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bono imputare a gravi colpe. Nel resto egli troppo male si
seppe accomodare alle circostanze dei tempi; o forse le cir-
costanze del secolo in cui visse, non gli lasciarono acquistare
dalle reali sue virtù quella gloria che poteva sperare. E benchè
sia facile il dire che Federico II in molte cose malamente si go-
vernasse, non è però facile il determinare qual via dovesse tenere
a far meglio; talmente per tutta la Germania, l'Italia, la Grecia,
l'Asia e l'Egitto, dov'egli ebbe che fare, si trovarono intrec-
ciate le cose per le tante e sì svariate idee e pretensioni
de' popoli, de' principi, de' vescovi e dei sacerdoti. Espor-
remo i principali fatti di questo cesare dopo aver fatto un
cenno delle imprese del nostro conte Tommaso 1 cui
sarà sempre chiara la fama, non essendovi stato al suo
tempo alcun Principe d'Italia, che ne agguagliasse gli ac-
corgimenti, le virtù militari e politiche. Diffatto, allorchè
Filippo zio di Federico I governando l'impero, andava in
Isvizzera, vi si conduceva anch'egli a visitarlo, e ne otte-
neva la conferma di tutti gli stati suoi, non che i feudi di
Testona e di Chieri, sui quali i vescovi di Torino avevano
tante pretensioni. Dopo la morte di Filippo, egli recavasi a
visitare Ottone IV mentre questo Imperatore ritornava da
Roma, ed aveva da lui una così bella accoglienza, che gli
rimaneva quindi affezionato, e faceva a vantaggio di esso là
guerra contro i marchesi di Monferrato, di Saluzzo
e di
Busca, che parteggiavano per Federico II. A tal fine egli
unendosi alle truppe milanesi, e vercellesi, le ingrossava
con mille de' suoi cavalli, impadronivasi di Casale di s. Eva-
sio, la quale città veniva dai vincitori adeguata al suolo col
bando all'uso di quei tempi, che non potesse mai più rial-
zarsi. Dopo ciò il conte Tommaso I muoveva rapidamente
contro il marchesato di Saluzzo, ed obbligava la vedova
marchesana tutrice di Manfredo III ad accettare pronta-
tamente i patti da lui proposti; e lo stesso faceva col mar-
chese di Busca. Veniva quindi a Pinerolo, e gli abitanti di
questa città, che gliene aprirono le porte, non solo erano
assicurati del suo patrocinio, ma ne ottenevano un tale statuto
che aveva per iscopo la conservaziene della loro libertà.
Mercè di onorevoli condizioni ridusse poi alla sua obbe-
dienza la grossa terra di Carignano; e se gli sottomise pure

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Vigone, mediante cambii fatti coll'abate di Pinerolo; e tanto Vigone, quanto Carignano furono da lui muniti di buone fortificazioni. I Romagnani, ed i Provana, che signoreggia vano il primo di questi paesi si riconobbero anche dipendenti dal conte di Savoja. Dagli annali genovesi del Caffaro impariamo che le città di Savona, di Albenga, ed altre terre della riviera di ponente si tolsero dalla soggezione di Genova, e si sottomisero al conte Tommaso 1, cui giurarono la fedeltà. Si narra pure da qualche storico che i Marsigliesi irritarono l'Imperatore al segno, che si vedevano chiusa ogni via di poterne temperare lo sdegno, e che da esso proscritti, e dannati al bando imperiale, più non sapevano a qual partito appigliarsi, quando loro venne in pensiero di darsi spontaneamente al conte Tommaso 1; locchè fecero inviandogli il loro podestà con alcuni gentiluomini, i quali ebbero la promessa dal conte di intromettersi, e sopire le loro differenze, sostenendo le loro ragioni, ove occorresse, davanti all'Imperatore, Ne fu rogato un solenne atto addì 8 novembre 1226, e per malleveria giurarono Enrico marchese del Carretto, ed Amedeo primogenito di Tommaso i patti furono che il conte, come vicario generale del sacro romano impero, concederebbe alla città di Marsiglia il diritto di coniar monete d'oro, d'argento, e di corame, senza però detrarre al diritto del conte di Provenza ; le darebbe la costa del Maro da Acquamorta sino al porto di Olivello, e le vicine isole con facoltà di edificarvi castelli, fortezze, ed altri edifizii; la farebbe immune da ogni sorta d'imposizioni e diritti, onde godrebbe le stesse franchigie, che godessero i Pisani e i Genovesi per tutto il regno della Sicilia, della Siria, e per le provincie della Puglia e della marca d'Ancona, con privilegio di potervi stabilir consoli aventi podestà di decidere le loro differenze, e finalmente il conte si adoprerebbe a far sì che l'Imperatore: non solo liberasse dal bando Marsiglia, ma la prendesse sotto il suo patrocinio. D'altra parte la città di Marsiglia promise al conte due mila marche d'argento; e fu ogni cosa mandata ad effetto, se non erra lo storico di Marsiglia, il quale afferma che dopo l'anzidetto trattato quella città riebbe la grazia di Federico.

