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i buoni usi, che una buona terra dee possedere e conservare, e che rinunziasse irrevocabilmente ad ogni diritto e ragione che egli od i suoi successori potessero avere in contrario. Per riguardo all'ottimo conte Umberto III è da dirsi, che poi dovette soggiacere ad altri gravissimi danni per causa de' suoi acerbi contrasti coi vescovi di Torino; perocchè l'imperatore Federico essendo partito per la crociata d'oriente, il di lui figliuolo Enrico VI avendo avuto l'incarico di reggere l'impero, entrò furioso in Piemonte, smantellò la rocca di Avigliana, manomise le terre di esso Umberto, maltrattò i Torinesi che si mostravano favorevoli al conte, e più non volevano obbedire al vescovo, fuorchè nelle cose spirituali; ed infine sollecitato dai ministri cesarei pose Umberto al bando dell'impero, cioè spogliollo di tutti gli stati ch'ei possedeva come dall'imperio dipendenti: ben poco tempo sopravvisse a questo gran colpo l'egregio Principe sabaudo, la cui bell'anima volossene al cielo addì 4 marzo del 1188; nel qual anno il predetto vescovo Milone, che era stato promosso alla sede arcivescovile di Milano, cessò definitivamente di reggere la diocesi di Torino. Questo Milone era nativo di Cardano, terra del milanese, ed era canonico ed arciprete nella basilica ambrosiana quando venne ad occupare la sede di Torino.

Per l'integrità dei costumi di Umberto III, e per la sua straordinaria pietà, egli fu riguardato in vita qual santo dagli stessi monaci che aveano la sorte di conoscerlo, e le sue preclare virtù gli meritarono appo i suoi sudditi, ed anche presso gli stranieri, un culto, che dopo sette secoli venne confermato nel 1858 dal sommo pontefice Gregorio XVI.

XXVI.

Ad Umberto III succede il suo figliuolo Tommaso I. — Arduino di
Valperga succede nella sede torinese al vescovo Milone. Alcuni
fatti di quel conte e di questo vescovo. Guerra civile in Torino,
per cui si rassoda la libertà torinese.

Fu detto, ed è vero, che la saggezza e l'abilità ben sovente giovano meglio ai sovrani, che le armi ed il coraggio. Un giovanetto di undici anni, qual era Tommaso 1 quando morì il suo genitore, sarebbe stato un'egida troppo debole

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per il Piemonte e per la Savoja contro i risentimenti del monarca di Germania e d'Italia tanto avverso ai sabaudi Principi, senza l'accorta e saggia politica di Bonifacio I marchese di Monferrato, tutore del figlio e successore di Umberto III. Ben differente da' suoi avi, che erano stati sovente in discordia coi conti di Savoja, Bonifacio si consacra col più grande zelo agli interessi del suo pupillo, che gli era cognato, ed alla felicità dei popoli a lui soggetti. Innanzi a tutto, questo monferrino Principe, che di fresco era venuto dall'oriente, ottenne coll'autorità sua dal re Enrico VI la rivocazione del bando imperiale, che aveva accelerato la morte di Umberto. Ora, siccome il giovine principe Tommaso, di cui prese la più amorevole cura, non trovavasi ancora in età da poter reggere di per sè gli stati suoi, ei lo tenne seco in val di Aosta, ove si fece nel 1191 un pieno accordo col vescovo Gualberto, che siedeva sulla cattedra della chiesa Aostana. Frattanto il marchese Bonifacio rappattumossi cogli Alessandrini, che gli devastavano le terre per vendicarsi dei danni, che ad essi erano stati arrecati dal marchese Guglielmo il Vecchio; il perchè Enrico VI, che era succeduto a Federico I, che morì in Armenia sommerso nel fiume Serra, concedeva in feudo (1193) la città di Alessandria allo stesso Bonifacio, il quale, per conciliarsi anche l'animo degli Astigiani, cedeva a loro il castello della Rocchetta. Gli altri suoi rilevanti affari in Europa e nell'Oriente non gli acconsentirono di stare per lungo tempo al fianco del giovine Tommaso 1; onde questo principe si trovò solo in Aosta a sedare i tumulti degli abitanti di quella città, che anch'essi volevano un più libero governo; sicchè egli, aderendo ai consigli di quel vescovo, loro concedette non poche franchigie.

