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Il Sigonio riportò l'atto, con cui si rinnovò nella mantovana terra di Mosio la confederazione delle città lombarde, ed afferma che ad esse volle aggiungersi la città di Torino: lo stesso atto di confederazione fu parimente sottoscritto da Bonifacio marchese di Monferrato, dai conti di Biandrate, e da parecchi altri signori. Qui si debbe osservare, che quando Federico II cominciò essere in disgrazia del Papa, tutta l'antica parte di Ottone IV, e quelle città, che per le ricevute offese, odiavano la casa di Svevia, unironsi coi romani Pontefici, e quindi sotto il nome di guelfi intendevasi il partito della chiesa, e chiamavansi ghibellini quelli che parteggiavano per l'imperio, benchè ciò non sempre accadesse, mentre a seconda degli eventi e delle opportunità gli stessi Papi furono quando guelfi quando ghibellini.

Le città, che per mezzo de' loro respettivi rettori sottoscrissero quel trattato della lega, furono dunque Milano, Bologna, Brescia, Mantova, Vercelli, Alessandria, Vicenza, Faenza, Padova, Trevigi, e la nostra Torino. L'istrumento di questa confederazione lasciava facoltà alle altre repubbliche e a' principi di Lombardia di accostarvisi, sotto le stesse condizioni a cui eransi obbligate le prime ; epperò vi entrarono poco dopo le città di Crema e di Ferrara, e come s'è detto anche i Biandrati, ed i principi monferrini; e nessuno di que' comuni e di que' signori si credette per questo di violare la fedeltà dovuta all'Imperatore, da che per concessione di Federico I, confermata poi da Ottone IV e dallo stesso Federico II, era libero a ciascuno de' sopraccennati principi e popoli di fare somiglianti leghe per comune difesa e sicurezza. Asti, Pavia, Parma, Cremona, Modena, Reggio, ed alcuni principi, tra i quali Tommaso I di Savoja, perseverarono nell'amicizia e nella divozione dell'Imperatore, il quale affrettossi allora a venire dalla Puglia in Lombardia. Gli si fecero incontro i Modenesi, i Reggiani, i Parmigiani, i Cremonesi, gli Astigiani, ed i Pavesi: egli da Cremona recossi a Borgo s. Donnino, e come ci vien riferito dal monaco Gottofredo, e da Ricardo s. Germano, diede ordine ad uno de'varii vescovi che erano con lui, cioè a quello di Ildesseim, di scomunicare Torino, Vercelli, Novara, Milano, Verona, Piacenza e la altre città che se gli mostra

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vano avverse; ma la sentenza di tale scomunica fu poi rivocata da papa Onorio: Federico nel borgo s. Donnino alla presenza di varii prelati e di principi alemanni, e di magnati del suo regno pose al bando dell'imperio le città di Torino, Novara, Milano, e tutte le altre città della lega; e dichiarandole ree di lesa maestà, ne annullò tutti i privilegi: esse per altro non temendo gli sdegnosi decreti che l'Imperatore emanò a loro danno, continuarono a godere de' proprii diritti, e si prepararono a combattere vigorosamente. Federico vedendo che co' suoi pochi alleatie le sule forze che gli restavano allora in Italia, non poteva far cosa che gli giovasse, prese il partito di tornarsene in Puglia, e cercò di rimettersi nella grazia del pontefice Onorio, facendogli intendere di voler far pace con esso lui, e coi Lombardi, ed anzi di volerlo eleggere per arbitro delle sue differenze con le città confederate. Le lettere scritte in quest'occasione da Federico II e da Onorio HI sono riferite dal Rinaldi.

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Il compromesso fu risoluto; e tanto le città della lega, quanto l'Imperatore mandarono a Roma i loro ambasciatori per questo fatto. Onorio dettò le condizioni della pace, per cui s'obbligava l'Imperatore a perdonare ogni offesa, e rendere la sua grazia ai collegati contro di lui, come appunto egli fece con un suo diploma che tuttavia si conserva; ed: obbligavansi d'altro canto le città lombarde a fornirlo di un certo numero d'armati per l'impresa di Terra santa, e a provvederlo anche di danari al grand'uopo. Sopravisse poche settimane a quest'opera Onorio III, e Gregorio IX, che gli succedette nell'anno 1227, mostrò di volerla compire et raffermare, ma per qualche si fosse o malizia d'uomini, od ordine di superior destino gli riuscì appunto di fare il contrario.