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Checchè di ciò sia, egli è certo che al grido delle vittorie di Tommaso I, e degli acquisti da lui fatti nella riviera ligustica, il comune di Torino paventò di perdere la sua indipendenza, e per conservarla cercò l'ajuto del marchese di Saluzzo Manfredo III, che nel 1222 venne a convegno in Testona col vescovo e col podestà di Torino, che erano accompagnati dai più distinti personaggi di questa capitale. Ivi dunque si strinse un'alleanza contro il valoroso principe di Savoja, il quale, avutone contezza, occupò tosto a Manfredo III il borgo di s. Dalmazzo, e i luoghi di Vignolo e Bernezzo; sicchè il marchese temendo di essere spogliato di altre terre, affrettossi ad inviar deputnti per chiedergli la pace; la quale, indi a poco, si stabilì, secondo l'usanza di quei tempi, in un prato detto il Ronco non lunge da Carmagnola: Manfredo staccossi allora dai Torinesi, rinnovò l'antico omaggio al conte Tommaso, il quale per affezionarselo, gli diede in moglie la principessa Beatrice, figliuola del suo primogenito, che poi regnò col nome di Amedeo IV.

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Tratti dalla fama delle guerresche imprese di Tommaso I, gli Astigiani, ed i Genovesi, che facevano ostili movimenti contro Alessandria e Vercelli, lo richiesero dell'ajuto suo. Andò egli in Asti nel 1225, ed iví promise ai deputati di questa città, ed agli ambasciatori di Genova un soccorso di 180 cavalieri, armati di lancie, coperti essi ed i loro cavalli di ferro, e provveduti ciascuno di tre cavalli almeno coi loro soldati servienti: il che tutto poteva equivalere ad un corpo di cinquecento quaranta guerrieri. Le popolazioni dei comuni a quei tempi erano divenute scarse, ed abitavano in basse case, interrotte da terreni coltivati ad orti; il perchè un novero non grande di prodi cavalieri avvezzi a dure prove di guerra, rinchiusi in una ferrea veste, seduti su grossi destrieri, dei quali conservavano la forza sino al momento, in cui gettavansi come pesanti torri sulla mal or→ dinata moltitudine pedestre, la spaventavano e in poco d'ora pienamente la sconfiggevano; onde non è meraviglia se al solo comparire di quei valorosi, le affollate turbe dei loro nemici eran tosto colpite da un terrore, foriero d'inevitabile disfatta. Le singolari prodezze, e le stupende fazioni

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di siffatta cavalleria venivan cantate dai poeti, erano riferite nelle leggende di quel tempo, e se ne alzava il grido nelle città e nelle campagne.

Intanto Federico II veniva coronato Imperatore in Roma da Onorio III succeduto nel pontificato ad Innocenzo III. Nel di lui ritorno da Roma, sentendo che il nostro conte Tommaso I col senno e col valore iva racquistando gli aviti dominii, giudicò di doverlo trarre al suo partito (1226), e nominollo perciò suo vicario imperiale in Italia, e nella marca Trevigiana. La qualità di vicario imperiale, nell'assenza di Cesare, lo agguagliava quasi all'autorità di esso, faceva sì che gli italici stati gli fossero dipendenti. Federico inoltre gli assoggettò in ispecial modo Savona ed Albenga, al cui governo ei pose il suo figliuolo Amedeo; ed è forse allora che il nostro conte fece quel trattato con Marsiglia, che è riferito dagli storici di quella città, e di cui abbiam fatto menzione qui sopra.