Nell'anno 1194 si risvegliarono nell'animo del vescovo Arduino di Valperga le pretensioni sopra Torino e su altre giurisdizioni raccolse perciò quanti potè de' suoi partigiani, i quali armati sovrapresero i Torinesi; sicchè il vescovo impadronitosi della città già manometteva ogni cosa; ma indi a poco il comune potè adunare le sue agguerrite soldatesche, le quali appiccarono una fiera zuffa agli armati di Arduino, e si sparse nella città il cittadino sangue; ma l'esito del conflitto fu, che gli assoldati dal vescovo furono pienamente

sconfitti, ed egli, caduto prigioniero, ebbe a gran mercè di potersi ritirare co' suoi canonici in Testona. Ivi dovette rimanere non meno di due anni, nè ebbe la facoltà di ritornarsene alla sua sede, se non quando s'indusse a fare, con approvazione del legato imperiale, notevoli concessioni al comune di Torino. In virtù di un trattato del 1193 die Martis, qui est IV kal. Augusti indict. XI, in presenza di Tommaso legato dell'Imperatore, e coll'autorizzazione di esso Tommaso, concedette ai consoli di Torino, distinguendoli in consoli maggiori e minori, il governo militare di tutti i suoi castelli, e specialmente di Testona, Rivoli e Montosolo; diede facoltà al comune di farne pace e guerra a suo piacimento con qualunque persona e contro qualunque persona, sine omni contradictione ipsius episcopi, et aliorum episcoporum taurinensium, qui quandocumque aderunt. Esentò pure i Torinesi da ogni pedaggio nella terra di Montosolo. Per così rilevante concessione i Torinesi, affine di agevolar la pace coi signori di Piossasco, diedero lire 207 ad Aimone e Biglione della Rovere, affinchè rimettessero al vescovo la giurisdizione che avevano su Piobesi, e 150 lire a Merlo ed Ardizzone di Piossasco, affinchè rinunziassero ad ogni loro diritto sopra Testona. Si convenne che il vescovo potesse disporre del castello di Testona a favore dei Torinesi, e ne dispose diffatto、 a loro vantaggio, perchè gli anzidetti signori di Piossasco Merlo e Ardizzone, pochissimi giorni innanzi, cioè nel 21 di luglio, avevano ceduto a lui ogni diritto che loro appartenesse sopra quel castello medesimo, ed in cambio avevano ottenuto l'investitura del castello di Piobesi.

Aggiustate le differenze, e ritornato il vescovo all'ordinaria sua residenza, temevano i cittadini di Chieri, che, riunite le forze del vescovo e del comune di Torino, non avessero a soffrirne la peggio; perocchè tra i Chieresi ed i Torinesi non eravi mai sincera colleganza; ed anzi mantenevasi fra le due popolazioni una certa gelosia, o diffidenza.

fino

rece

XXVII.

I comuni di Testona e di Chieri muovono guerra al comune
ed al vescovo di Torino.

Ne sieguono due trattati di concordia.

Il popolo di Testona, che da lunga pezza reggevasi a comune, più non poteva comportare che il vescovo di Torino lo signoreggiasse, e tanto più cresceva in esso il desiderio di togliersi affatto dalla di lui temporale giurisdizione, in quanto che egli vi possedeva un castello, che dominava la terra e teneva in rispetto gli abitanti, i quali per ciò non volendo essere meno liberi di quel che lo fossero i Chieresi, si edificarono anch'essi un forte, cui diedero il nome di Castelletto.

