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Torino; e possedettero quindi ampie terre nel novarese contado. Di molti personaggi illustri che questa inclita prosapia produsse, e della grande influenza ch'ella ebbe nei pubblici affari, e dei grandi feudi che acquistò in varie parti del Piemonte già parlammo nell'articolo Romagnano Vol. XVI. Furono adunque molto saggi ed accorti i Torinesi stipulando allora un trattato di concordia con questi marchesi, tanto più ch'essi avendo poi seguito la causa di Federico I, furono da lui sommamente favoreggiati.

H papa Adriano IV non potè a meno di adombrarsi del modo con cui il Barbarossa favorì il torinese vescovo Carlo, mentre nei solenni comizii del regno tenuti in Roncaglia; privò gli altri vescovi di tutte le regalie. Di questo fatto il Papa si lagnò grandemente coll'Imperatore, il quale a vicenda si lagnò di Adriano: essi irritaronsi con reciproche lettere, ma i prelati rimasero senza le regalie, perchè avean dovuto cederle in que' solenni comizii all'Imperatore. Se prestiamo fede a Radevico, tra le regalie cedute allora a Federico dai grandi vassalli e dai prelati, si hanno a noverare solamente le ducee, le marche, le contee, il consolato delle città, le monete, i telonii, il fodro, i tributi, i porti, il pedaggio, i molini, la pesca, l'utilità che ritraesi dal corso de' fiumi, e gli annui censi non solo delle terre e dei poderi, ma della capitolazione. È però da osservarsi che se i prelati cedettero allora a Federico le regalie, le città libere aspiravano a riunirle al loro dominio, come diritti dipendenti dal signore territoriale: sicehè quella cessione fatta dai vescovi e dai vassalli riuscì intollerabile agl'italici comuni, i quali se intorno a ciò si tacquero nella dieta di Roncaglia, si fu pel terrore che loro venne momentaneamente inspirato dalle armi cesaree. I medesimi comuni eran già in possesso della libertà civile da lungo tempo; ed i loro buoni usi, e le loro buone sollecitudini erano anche più antiche. Laonde godendo essi già da tanti anni una libertà civile senza opposizione dei Re d'Italia che precedettero Federico I, egli non avea diritto di sottomettere le città italiane come ribelli, ed esse ebbero poi ragione di protestare non essere stato l'ordinamento dell'Imperatore nella dieta di Roncaglia una sentenza ma una cesarea discussione.

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Del resto i varii giureconsulti lombardi, che dall'Imperatore furono chiamati ai solenni comizi di Roncaglia, luogo tra Piacenza e Cremona, e principalmente i quattro più distinti dottori di leggi, bolognesi, che furono un Bulgaro, un Martino, un Jacopo, ed un Ugone, sebbene non conoscessero nè il diritto di prescrizione, nè quello imperscrittibile di qualunque nazione di non soggiacere ad un'altra ciò non di meno per loro opera molte cose furono risolute in quell'assemblea per togliere gli abusi, e provvedere al ben pubblico, e stabilire la pace, e dar termine ad innumerevoli differenze, cagioni di nimistà irreconciliabili fra i popoli, di guerre crudeli tra molte città, di odii implacabili e risse mortali tra famiglie private, e d'infinite oppressioni d'infelici, onde da tutte le parti del regno erano state por'tate querele all'Imperatore. Oltrecchè per raffermare la concordia fu promulgata una legge che non fosse lecito ad alcuna città il pugnar con un'altra, nè ad alcun privato muovere ostilità ad un altro privato senza speciale comandamento, o permissione del Re; e se alcuna città contravvenisse a questa legge, pagasse cento marche d'oro; se un marchese cinquanta; se un conte quaranta; se un capitano venti; se altri costituiti in minor dignità, dieci, ed anche meno; e chi non avesse onde pagar questa multa, fosse per cinque anni esiliato cinquanta mila passi lungi dalla patria. Per la ragione de' feudi venne confermata la legge di Lottario già promulgata nel 1136.

