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Alberto, il quale si ricoverò in Testona. Questo Alberto, tanto avido di dominio temporale, era succeduto nel 1128 all'egregio vescovo Bosone, di cui è molto chiara la memoria nei fasti della chiesa torinese non tanto per l'apostolico suo zelo a' pro de' suoi diocesani, quanto per la dottrina ed il senno, di cui die belle prove in un sinodo provinciale, che fu celebrato da Olrico arcivescovo di Milano per dar termine ad un acerrimo litigio insorto fra Arderico vescovo di Lodi e Pietro vescovo di Tortona. Memorabile è pure un sinodo tenuto in Torino circa l'anno 1125 dallo stesso Bosone, il quale ordinò che fossero inviolabilmente osservate le leggi della tregua di Dio, a die Mercurii post solis occasum usque ad diem Lune, sole oriente: nei quali giorni dovevano cessare affatto le private e pubbliche vendette, le giudiziarie citazioni ai debitori ed agli offensori; il qual decreto sinodale riguardava particolarmente i sacerdoti, gli amministratori delle chiese, i monaci, le sacre vergini, i pellegrini che transitavano per le terre di questa diocesi.

Amedeo III, dopo aver frenata la cupidità del vescovo Alberto, ritornossene in Savoja, ma volle prima dar prova della sua pietà facendo nel 1151 una donazione all'abazia di şan Solutore. L'atto di questa donazione, in cui egli s'intitola : Comes taurinensis filius quondam Humberti, venne stipulato nella città di Torino nella casa di Gioanni Beldoro; e lo sottoscrissero come testimonii Anrico Visconte, Roberto conte di Castellamonte, Alberto ed Uberto giudici, Anselmo Vinatermo, Pietro De Revin, Gandolfo, Aimone Beraldo, Gioanni Badero, Pietro Bugino e Falcone. Un certo Amico fu il notajo, che rogò quest'atto, con cui il conte ricevette sotto il suo patrocinio i monaci di s. Solutore, confermò i doni fatti al loro monastero da' suoi predecessori in Giaveno, Col s. Gioanni, Coazze e Cunzano, rinunziando a tutte le usurpazioni, che alcun suo visconte, o gastaldo, o ministro avesse fatto nei sopraccennati luoghi, vietandole per l'avvenire, e stabilendo una ragguardevole multa da pagarsi da chiunque avesse osato contravvenire a tali sue disposizioni.

Or mentre Amedeo III, ritornato in Savoja, stava provvedendo ai bisogni di quello stato, accaddero gravi disastri alla città di Torino. Per la morte di Arrigo V, avvenuta

nell'anno 1125, veniva eletto a succedergli Lottario duca di Sassonia, che fu poi terzo di questo nome fra i re d'Italia, e si mostrò avverso al nostro conte Amedeo III. Correndo l'ottavo anno dopo la sua elezione, ei venne in Italia per esservi incoronato; ma venne sì mal provveduto di danari e di genti, che fuvvi piuttosto disprezzato, che bene accolto ed obbedito ; sicchè dovette ritornarsene in Germania: se non che per un nobile desiderio di riparare il disonore della sua prima ed inutile spedizione, e per accondiscendere al desiderio del sommo Pontefice e di s. Bernardo, i quali lo esortavano con caldi uffizii a scendere di nuovo in Italia contro l'antipapa e il re Ruggieri difensore di lui, il re Lottario s'indusse finalmente nell'anno 1156 a ripassare una se conda volta le alpi, e venne con seguito d'armati molto maggiore che non fece la prima. Menò seco un gran numero di principi e prelati. Di niun imperatore tedesco o francese non erano mai stati sì felici e si rapidi i progressi in Italia come furono quelli di Lottario in questa sua seconda spedizione. L'annalista Sassone presso Ecard rer. Germanic. tom. 1 narra che Lottario, dopo la presa di Pavia, venne col suo esercito a Vercelli, a Gamondio, ora Castellazzo, ed a Torino, i cui cittadini avendo, osato fargli una vigorosa resistenza, furono da lui fieramente maltrattati; e che non solamente uccise molti torinesi, ma ne distrusse le mura ed abbattè un castello, che chiamavasi Rokkepandolf (Rocca Padi, quae erat cis Padum contra Taurinum). Lo stesso scrittore narra, che dopo questi crudeli fatti Lottario passò nelle terre di Hamadan (Amedei), che molte ne distrusse; ed indi ritornando a Piacenza espugnò questa città.

