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doti proprie di Federico, che erano grandi fuor di dubbio, benchè mescolate di vizi notabili, concorrevano ancora a promuoverne l'elezione altre ragioni di gran momento per sopire, o spegnere le intestine discordie, che già travagliavano la Germania, e che poi passarono a lacerar crudelmente l'Italia. Per queste considerazioni, in una numerosa é general dieta che si tenne in Francfort, non senza l'intervento di alcuni signori d'Italia, Federico, detto il Barbarossa, fu creato re. A questo tempo la libertà di Torino e di molte altre città italiche gittava profonde radici e vieppiù dilatavasi. Federico 1, appena salito al trono, formò il disegno di riacquistare l'Italia, la quale dopo la conquista di Ottone I avea riconquistata se medesima, ed erasi posta nella condi zione degli stati liberi. Egli scese le alpi trentine e venne in Italia con un esercito formidabile nel 1154, ascoltò l'accusa fatta dal marchese di Monferrato contro i Chieresi é gli Astigiani, non che quella fatta da' Pavesi contro gli uomini di Tortona, i quali si erano volti al partito dei Milanesi; vinse questi ultimi, e verso la primavera del seguente anno passò a Vercelli e venne a Torino; ma pago d'intimorire questa città, non le arrecò alcun danno considerabile : mosse prima a Chieri, poi ad Asti, e trovate queste due città vuote d'abitatori, le diede alle fiamme nel 1155; passò nel marchesato di Busca, si condusse quindi ad espugnar Tortona; fu incoronato in Pavia per vanità; nel di festivo di s. Pietro ricevette in Roma l'imperial corona, e ritornò finalmente in Germania.

Circa questo tempo il nostro conte Umberto III, benchè nato in Piemonte nel borgo d'Avigliana, facea più ordinariamente sua residenza in Savoja, e là ricevuto aveva l'educazione da Amedeo vescovo di Losanna, ch'egli stesso erasi eletto per istitutore. Sia per le insinuazioni di un tal maestro, sia per naturale indole, questo Principe fu molto più inclinato alla vita religiosa e solitaria, che agli affari ed alla vita mondana. Nondimeno quando le circostanze lo richiedevano non si mostrò trascurato o indolente; e seppe battere e respingere il delfino di Vienna Guigo VI, che voleva usurpargli una parte del suo stato. Umberto dopo quel trionfo erasi ritirato nel monastero di Altacomba, dove sen viveva

tranquillo all'epoca della prima spedizione in Italia dell'imperatore Federico 1. Si dirà in seguito quale sia stato il contegno di Umberto III verso il Barbarossa, il quale sul fin di maggio dell'anno 1158 venne di bel nuovo in Italia, costrinse i Bresciani ad arrendersegli, ed ivi poi accolse gli ottimati dell'italico regno, e fra gli altri i marchesi di Monferrato, di Saluzzo, Delcarretto, ed i Malaspina, i Biandrati, non che i consoli di Novara, Vercelli, Asti e delle altre città lombarde, ed i legati di Toscana e dell'Umbria, ai quali tutti manifestò la sua indegnazione contro dei Milanesi, e li animò a secondarlo nella guerra che volea fare ai medesimi. Strinse d'assedio Milano, che poi si arrese alle dure condizioni volute da lui; e quindi intimò la gran dieta di Roncaglia.

A ravvisare sostanzialmente la libertà degli italici municipii e la niuna autorità de' cesarei ministri sopra i medesimi prima di quella dieta del 1158, basta considerare la descrizione dello stato d'Italia lasciataci da Ottone Frisingense, che ne fu spettatore e adulò Federico 1. Egli ci fa sapere che le città d'Italia cotanto ambivano la libertà, e ne erano sì gelose, e così mostravansi intolleranti di qualunque soggezione, che avevano scosso ogni dipendenza ed autorità, tranne quella de' loro magistrati municipali; cosicchè l'Italia era tutta piena di città libere, ciascuna delle quali avea perfin costretto il proprio vescovo a soggiornare per entro le sue mura, perchè dianzi i vescovi a guisa degli altri nobili trattenevansi lungo tempo a tiranneggiare nei castelli; e non eravi più alcun nobile, comecchè potente, il quale non fosse sottomesso alle leggi ed al governo d'una di esse città, a riserva del marchese di Monferrato, il quale seppe mantenere la sua indipendenza: così il Frisingense.

