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scovo Milone entrò la prima volta nel castello vecchio di Testona; che il castellano da deputarsi alla guardia di quel castello fosse eletto di comune accordo de' borghigiani e del. vescovo, e che al vescovo fosse riservata la facoltà di richiamarsi di loro ai predetti podestà, affinchè si definisse per via di giustizia se il castelletto dai medesimi edificato dovesse o non dovesse distruggersi. Che il vescovo ponesse net castello di Testona un castellano gradito ai Testonesi, in caso di disaccordo vi si ponesse quello che venisse eletto dai podestà d'Asti e di Vercelli; e non potendo essi neppure trovarsi d'accordo nello scegliere il castellano, il vescovo scegliesse all'uopo un personaggio non discaro ai Testonesi ed: il più atto a conservar la concordia tra quel popolo e lui.

Che potessero i Testonesi stabilire una tassa al passo del castel vecchio di Testona; e in caso di controversia si dovesse stare al lodo dei podestà, o consoli sopraddetti.

Ad istanza de' Chieresi e degli uomini di Testona, amici ed alleati del conte di Savoja Tommaso 1, si obbligarono il· vescovo ed il comune di Torino a rendere ragione ad esso conte in regolare giudizio delle domande ch'ei proponeva contro di loro.

Di tutte poi le sopraccennate cose, come pure delle differenze dei signori di Piossasco col vescovo, si Yece a cia-. scuna delle parti la facoltà di chiedere la definizione per via di giudizio, nel caso che dalla presente concordia si trovassero gravati.

Poco tempo dopo, tra i comuni di Torino, di Chieri e di Testona, s'intavolò un nuovo trattato, che poi si conchiuse nel dì 4 di marzo del 1204. Se durevole, o per dir meglio, possibile stata ne fosse l'osservanza, col cessare delle inimicizie, e dei frequenti sanguinosi conflitti, ne sarebbero anche provenuti molti altri segnalati vantaggi ai tre anzidetti comuni, i quali in vigore di quel trattato dovevano essere governati da uno stesso podestà, o dai medesimi consoli, e godere indistintamente dei medesimi diritti municipali: Chieri e Testona avrebbero diviso fra loro la metà degli acquisti, ed eziandio delle spese che si sarebbero fatte: l'altra metà sarebbe stata de' Torinesi. Alcuni articoli erano diretti a benefizio del comune commercio,

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altri alla difesa ed alla conservazione delle loro libere instituzioni; ma Chieri e Testona erano per potenza e dignità troppo inferiori a Torino, e l'alterigia ed anche l'odio che a quei giorni getta va così profonde radici tra le varie fazioni, erano in pratica di grande ostacolo ai prosperi effetti dell'ideata fratellanza: per questa dovevano i Chieresi salvare e custodire tutto ciò che aveva e possedeva il vescovo di Torino in Chieri e nel suo territorio. Furono miti sul principio le esigenze di Jacopo Carisio succeduto ad Arduino nel vescovato; ma in breve tempo divennero, come presto vedremo, tanto urgenti e smisurate da dover credere che si sieno frapposte altre non piccole difficoltà all'esecuzione del trattato dal canto de' Torinesi.

Frattanto l'imperatore Arrigo VI mancava ai viventi nel 1197, e lasciava un figliuolo in età di quattro anni, ch'ebbe poscia la corona imperiale assumendo il nome di Federico II: i baroni di Germania, subito dopo la morte di Arrigo, elessero come abile a governare, Filippo zio di quel regale fanciullo; e gli surrogarono poscia Ottone duca di Sassonia. Moriva Filippo nel 1208 sotto il ferro di un assassino; ed Ottone IV appena ricevuto l'imperial diadema dal Papa, rompeva la convenzione che nel quinto lustro del secolo xn aveva fissata la pace dell'imperio colla chiesa; egli perciò era scomunicato, deposto, ed il figliuolo di Arrigo VI, cioè Federico 11, riceveva la corona imperiale.

XXVIII.