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I guasti patiti in quell'epoca sciagurata dalla città di Torino, e da più terre de' suoi dintorni, ne spensero parecchie intieramente. Marcilagum era come come un sobborgo di questa capitale, poco lunge dal sito del mercato fuori delle sue mura. Infra civitatem Torino medietatem de mercato... sive foris muro istius civitatis in circuitu ibi prope curtem de Marcilago. Carta del 1034 antiq. ital. In una carta del 997 per i canonici di 8. Salvatore si rammemora loco dicto Vanchillia, nome ognor conservatosi ad un tenimento a greco di Torino, proprio forse altre volte di un villaggio, cui piacque ad Agostino della Chiesa derivare dai Vandali.

Non sembra che Lóttario, a malgrado dello sdegno con cui infieri contro i Torinesi, abbia tolto, o menomato le loro libere instituzioni; e forse volle rispettare l'autonomia, che essi già si erano acquistata e mantenuta sotto i precedenti imperatori, Chè Torino e tutte comunemente le città subalpine e lombarde guardavano il regno di Enrico IV come l'epoca della loro libertà acquistata; il che dichiararono esse medesime nei patti della famosa lega che poi fecero, come fra poco diremo, contro Federico 1. I popoli, infastiditi e stanchi del governo imperiale, avean colto troppo volentieri lo specioso pretesto, che le censure papali fulminate contro di Enrico porgevano loro di ritirarsi dall'obbedienza e scuotere così il giogo della tedesca dominazione. Dall'altro canto quelle città, che per qualche loro particolare riguardo non si accostarono al partito dei romani Pontefici, ottennero tuttavia per privilegio degli Imperatori ciò che le altre conseguirono col proprio coraggio. I successori di Arrigo IV, parte per non tirarsi maggiormente addosso lo sdegno terribile dei Pontefici, parte per sostenere qualche reliquia d'autorità in Italia, furono costretti non solamente a consentire che si mantenessero in libertà coloro, che se l'avevano di proprio movimento ottenuta, ma eziandio a concederla ad altre affinchè i popoli fedeli ed amici loro non fossero in peggior condizione che i ribelli e nemici; talchè quale per un modo, quale per un altro, tutte quasi generalmente le città del Piemonte e dell'Insubria si trovarono, verso la metà del secolo xii, in possesso di reggersi a comune da se medesime: ed è forse per ciò che la città di Torino fu lasciata libera da Lottario, il quale anzi di buon grado aderendo alle istanze dell'Imperatrice, trovandosi (1156) nel castello di santa Maria in vicinanza di Borgo s. Donnino, emanò un diploma, con cui non dubitò di confermare tutti quanti i privilegi che Arrigo V avea conceduto o confermato ai Torinesi; e volle eziandio che, conforme al loro antico diritto, godessero la medesima libertà che godevano gli altri italici municipii, salva per altro in ogni cosa la ragione dell'impero, o di quel conte a cui l'Imperatore avesse commesso di far le sue veci.

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Sembra eziandio che il conte di Savoja, quantunque cre

desse di aver diritti sopra Torino, non cercasse menomamente di-lederne le franchigie e l'autonomia; ed invero nel seguente anno 1137 essendo stalo pregato dal vescovo d'Asti di venire in suo ajuto, mentre gli Astesi lo avevano scacciato dalla loro città, Amedeo III, nella sua qualità di vicario imperiale, venne presto con buon nerbo di truppe a Torino, dove fu pacificamente accolto; e senza frapporre indugi, con le soldatesche condotte seco dalla Savoja e con una schiera di militi torinesi si avanzò ad Asti, e non ebbe che a mostrarsi colà con tutto l'apparecchio della guerra per conseguire che il vescovo ripigliasse il possesso della sua sede, e ne fosse rispettata l'autorità; e così ebbe la consolazione di ristabilir la pace in Asti, ove l'autorità si divideva tra il prelato ed i magistrati,