Alla gran dieta di Roncaglia, intimata da Federico 1, intervennero fra i nostrii vescovi di Torino, d'Asti, Alba, Tortona, Novara, Vercelli ed Ivrea, insieme con tutti i grandi vassalli, ed i consoli delle città. Il vescovo di Torino, che era Carlo 1, procacciò di guadagnarsi la benevolenza dell'Imperatore, e gli rappresentò i molti diritti che godeva la chiesa torinese, e i diversi privilegi di cui già egli affermò essere stato spogliato. L'Imperatore cominciò a cogliere favorevolmente la domanda del vescovo Carlo, ed emanò po

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scia diplomi anche ingiusti a vantaggio di esso. Federico avea chiamato a quella dieta quattro insigni dottori di leggi dell'università di Bologna, che era sorta sin dal principio di quel secolo; que' dottori spiegarono i diritti imperiali secondo i codici giustinianei, e non sugli acquisti di libertà che si erano andati facendo. Dal che ben si vede come i legisti di quell'età non conoscessero il diritto di prescrizione e neppure il diritto imperscrittibile di qualunque nazione di non soggiacere ad un'altra. Fatto è che il Barbarossa non ebbe riguardo di togliere i diritti regali perfino a coloro, de' quali poco tempo innanzi egli medesimo aveali rinvestiti.

Nel 1159 l'Imperatore si appressò a Torino per conoscere le inclinazioni degli abitanti, e per riformarvi, com'egli disse, il governo ad onore di Dio, e dell'imperio: i monaci di s. Solutore andarono processionalmente ad incontrarlo e cantando inni lo accompagnarono nella loro chiesa, ove' gli fecero dono delle reliquie dei ss. Martiri torinesi, e del loro patriarca s. Benedetto. Il Barbarossa si mostrò pienamente soddisfatto del contegno di quei monaci, e del donativo delle sacre reliquie; e volle riceverli sotto il suo special patrocinio, confermando al loro monastero i privilegi ch'esso avea già ricevuto, e tutti gli acquisti che aveva già fatto. Dopo di aver ordinata la città di Torino come meglio gli piacque, il Barbarossa se ne dipartì, e con un diploma'. da lui emanato in Occimiano nel dì 26 gennajo di quell'anno 1159, confermò al vescovo di Torino Carlo 1 tutte le donazioni già fatte alla sua chiesa, accrebbe a dismisura i possedimenti e l'autorità di lui; e siccome è usanza dei despoti di disporre a loro talento delle ragioni altrui, così sprezzando i diritti e le giurisdizioni del conte di Savoja, del comune di Torino, ed anche i diritti delle chiese, e dei monasteri dell'ampia diocesi torinese, diede al vescovo Carlo I la temporal giurisdizione di questa città, de' borghi circonvicini, e de' villaggi alla distanza di dieci miglia all'intorno; nè a tutto ciò stando contento, volle anche che il Vescovo suo favorito avesse giurisdizione su Chieri, Giaveno, Carignano, Pancalieri, Campione, Pinerolo, Avigliana, Lanzo, Rivoli, Testona, Cercenasco, Settimo, Chivasso, non che su varic