Fe

Ingiuste esigenze del vescovo di Torino Jacopo di Carisio.
derico II.
I Torinesi temendo gli accorgimenti e il valore del
conte Tommaso I, fanno un'alleanza coi vicini signori: si attengono
alla fazione imperiale sino al 1226, nel qual anuo si uniscono alla
lega Lombarda.

Giacomo di Carisio, ch'ebbe la sede vescovile di Torino nel 1206, non fu certamente de' migliori prelati che abbiano retto la chiesa torinese, chè la cupidità di temporal dominio troppo lo distrassero dalle cure indispensabili del sacro ministero. Imitando gli esempi de'suoi predecessori Carlo 1, Carlo II, ed Arduino di Valperga, subitamente oc

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cupossi dei diritti civili di sua sede, dei beni di sua caltedrale, e quindi obbligò i Chieresi a nuove convenzioni, le quali furono, che il vescovo riscuotesse le multe stabilite i misfatti d'omicidio, di furto, di spergiurio, di tradimento e per i duelli; che a lui pervenissero le successioni dei forestieri che morissero senza testamento, e senza lasciar parenti sino al quarto grado; che a lui fossero devolute le appellazioni di tutte le cause, col patto, che se l'importare della questione non eccedesse le lire dieci, dovesse definirsi in Chieri dal vescovo o dal suo delegato. Finalmente si ordinò che il vescovo fosse confermato nel possesso dei dazi e delle gabelle, che fino a quel dì riscuoteva. Questo trattato fu conchiuso in Torino addì 5 di maggio del 1210, e venne poi stipulato in Chieri il 16 dicembre dello stesso

anno.

Non tardarono molto gli uomini di Chieri a pentirsi delle concessioni fatte al vescovo in questa convenzione; e perciò spedirono Jacopo di Rohat loro podestà ad Ottone IV per ottenere un imperiale diploma, che loro ridonasse i privilegi per l'addietro goduti; e diffatto l'Imperatore fece pienamente pago il desiderio de' Chieresi, rimettendoli nell'uso di tutte le franchigie e di tutti i privilegi ch'essi già godevano nel 1209, cioè prima dell'ultimo accordo col vescovo di Torino. In questo modo il vescovo Giacomo I si trovò spogliato di ogni giurisdizione civile e criminale sopra lat città di Chieri. Il vescovo, che pur volea comandare in modo quasi assoluto sul comune di Chieri, ricorse poi sollecitamente a Federico II, il quale trovandosi nella città di Spira, pronunziò, addì 26 febbrajo 1219, che di nessun valore erano tutte le alienazioni fatte dalla chiesa di Torino del castello di Montosolo a favore del comune di Chieri, perchè la chiesa di Torino teneva dagl'Imperatori in feudo quel castello; e di più Federico concedette al vescovo Giacomo ogni ampia facoltà d'imporre multe per la difesa de' propri diritti; e finalmente lo costituì e lo dichiarò vicario dell'aula imperiale, e legato di tutta Italia.

Cinque anni dopo essendo venuti a Torino i reggitori di Chieri, Guidone di Gerbo, e Conrado Porro, a domandare l'assoluzione generale di tutte le pene, e de' debiti incorsi, 24 Dizion, Geogr. ec. Vol. XXII.

sia per la castellata di Montosolo, che per ogni altra obbli gazione sino allora contratta, il vescovo Carisio raunò i canonici di sua chiesa, e col consenso de' medesimi e coll'intervento di molti patrizii, concedette. l'implorata remissione, praeterquam de fidelitate, riserbandosi per altro i diritti di signoria sopra Montosolo e sulle adiacenze di esso luogo. Se, condo che avvisa un recente scrittore, il vescovo Jacopo per questa condonazione sarebbe stato costretto a far perpetua rinuncia d'ogni ragione che gliene fosse potuto derivare. Ma sembra certo che non così debbasi intendere la remissione che si contiene in quella carta; e diffatto l'immediato successore del vescovo Carisio dispose quindi come padrone del castello di Montosolo a favore di altri. Un frammento di siffatta carta può leggersi presso il Meiranesio, pag. 255.