Ma con tutte queste, ed altre siffatte leggi l'Imperatore non potè tenere i milanesi nell'obbedienza, ch'essi gli giurarono forzatamente. Egli, dopo quella gran dieta, passò a svernare nel Monferrato (1159). Le città italiane preparavansi a scuotere il nuovo giogo; e Federico maltrattando i popoli nuovamente assoggettati, distrusse poi ne! 1162 la città di Milano, e ne disperse gli abitanti; rovinò varie città della Lombardia, e giunse perfino a ristabilire in Roma l'autorità del senato; così che da universal terrore compresa l'Italia, tutti i popoli prestarongli per alcun tempo una forzata obbedienza; ma irritata vieppiù l'indegnazione degl'italiani, si formò una gran lega di quasi tutte le città di Lombardia, della Romagna e della nostra provincia.

25 Dizion Geogr. ec. Vol. XXII.

Già nel 1167 vedevasi ristaurata la città di Milano, quando Federico ritornò dalla Romagna in Lombardia, ma con le sue truppe molto assottigliate per le malattie che a cagione dell'aria cattiva del territorio romano afflissero l'esercito suo: nel partir da Pavia fu egli nel decimo giorno di novembre 1167 messo in fuga da' Milanesi, e le città deliberarono di scacciarlo da tutta Italia. La loro società molto si accrebbe nel dicembre di quell'anno; e vieppiù si aumentò nell'anno seguente, in cui Federico dovette passare in Germania. Nol fecero prima, perchè l'Imperatore svernò ora in Pavia, ora in Novara, ed ora nel Monferrato, in Vercelli ed in Asti. Costretto infine a sgombrar d'Italia, e ad irsene in Borgogna e in Alemagna a fornirsi di nuove genti e nuove armi, non potea Federico trovare altra via tranne quella della Savoja. Il marchese Guglielmo di Monferrato ottenne che il conte di Savoja lasciasse libero il passaggio all'Imperatore fuggitivo; questi non vi passò per altro senza gravissimo rischio di sua persona e de' giorni suoi. Ei giunse con quattro ostaggi de' più ragguardevoli a Susa, conducendo seco fra quegli statici un certo Branda nobile bresciano, contro il quale più che contro gli altri egli era fieramente sdegnato. Temendo che gli fuggisse di mano nel passaggio del Moncenisio, ed irritato ancora per la notizia venutagli che i confederati lombardi assediavano il forte luogo di Biandrate per trarne fuori quelli che vi aveva lasciati in guardia, barbaramente lo fece impiccare in Susa, per la qual cosa fortemente corrucciati gli abitanti, volevano vendicar l'ingiuria fatta alla loro città con quella barbarica esecuzione, e mostravano di temere, che se lasciavan condurre oltremonti quegli ostaggi, i confederati di Lombardia venissero contro Susa a farne vendetta. Cercarono per questo d'impedir l'Imperatore di menar seco gli statici, nè si astennero dal minacciarlo di ritenere lui stesso prigione, e fargli anche peggio, se non li rimandava liberi, o non li lasciava in guardia a loro medesimi in Susa. Ne temette da vero l'Imperator fuggitivo, e cercò prontamente qualche mezzo di scampar salvo. Egli aveva coi pochi uomini che lo accompagnavano un tedesco chiamato Hartmann di Siebenur, it quale molto a lui rassomigliava d'aspetto e di pelo, Ei lo

fece coricar nella camera e nel letto apparecchiato per esso medesimo, e vestitosi l'abito d'un servitore, trovò modo di uscir occultamente di Susa, e per sentieri poco frequentati passò il monte, e guadagnò la Savoja e la Borgogna.

In questo mezzo i Milanesi, liberi dalla soggezione, dagli affanni e dai travagli sofferti, contribuirono possentemente alla fondazione d'una nuova città, che i partigiani del papa Alessandro Il edificarono al confluente del Tanaro e della Bormida tra Asti e Tortona.

Mentre Federico 1 attendeva in Germania a fornirsi di nuove forze per tornare in Italia, i collegati lombardi con alla testa il marchese Obizzo Malaspina preparavansi dal canto loro per far difesa. Gli Alessandrini, che s'aspettavano d'essere i primi assaltati, mandarono ambasciatori al sommo Pontefice per domandare la più efficace protezione, ed impegnarlo a soccorrerli con le forze di cui poteva in qualche modo disporre, ed eran quelle di tutta la lega lombarda.