altre castella, non volendo essere scarso nel donare l'altrui, chi non era uso a donare del proprio. Già dimostrammo superiormente l'ingiustizia del vescovo Cuniberto, che elevò l'ingiusta pretesa di esercitare la sua giurisdizione sovra i monaci della Chiusa, e sovra una parte dei loro possedimenti. Or bene il Barbarossa donò anche al suo favorito Carlo l'abadia di s. Michele. Dicevamo pure a luogo op¬ portuno, che al monastero di s. Giusto era stata conceduta la decima di val di Susa; ed il Barbarossa generoso a favore de' suoi cortigiani di quanto spettava ad altrui, diede pure a Carlo la decima di quella vallea. Abbiam pure già osservato che il comune di Torino avea ottenuto per concessione imperiale da Arrigo V la giurisdizione sulla strada che da Torino passando pel borgo di s. Ambrogio va a Susa a piè delle alpi col diritto di giudicare le differenze dei pellegrini e dei mercatanti che vi passassero; concessione di gran momento, perchè la giurisdizione sulle pubbliche strade era noverata fra i diritti regali; ed ora il Barbarossa tolse al comune di Torino un così rilevante privilegio, e non dubitò di darlo al vescovo Carlo; a tal che si vede che per favorire questo suo cortigiano pose in non cale i diritti che appartenevano ad altrui. Il P. Semeria parlando del vescovo Carlo I sembra che voglia encomiarlo, perch'egli donò alla prepositura di Vezzolano le chiese di s. Gioanni e di s. Giacomo, poste nel luogo di Lucerna, riservandosi per intiero la spiritual giurisdizione, e mediante l'annua rendita di sei monete di Susa. Noi pure lo loderemmo assai di buon grado, s'egli non tanto sollecito ad impinguar se medesimo, e ad accrescere la propria autorità con altrui pregiudizio, fosse stato generoso a provvedere ai bisogni del clero secolare di sua diocesi che sotto il suo pontificato era da lui negletto, mentre i monasteri posti nella torinese contrada soprabbondavano di dovizie; e ben volentieri lo encomieremmo se avesse posto mente a favoreggiare l'istruzione della torinese gioventù, a fondare stabilimenti di pubblica beneficenza, ed infine se non fosse stato cotanto svergognato a sollecitare l'imperatore, perchè lo arricchisse, com'ei diffatto lo arricchì smisuratamente, a danno di quelli ch'erano i legittimi possessori dei beni, e dei diritti a lui ingiustamente donati.

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Se non che il comune di Torino, credendosi più forte del vescovo, non sofferì di sottomettersegli come volle l'Imperatore, mentre diede a Carlo districtum civitatis Taurinensis el omnia quae vocata sunt publica, fiscalia, et comitalia, vel vicecomitalia, quae intus et extra civitatem continentur per circuitum milliariis decem. Ed invero nessuna particolar menzione fe cero del vescovo Carlo i Torinesi in una carta di concordia VIII kal decembris indict. IX ann. MCLXXVI, per la quale cives Taurinenses, et melchiones de Romaniano juraverunt sub hong fide juvare et salvare, et custodire unus alium, personas, el omnes suas justicias, et bonos usus contra omnes homines, excepto D. imperatore, et ejus missis, et exceptis aliis dominis, quos habent, et excepto comite de Sabaudia, et suis missis, et excepto comite Qberto de Blandrate de omnibus de Cherio etc.

Dal tenore di questo trattato si scorge chiaramente che i Torinesi poco si curarono delle eccessive condizioni fatte dall'Imperatore al loro vescovo Carlo, e non temettero essere da lui soperchiati; giacchè non vollero nemmeno ch'egli partecipasse all'anzidelta confederazione; si vede ch'eglino, sebbene si governassero a foggia di repubblica, tuttavia ebbero i dovuti riguardi all'Imperatore, al conte di Savoja, ed ai loro messi. Si scorge pure che il conte Umberto II, in onta delle usurpazioni del vescovo, conservò qualche parte di signoria nell'agro torinese; ed apparisce finalmente la perspicacia, e la sollecitudine dei reggitoridel comune di Torino per potersi conservare le franchigie e l'indipendenza; perocchè a questo impor→ tantissimo scopo si collegarono coi marchesi di Romagnano, torinese famiglia antichissima, sommamente ricca, e pos→ sente, la quale prese il nome da un vetustissimo castello presso Chieri, Uno de' primi marchesi de Romagnano su Manfredo, che nel 1111 sottoscrisse col marchese Ranieri di Monferrato, col conte Alberto di Biandrate, e col conte Guido del Canavese una donazione imperiale fatta il 25 di marzo alla città di Torino. Alcuni vogliono che questo marchese Manfredo de Romagnano fosse della discendenza dei marchesi di Torino. I suoi successori Manfredo II ed Olivieri sono rammentati in varie carte del 1153 e 1157: essi possedevano già sin d'allora vasti tenimenti nella contea di

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