I Chieresi ebbero anch'essi un grande eccitamento per venire in aperta rottura col vescovo, perchè egli avea concedutó ai Torinesi il possedimento dei castelli di Testona, Montosolo e Rivola con parecchi ragguardevoli privilegi; e tanto più ne crebbe l'indegnazione di Chieri, perchè credevano di aver ragione sul castello e sull'agro di Montosolo, situato ad ostro di Superga in sul confine dei due territori di Torino e di Chieri; oltrechè veniva quel comune così privato della giurisdizione, che già esercitava in Moncairasso e Pinnariano, villaggi dipendenti dal castello di Montosolo. Il malcontento e la gelosia se ne destarono ad un tempo in parecchi altri comuni, e segnatamente in quello d'Asti, che vedea di mal occhio la crescente prosperità de' Torinesi. Il comune di Chieri pertanto e gli Astesi rinnovarono l'alleanza nel dì 22 di luglio del 1194, e vennero stabilite fra loro l'intiera libertà di traffico sulle terre dei due collegati comuni, e l'assistenza reciproca in pace ed in guerra.

Nell'anno successivo il vescovo di Torino con atto del 14 d'aprile fece alcune concessioni ai Chieresi; ma queste non bastarono a calmare i loro animi concitati a sdegno ed allettati da maggiori speranze; cosicchè impugnarono essi le armi, ed entrarono nella guerra, che contro il comune ed il vescovo di Torino in allora si accese. Alle armi di Chieri e di Testona si uniroro quelle dei signori di Piossasco e dei signori di Cavorre. Con le truppe del vescovo e del comune

di Torino si congiunsero quelle dei conti di Biandrate, dei signori di Revigliasco e de' signori di Cavoretto.

Non si sa bene quali ajuti porgesse durante questa lotta il comune d'Asti a quello di Chieri, e quali ne siano state le vicende. Si sa per altro che numerose truppe raunarono le due contrarie fazioni, e grande incendio di guerra tra loro si accese, e che più volte si azzuffarono in modo accanito, tanto più che si accrebbero in difesa delle due repubbliche di Chieri e di Testona, se non gli ajuti, almeno gli eccitamenti ed i consigli del conte di Savoja. Non si può asserire con certezza per qual tempo siano durate le ostilità; ma è certo che, stanche finalmente le popolazioni dell'una e dell'altra parte del lungo spogliarsi e perseguitarsi, cominciavano bramare la pace, quando questa si potè conchiudere mercè della possente mediazione delle due repubbliche di Vercelli e d'Asti, e le condizioni se ne stipularono con infinito concorso dei popoli il 2 febbrajo 1200, ne' prati di Mairano, non lungi da Testona. Il deputato dei Vercellesi fu Airaldo Vicedomino, quello degli Astesi un Nicolò di Foro: questi, chiamati a parlamento nel suddetto luogo i principali rappresentanti di Torino, Chieri e Testona, insieme con Jacopo Viallardi podestà di Torino, Rolando Borgognino podestà di Chieri, Jacopo Pallio podestà di Testona, statuirono le condizioni della pace, di cui le principali furono:

1.o Che le parti si rimettessero reciprocamente danni ed offese.

2. Il vescovo Arduino, i suoi canonici ed i Torinesi rinunziassero nelle mani di Rolando Borgognino, podestà di Chieri, ogni ragione che avessero sopra la castellata di Mon-tosolo, cioè il territorio dipendente da quel castello, sul quale il vescovo non conservasse maggiori diritti di quelli che avea

conservato su Chieri.

5. Che il castellano di Montosolo dovesse giurare di difendere le persone ed i beni dei Chieresi, eziandio contro al vescovo e contro al comune di Torino, se l'uno o l'altro macchinasse cose contrarie all'onore ed alla libertà dei Chieresi.

4.o Che i Torinesi liberamente godessero tutte le buone consuetudini ed i privilegi che già godevano allorchè il ve

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