Affrettato dalle premure del marchese di Monferrato e de' Pavesi, ch'eran, del partito imperiale, scese Federico in Italia sul finir di settembre del 1174 per la via del monte Cenisio; si scagliò sopra di Susa, distrusse le deserte case, e si vendicò di quanto gli era accaduto in quella città nell'ultima sua fuga dall'Italia; venne quindi a Torino, ove dagli abitanti fu accolto assai bene, ed eziandio con festeggiamenti.

Alcuni storici non vollero vedere in cotesta rovina di Susa, tranne un accidente ordinario della guerra. Anzi il Guichenon non ci trova un gran male, purchè Federico si fosse contentato di distruggere gli uomini e le mura e non le scritture. Ma nemmeno evvi alcuna prova, che i conti di Savoja ritenessero in Susa i loro archivii. Altri scrittori accusano il conte Umberto d'aver mancato della fede data all'Imperatore: di ciò per altro non è punto tacciato dai coetanei. Di quanto avvenne a Federico nella sua fuga in Susa, ne sono incolpati apertamente i Segusini da Ottone di s. Biagio. Federico uccidendo l'ostaggio aveva barbaramente violato la fede de' trattati; laonde il conte, e i cittadini di Susa erano dispensati dal serbargliene alcuna. La promessa

ed

del conte ristringevasi alla sicurezza del tragitto, e non potea mancar nel resto agli amici; Federico abusò della promessa, e del territorio. Umberto III fu pure accusato di aver sacrificato la politica alla sua pietà, abbracciando il partito di papa Alessandro III contro l'Imperatore, donde poi nacquero la perdita di molte sue terre, le ribellioni di alcuni suoi vassalli, ed altri disordini; ma gli scrittori che di ciò gli muovono accuse, traveggono, turbano, immaginano i fatti, e discorrono a caso. Fu gloriosa al conte Umberto la lega con Alessandro H, che fu il pontefice più benemerito dell'umanità e dell'Italia, perchè disciolse la prima dalla schiavitù e con la pace di Venezia vendicò l'altra dalle violenze di Federico I. Da lunga pezza era quasi ereditaria l'inimicizia degl'Imperatori tedeschi contro i conti di Savoja. Dacchè Enrico IV, e Corrado suo figliuolo vollero occupare gli stati e l'eredità della contessa Adelaide, tostamente mossero guerra ai successori legittimi di lei. Arrigo V la ripigliò Lottario II nel 1136 invase molte terre, espugnò Torino. Or dianzi vedemmo come Federico I largheggiò, a danno del conțe Umberto, in favore del vescovo di Torino. Laonde erano già ben antiche e continue, e nate quasi ad un tempo con quelle de' Lombardi le cagioni di guerre tra gl'Imperatori tedeschi e i Principi sabaudi. Federico le accrebbe ed inasprì; onde Umberto III aderendo. ai Lombardi serviva alla sua politica, ed anche alla libertà d'Italia; nè altramente fu partigiano del Papa, se non perchè il Papa era capo della lega. Ciò non pertanto vedrem presto, che quando si trattò poi della pace tra' Lombardi e Federico, il conte Umberto per addolcir l'uno, e rassicurar gli altri, si accostò a Federico, intervenne all'accordo, e promise per l'Imperatore. Fu l'unica volta ch'egli gli comparve innanzi, e come amico; perciocchè è falso che fosse intervenuto all'assedio di Milano, come senza fondamento asserirono alcuni scrittori; ed è pur falso che nel 1158 avesse anch'egli inviato alla generale dieta di Roncaglia i suoi ministri, cioè i vescovi di Moriana, d'Ivrea e di Torino: il vescovo di Moriana nemmen comparve a quella dieta; il vescovo d'Ivrea non era nemmen suddito del conte di Savoja; e il vescovo di Torino sì bene vi andò, ma per suo

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