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Nel 1228 nelle italiche città più viva destossi la mania delle fazioni guelfe e ghibelline. I rettori della Lombardia ordinarono agli Alessandrini di trattar gli Astigiani da nemici, ed agli uomini di Bologna di assalire i Modenesi. Il marchese Bonifacio di Monferrato ch'era in lega cogli Astigiani e coi Genovesi, fece guerra agli Alessandrini e al popolo d'Alba, e per altre contravvenzioni al trattato della

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lega lombarda, quel marchese fu citato in Milano a scolparsi;
ed ei non essendovi comparso, venne condannato all'esilio
e nella confisca de' suoi beni.

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Nello stesso anno i comuni di Torino, di Testona, e di Pinerolo strinsero un'alleanza con Andrea delfino di Vienna, il quale di qua del Monginevro signoreggiava le usurpate valli d'Oulx e della Perosa, ed aveva perciò interesse e comodità di soccorrere quei comuni contro il vicario imperiale Tommaso 1, alleato de' Genovesi, de' Chieresi e degli Astigiani. I Pinerolesi eransi levati dall'obbedienza del conte Tommaso I sommossi dall'abate, ed anche sospinti dall'universale amore d'indipendenza: eglino per segno di più stretta amicizia e fratellanza coi Torinesi erano governati da un medesimo podestà; onde accomunavansi i privilegi di cittadinanza, e si confondevano in un solo interesse. Condottosi adunque Ruffino Vasco d'Alessandria podestà di Torino e di Pinerolo alla Perosa, vi stipulò un trattato addì 13 luglio 1228, in virtù del quale i comuni di Torino, Pinerolo, Testona si unirono col Delfino viennese contro il conte Tommaso I, alleato de' comuni di Genova, Asti e Chieri. Siccome quel trattato produsse acerbi frutti, e fu causa per cui venne distrutta dalle fondamenta una tra le più belle, popolose e ricche città che sorgessero a quel tempo nella subalpina contrada, così crediamo opportuno di riferirne i patti: si stabilì che sarebbe fratellanza lega ed amicizia perpetua tra quei comuni, a cui erano uniti Piossasco, Bagnolo e Barge, ed il delfino di Vienna Andrea Guigo VI, il quale avrebbe la cittadinanza non solo di Torino, ma eziandio di Pinerolo e di Testona, e dovesse comprare prima del 25 dicembre di quell'anno una casa Torino del valore di cento marche d'argento, che da lui non mai si potesse nè alienare, nè dare in feudo; si stabilì inoltre che non s'imponessero nuovi pedaggi; il Delfino proteggesse in tutte le terre del suo dominio le persone ed i beni degli uomini di Torino, Pinarolo, Testona, Piossasco, Bagnolo e Barge; facesse guerra à fuoco e sangue al conte di Savoja e agli altri nemici dei Torinesi, a piacimento dei predetti comuni, e del vescovo di Torino e dell'abate di Pinerolo. E siccome lo scopo principale di questa lega

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fu quello di costringere i negozianti di Genova, Asti e Chieri, che esercitavano molti traffichi oltremonti, a passare. colle loro merci per le vie di Testona, Torino, Pinarolo e pel Delfinato, e non per la Savoja, come da loro solevasi praticare, così uno dei patti fu che gli ufficiali del delfino Guigo VI negassero il passaggio ai Genovesi, agli Astigiani, ai Chieresi, ed agli altri nemici dei Torinesi, i quali non facessero il loro cammino per Testona, Torino e Pinerolo; e che la rimanente strada per oltramonti si facesse pel paese del Delfino, finchè si fosse ben riattata la strada di val di Susa; sicchè i mercatanti ed i viaggiatori dovean re-. carsi per la valle di Perosa, e pel collo di Sestrières al Monginevro. Il Delfino si obbligò a spedire a proprie spese al servizio de' Torinesi due volte all'anno venti cavalieri e mille fanti, o cinquanta cavalieri o cavalli armati secondo che meglio ai Torinesi piacesse, e di lasciarli ogni volta al servizio di questi per lo spazio di un mese. Dicemmo qui, sopra che trenta cavalieri bene armati coi loro servienti si calcolavano per mille fanti.