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Reduce a Torino, diede novelle prove di sua religiosa beneficenza alla badia di Rivalta; le confermò tutte le dona zioni ed i privilegi; dichiarossene protettore, e poi insieme con Matilde di Vienna sua consorte le crebbe notevolmente le entrate; e forse avrebbe ancor soggiornato per qualche tempo nella nostra capitale, e le avrebbe dato novelli segni di sua benevolenza se non fosse stato costretto a ripassare celeremente le alpi, perchè il suo cognato, Guigo IV, delfino di Vienna, gli dichiarò la guerra, ed entrato in Savoja, strinse Monmeliano d'assedio. Il nostro conte si trovò presto con un esercito bene agguerrito sotto le mura dell'assediata fortezza, ed ivi ingaggiò col nemico un fiero combattimento. La vittoria, vivamente disputata, si dichiarò finalmente in suo favore; ed il suo cognato, mortalmente ferito e trasportato nel castello di Bussière, ivi spirò. Seguinne la pace, ed i Savoini ringraziarono il cielo d'aver fatto trionfare la giusta causa del loro sovrano.

Frattanto i cristiani dell'oriente, tuttochè affievoliti e sconfitti , pure continuavano a disputare il conquisto della Palestina ai Saraceni, che ogni dì più si rendevano terribili sotto la condotta di Noradino, sultano d'Aleppo. S. Bernardo predicava una nuova crociata in favore dei fedeli della terra sanla; ed il conte Amedeo III, mosso dall'entusiasmo dominante di portare le armi in levante a difesa del regno di Gerusalemme fondato nel principio del secolo, e conservare

ai cristiani europei altri acquisti in quelle parti, prese la croce e si accinse al passaggio, lasciando al vescovo di Torino più libero campo d'estendere la sua temporale podestà. Nel disporsi a partire Amedeo implorando, secondo il costume, il favor celeste per quel viaggio, fece dono al monastero di Susa di alcune terre con certe giurisdizioni, che indirettamente servivano ancora a dar più rilievo al partito ecclesiastico, a cui teneva il torinese vescovo Alberto. Quest'atto spedito nello stesso monastero di Susa è meno importante per la sostanza del fatto e la particolarità del luogo in cui fu segnato, che per la qualità di molti personaggi che vi assistettero, e che vi si trovano sottoscritti, fra i quali il primo fu il sommno pontefice Eugenio III, che allora era in viaggio per andare a Parigi, e di là a presiedere al concilio convocato in Reims. Correva l'anno 1147 quando i Re, i Principi, i baroni europei con le loro schiere bene armate si avviavano per la grande impresa: partirono eziandio il nostro conte Amedeo III ed il re di Francia suo nipote, ed arrivarono essi nell'ottobre di quell'anno a Costantinopoli z ma la perfidia greca gettava nelle insidie de' Turchi i guerrieri della fede: il re di Francia abbandonò l'infelice impresa; ed il conte Amedeo III, caduto gravemente infermioz cessò di vivere l'anno seguente in Nicosia, capitale dell'isola di Cipro. Gli succedette il suo figliuolo Umberto III.

XXIV.

Spedizioni di Federico I in Italia

Come si comportano verso di lu i Toriuesi, il loro vescovo Carlo I, i monaci di s. Solutore ed il conte di Savoja. Come Federico si comporta verso i medesimi.

Corrado III, successore di Lottario al regno, venuto a morte nell'anno 1152, consigliò i principi di Germania, che a suc cedergli eleggessero Federico, chiamato poi Barbarossa dal colore della sua barba, figliuolo di Federico di Svevia suo fratello. La raccomandazione di un Re moribondo, che preferì il nipote giovane e vigoroso ad un figliuolo ancor te nero d'anni, ebbe appresso gli elettori gran peso, come dettata evidentemente dall'amore del comun bene. Oltre alle

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