Nell'anno 1210, l'imperatore Ottone IV venne dalla Lombardia a Torino: essendosi alcuni giorni soffermato in questa città, concedette molti privilegi alle chiese del Piemonte, e particolarmente a quella di Rivalta, Il vescovo Carisio in quest'occasione seppe così ben corteggiar quel monarca, che se ne procacciò la benevolenza; a tal che lo vediamo sottoscritto ad alcuni diplomi imperiali; e lo vediam anche intervenire con lo stesso Ottone ad un'alleanza che i Chieresi fecero con Gottifredo conte di Biandrate; e da Torino partendo I'Imperatore volle il vescovo accompagnarlo sino a Vercelli. Osserviam di passata, che durante l'episcopato di Giacomo I avvenne (1213) un notevole cambiamento nella chiesa cattedrale di Torino. Radunatisi i canonici, secondo l'antica consuetudine, nel dì 15 di gennajo, convennero di procedere alla divisione dei beni e delle rendite che avevano sin allora posseduto in comune; e fatta una proporzionata divisione, instituironsi le prebende, acciocchè ciascheduno godesse da sè, ed amministrasse l'assegnatagli porzione; al qual partimento concorse il vescovo, non solamente come prelato della chiesa, ma come uno del capitolo: non ceu praesul tantum, sed el canonicorum veluti alter adstitit.

Abbiamo veduto come il vescovo Jacopo di Carisio seppe destramente colle arti cortigianesche guadagnarsi l'animo di Ottone IV; e vedemmo pure ch'egli seppe usare degli stessi

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artifizii per entrare in grazia di Federico II sebben questi fosse emolo di Ottone.

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Della giovinezza di Federico Ruggiero, che poi fu detto Federico II, ebbe particolarissima cura Innocenzo III, pontefice di gran mente, atto ad intraprendere grandi cose, fermo nelle sue risoluzioni, e uomo per que' tempi letteratissimo, non che giureconsulto maraviglioso, amantissimo della giustizia e dell'onor della chiesa, benchè pei pregiudizii allora ricevuti e ràdicati altamente intorno alla giurisdizione ecclesiastica eccedesse forse troppo sovente nell'esercizio della sua podestà. Egli sperando che Federico fosse per riuscire un ottimo principe, favorevole alla causa della chiesa, lo favoreggiò per quanto potè: gli fece sposare la figliuola del Re d'Aragona chiamata Costanza; e poi quando ben vide che Ottone IV comportavasi iniquamente verso la santa Sede, si adoperò affinchè i comuni di Pavia, di Cremona, di Verona, ed i marchesi d'Este parteggiassero per lo stesso Federico. Fu questa la prima ed una delle rare occasioni, in cui la corte di Roma si dichiarasse del partito ghibellino. Quando poi le cose di Ottone, per una fiera sconfitta ch'egli ebbe nel 1214 da' francesi, furono ridotte in basso stato, quasi tutta la Germania riconobbe Federico come sovrano; e presto il papa Innocenzo Il si avvide che andavan fallite le sue speranze relativamente a a questo monarca.

Federico II fu principe che a grandi virtù unì grandi vizi. La sua politica, il valor militare, l'attività, l'accortezza, la severità negli ordini della giustizia, unite alla lunghezza del suo regno, potevano bastare a stabilire, ed accrescere qualunque imperio. Lodevolissimo fu il favore da lui conceduto ai buoni studii; egli si annunziò come il ristoratore delle lettere, il proteggitore delle scienze, e l'amico dei dotti. Quelli che nol riguardano come il fondatore della celebre università di Pavia, convengono almeno ch'ei l'arricchì, e l'aumentò considerevolmente; sicchè la studiosa gioventù subalpina potè profittarne sino alla fondazione dell'università di Torino. Con tutto ciò egli è vero che la smisurata ambizione e la licenza sua in fatto di femmine, ed il poco pensiero che si prese della religione gli si deb→

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