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Le altre condizioni del trattato furono le seguenti; il Delfino non potesse far lega nè amicizia col conte di Savoja nè col conte di Provenza genero di esso, nè con altri in Lombardia, senza l'assentimento dei comuni con lui collegati, nè potesse contrar matrimonio o parentado colle famiglie dei due predetti conti; riceverebbe nella lega, se così piacesse al comune di Torino, i Vercellesi, gli Alessan drini, i Milanesi, ed altri della lega lombarda: salva fosse l'amicizia che il delfino Andrea avea col marchese di Monferrato, ma solo durante la vita del presente marchese per la difesa de' dominii allora posseduti; e salve fossero altresì le confederazioni dei comuni con Vercelli, Alessan dria, Milano, e con altri popoli delle leghe di Lombardia della Marca e della Romagna. I lucri che si facessero in qualche impresa comune, si dividessero in modo che i due terzi ne appartenessero agli esecutori dell'impresa, ed un terzo agli ajutatori della medesima. Le stesse cose promisero Torino, Testona, e Pinarolo al Delfino, in nome eziandio. degli altri comuni: Testona per altro eccettuò i signori di, Bra, di Sommariva, di Perno e di Montaldo, e si riservò la

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facoltà di difendere gli Astigiani per tutto il proprio territorio. Questa lega fu stipulata con giuramento, il quale dovea rinnovarsi ogni cinque anni dal Delfino, da' suoi baroni, da' suoi castellani, ed anche da' suoi mistrali, che erano i ricevitori delle rendite demaniali. I comuni si obbligarono a farla registrare nel libro degli statuti, e a farla giurare dai podestà, e dagli altri pubblici uffiziali.

A malgrado delle sue giurate promesse, il delfino Andrea Guigo VI nè comprò una casa in Torino, nè spedì mai alcun suo milite a sostenere la causa de' suoi collegati; non già perchè le condizioni delle milizie feudali di Guigo fos-> sero causa della loro lentezza, come opina qualche scrittore, o per la loro lontananza da Torino; giacchè lo stato del Delfino al di qua de' monti non era così distante dalla nostra capitale, che le truppe di lui, e massime quelle a cavallo non potessero qua giungere nel breve spazio di giorno. Il vero è che quel principe, naturalmente nemico all'augusta casa di Savoja, fu ben contento che si ordisse una lega, che da un lato favoriva il commercio del suo paese, e dall'altro mirava a nuocere agl'interessi del conte Tommaso 1; ma che avea già risoluto di nulla eseguire a vantaggio dei comuni coi quali si collegò.

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Acerbissimi frutti produsse quel trattato ai Testonesi, perocchè gli Astigiani, gli abitanti di Chieri, e i loro collegati, di cui era capo il conte di Savoja Tommaso 1, incolleriti per quella risoluzione dell'avversa lega che voleva disturbare il loro commercio, sorgente di lucro più sicuro e perenne, che non quella de' tributi e delle prede di guerra, corsero tutti armati contro Testona per vendicarsene; e siccome il desiderio della vendetta suole agevolare le imprese più ardue, e talvolta rende fortunata la stessa temerità, così in poco tempo s'impadronirono di quell'antica, popolosa e forte città, la posero a sacco, e così furiosamente l'agguagliarono al suolo, che non rialzossi mai più dalle sue rovine in questa occasione terribile i Chieresi disonorando la vittoria coi più neri eccessi, erano trascorsi all'empietà di spogliare le chiese dei sacri vasi, e delle loro suppellettili, e ne venivano perciò scomunicati da Benedetto prevosto della collegiata di s. Donato di Pinarolo, il quale

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