Per qualche tempo pare che se la passassero in buona armonia Federico II ed Onorio III che lo coronò Imperatore. Lo scoglio principale, dove si venne a rompere la concordia tra Federico e quel Papa, nacque dalle cose d'oriente, scandalo e rovina di tutta la cristianità per questi secoli di pietà male ordinata. Se per tante prove che abbiamo dalle storie, e dagli altri libri del secolo x che ci sono rimasti, non fosse manifesto che i Papi desideravano sinceramente la liberazione della Palestina dal dominio degl'infedeli, si potrebbe sospettare che Onorio III sollecitasse così vivamente l'Imperatore alla guerra di Terra santa per distrarne in altre parti le forze, e allontanarlo dalla Romagna. Ma Federico dal canto suo, checchè stimasse dell'intenzione di Onorio su questo affare, ebbe sempre l'animo alienissimo da quelle pietose guerre; ed ingannando con replicati e falsi giuramenti per molti anni il Papa, differiva il suo passaggio in levante, benchè non trascurasse l'occasione che gli si presentò di procacciarsi titoli e ragioni di signoria per quelle parti. Perciocchè, rimasto vedovo di Costanza d'Aragona, sposò (1225) a sollecitazione dello stesso Onorio, Jolanda figliuola di Gioanni di Brenna re di Gerusalemme; e non si fu appena effettuato il matrimonio, ch'egli obbligò per

forza il suocero a cedergli il governo del regno, e fecesi dai vassalli giurar fedeltà.

Frattanto le cure principali di Federico erano volte al dominio d'Italia, e specialmente della Lombardia. Da Roma era passato in Puglia, ed eravi stato ricevuto ed obbedito. senza eccezione; ma in Lombardia era egli troppo lontano da quell'assoluta autorità e signoria che fortemente ambiva.

Passati erano già parecchi anni dalla sua coronazione in Germania, e dalla morte di Ottone IV, ed egli non aveva ancor potuto nè indurre con persuasioni, nè sforzar con minacce i Milanesi a dargli la corona di ferro, e chiamarlo Re d'Italia. Le altre città per la più parte gli erano anche contrarie; perchè conoscendo dall'esempio de' Siciliani, e Pugliesi le maniere dispotiche, e il fiero governo di lui, temevano di dover essere nella stessa guisa trattati, per, poco che gli si lasciasse metter mano nelle cose loro. Non di meno tenean per lui Modena, Reggio, Asti, Pavia, Parma e Cremona, per le particolari loro gare e discordie con altre repubbliche, ed eran anche del suo partito il conte di Savoja e il marchese di Monferrato. Crescendo frattanto il timore della sua venuta cominciossi a trattare di rinnovar la lega formata molti anni addietro contro l'avolo di lui Federico 1. Scrivono alcuni, che Onorio III fu autore e promotore di questa lega; e certo è che il Pontefice, sebbene avesse incoronato l'Imperatore, e fossero passati tra loro mutui uffizii d'amistà, non tardò guari a cercar modi di attraversarlo; e diede facile rifugio appresso di sè a molti de'baroni pugliesi travagliati da Federico. Comecchè sia egli è noto che non solo per l'avanzamento della libertà italiana, ma altresì per loro difesa i comuni per molto spazio di tempo, dopo la pace di Gostanza, tennero in piedi la società lombarda, e più volte la rinnovarono, massimamente nell'anno 1226, in cui gli ambasciadori delle città collegate si riunirono nella chiesa di s. Zenone nella terra di Mosio, appartenente al territorio mantovano, per rinnovare la lega,. e concertare i più efficaci mezzi di difesa contro Federico II, il quale avvezzo a riguardare il trattato di Costanza per un torto che il suo avolo avesse fatto a se medesimo, e all'impero, minacciava a tutta Italia la servitù.

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