cose. Il ferro micidiale avea già versato tanto sangue dei Torinesi, che si dovea sperarne in breve o spento affatto, od allentato almeno il furore di essi. Sopraggiunse a loro grandissimo danno la pestilenza, ma nemmen questo flagello potè atterrire, nè distornare i combattenti dalle loro fiere risoluzioni. Onde il cielo, gravemente sdegnato della loro pertinacia, prese esso medesimo a frenarli, e facendo loro venir meno il vitto e l'albergo, volle che in loro operasse la necessità ciò che ricusavan di fare per elezione. A questo estremo ridotti s'avvidero finalmente, benchè troppo tardi, essere le divisioni civili a guisa de’laberinti, ov'è facile l'entrarvi, ma difficil cosa rinvenire il filo

che v'insegni la via d'uscirne. Diluvii d'acqua, gelate brine, fieri nembi, impetuose grandini e folgori sterminatrici ro→ vinarono pressochè tutti gli edifizi sacri e profani, e lasciarono così disertati e guasti i campi, che per più miglia all'intorno rimase sgombro di gente il paese.

1 Torinesi che si sottrassero a que' fierissimi colpi, e specialmente i nobili ed i ricchi, rifuggirono a Testona, borgo in allora assai vasto ed opulento. Siccome Testona era di episcopal giurisdizione, così il vescovo di Torino ivi trasportò la sua sedia; ed ivi pure si rifugiarono i pubblici magistrati. La plebe più minuta della nostra capitale, i coltivatori delle terre, gli artefici, quelli massimamente che null'altro si trovano avere, se non l'opera di ciascun giorno per vivere, tutti furono costretti andarsene chi accattando, e chi cercando altrove da lavorare con che sostentarsi.

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A così misero stato ridotte le cose di questa popolosa città, si può agevolmente vedere come viver potesse l'infelicissimo avanzo dei Torinesi, fatti già per lo spazio di più anni bersaglio dell'ira divina.

Ma noi crediamo che il racconto di tante calamità, così esposto da quegli scrittori, sia un'alterazione de' seguenti fatti, ch'eglino o non conobbero, o vollero disguisare per non offendere la suscettività de' Principi che qui regnarono al loro tempo in modo assoluto.

Vero è che la morte dell'illustre Adelaide fu conseguitata da orribili guerre che devastarono il nostro paese, e lo divisero in varie parti, a tal che se ne sentirono per lungo tempo in questa contrada le conseguenze funeste. Diffatto l'imperatore Arrigo IV, che avea fatto incoronare re in Aquisgrana sin dall'anno 1087 il suo figliuolo Corrado, nel 1092 inviò quel suo figliuolo con una parte delle sue truppe in Piemonte; e questi volendo occupare gli stati della marchesa Adelaide a pro del suo genitore, marito di Berta II figliuola di quella marchesana, ostilmente lo invase, e pose a soqquadro tutto l'agro torinese. Ma le terre da lui in allora più devastate, furono quelle che spettavano all'abazia di Fruttuaria, calda sostenitrice del papa Urbano II. Nel seguente anno si trovò Corrado presente alla stipulazione di due atti del suo padre Arrigo IV, emanati in Pavia il dì 15

d'aprile, 'a' favore di Ottone eletto vescovo d'Asti; i quafi diplomi volle fare l'Imperatore appunto per dimostrarsi l'unico erede degli stati di Adelaide a danno di Pietro II, che pure da lui medesimo era stato investito della marca torinese.

Dopo il 1093 non si ha più alcuna memoria che riguardi it marchese Pietro 11: si crede ch'egli morissé a quel tempo, giacchè vediamo che la di lei genitrice si rimaritò allora col conte Burcardo di Tours, che venuto di Roma, e soffermatosi in Torino, fu da lei sposato, e preso a difensore dei suoi diritti. Ciò non pertanto la condizione di Agnese II era tuttavia molto difficile; perocchè, appena Corrado si allontanò dal Piemonte, i Torinesi più non volendo viver soggetti ad alcun Principe, si sollevarono, e la loro città fu posta a governo popolare; ma non era ancor giunta l'ora della sua indipendenza: il valoroso conte Burcardo venne a eapo di ridurre questa città alla sua soggezione, e per alcun tempo fece rispettare il suo nome nella marca torinese. Se non che sopravvisse ben poco a que' suoi prosperi successi; ed i Torinesi, appena saputa la morte di lui, sentirono riaccendersi nei loro petti quell'amore dell'indipendenza che in essi era nato da lunga pezza. Già dicemmo ch'eglino verso i fine del 1x secolo avean dato uno de' primi esempi di quello spirito risentito e voglioso di libertà, che veniva fermentando in tutta Italia: abbiamo pure riferito com'essi discacciarono allora da Torino il vescovo Amulo, che volea esercitare sopra di loro in maniera dispotica la temporal giurisdizione, e come tenendolo lontano dalla sua sede per lo spazio di tre anni, vollero essere governati popolarmente da capi di loro scelta. Fu poi anche notevole la commozione dei Torinesi nel 1050, allorchè il marchese Mapfredo 11 fe' imprigionare l'abate del monastero di Breme rifuggito in questa capitale, ed essi vollero levarglielo di mano: siffatta sollevazione fu per verità momentanea, ma non meno piena d'audacia e di quella intollerante inquietudine, che sta per iscoppiare in rivolta. Ogni pretesto oramai loro serviva d'impulso, perchè già da gran tempo erano impazienti del giogo, che ogni dì più si raggravava sopra di essi. Si è testè osservato il loro coraggio di mettersi a libero governo,

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