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I marchesi di Monferrato, del Bosco e del Carretto già si erano pacificati colle repubbliche di Milano e Piacenza, e specialmente con Genova a cui poco prima avean fatto aspra guerra con l'ajuto d'altre città ghibelline. A sollecitazione del monferrino marchese anche Vercelli, e poco appresso Novara, abbandonarono la parte imperiale e si unirono con la chiesa. Ma l'astuto Imperatore, per non vedersi come eretico, abbandonato da' collegati, andava d'ora in ora rimettendo in campo trattati di pace, e deputò a Roma persone che a nome di lui ne stipulassero le condizioni ; se non che l'accordo, che già pareva del tutto conchiuso, si sciolse come tutti i precedenti, in parole ed in vicendevoli querele d'ambe le parti. Il Papa, non si tenendo abbastanza sicuro in Roma, sopra una flotta che avea per mezzo de' suoi parenti genovesi fatta segretamente allestire, se ne venne a Genova. Nè quivi ancora stando sicuro, per le nostre alpi s'avviò in Francia, scorto ed ajutato nella sua fuga da' marchesi del Carretto e di Monferrato, mentre che l'Imperatore facea diligentemente guardare ogni passo dalle sue genti. Passando in Piemonte, procacciò di tirare dalla sua parte il conte di Savoja, nel tempo stesso che le città d'Asti e di Alessandria rientrarono nella lega di Lombardia, in difesa della chiesa, e contro l'Imperatore.

Frattanto, per la morte del vescovo Ugone di Cagnola, la chiesa torinese era vacante già da diciotto mesi, forse perchè i canonici della cattedrale di Torino, a cui per antica consuetudine apparteneva la nomina del vescovo, non aveano potuto andar d'accordo nel nominare un successore ad Ugone. I canonici convennero finalmente nell'elezione di un ecclesiastico, che loro parve degno di salire sulla cattedra di s. Massimo; ma la scelta di un tal personaggio, che probabilmente aderiva al partito imperiale, così dispiacque ad Innocenzo IV, che mandò a Torino in qualità di suo legato un Gregorio di Monte-Lungo, romano, protonotario apostolico, ed uno de' più solleciti agitatori ai danni di Federico. Questo legato pontificio, non facendo alcun caso della nomina già fatta dal capitolo e dal clero torinese, elesse a nuovo vescovo Giovanni Arborio, d'una nobile famiglia vercellese, the era abate del monastero di s. Genuario. Altamente se

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ne offese il clero di Torino, non tanto perchè non gli piacque l'eletto, quanto perchè il capitolo credeva d'essere in diritto di nominarsi di per sè il proprio vescovo: il Papa, che conducevasi a Lione, trovandosi nel borgo di s. Michele nella Moriana, fatto consapevole dell'ostinazione dei canonici torinesi, mandò loro ordini severissimi di accettare a proprio vescovo l'eletto dal suo legato, ed allo stesso tempo incaricò Artaldo, preposito di Biella, di metterlo in possesso della chiesa, dell'episcopio e di tutti i beni che alla mensa vescovile appartenevano. Bonifacio, marchese di Monferrato, fatto consapevole di quegli ordini del Papa, volle senza indugi prestare omaggio al nuovo eletto vescovo di Torino, per ragione del feudo che teneva, e di cui era stato investito dalla chiesa torinese. Giurarono eziandio la fedeltà al nuovo vescovo i signori di Lanzo, l'abate di s. Mauro, altri superiori di monasteri e parecchi rettori di chiese. Frattanto i canonici ed il clero di Torino ponendo in non cale gli ordini del Papa, vieppiù si ostinavano a non voler riconoscere a proprio vescovo Giovanni Arborio, e ad essi aderiva l'arcidiacono della chiesa d'Asti. Artaldo preposito di Biella invitò formalmente i canonici torinesi a produrre i motivi della loro ripulsa, e siccome essi non vollero comparire, egli ordinò al rettore della chiesa di s. Salvatore in Pianezza di bandire con ferale solennità la scomunica contro il capitolo renitente; il che ei fece nel dì 22 gennajo 1245 non tanto nella chiesa di s. Salvatore, ma eziandio in quella di san Paolo, esistenti entrambe nel medesimo villaggio, candelis accensis et campanis sonantibus, ed alla presenza di Gattero novello abate di s. Genuario, di Pietro de Rada e di Carlo de Arborio. Nel medesimo giorno il vescovo Giovanni trovandosi in Pianezza in compagnia del marchese di Monferrato intimò ai vassalli ed agli uomini di Rivoli di venire fra il termine di giorni otto a prestargli giuramento di vassallaggio pel feudo che tenevano dalla chiesa torinese. Fece quest'intimazione ai deputati, che il comune di Rivoli gli aveva spediti; ed erano essi Corrado Berruto, Giordano Glostre, Pietro Parmesano, Giacomo Balgano, Guglielmo Grave e Rodolfo Brutino; e siccome il chiesto giuramento non fu prestato negli otto giorni stabiliti, ne fu prolungato il termine con la minaccia di scomunica.

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Nel dì 15 febbrajo del medesimo anno 1245 il papa Innocenzo IV diede ordine al preposito di Vezzolano di scomunicare l'arcidiacono, il preposto e l'intiero capitolo di Torino, qualora fossero ancor pertinaci a non obbedire a Giovanni Arborio già abate di s. Genuario stato eletto loro vescovo dal legato apostolico Gregorio di Monte-Lungo, et non gli restituissero il castello di Rivoli. Innocenzo IV spedì questi ordini da Lione nel secondo anno di suo pontificato. Tutte queste minaccie non valsero ancora ad intimidire i renitenti canonici; ed allora solamente si piegarono essi a riconoscere il vescovo eletto dal legato apostolico, quando il preposito di Vezzolano intimò la censura ai canonici, dichiarandoli scomunicati vitandi.

Si piegarono allora, ma solo per evitare maggiori dissensioni e più gravi scandali: chè del resto rimasero tuttavia persuasissimi, che la nomina di Arborio fatta dal MonteLungo fosse al tutto contraria al loro incontrastabile diritto di nominarsi il proprio vescovo; diritto, di cui il capitolo torinese, conforme al primitivo spirito della chiesa universale, avea sempre goduto sino a quell'epoca. E tanto è ciò vero, che lo stesso Giovanni Arborio non veggendosi eletto secondo le norme stabilite dalle antiche leggi ecclesiastiche, ed unicamente per l'influenza del partito guelfo, non osò mai farsi consecrar vescovo; onde non mai potè a pro dei suoi diocesani nè conferire ordini sacri, nè amministrar la cresima, nè compiere gli altri doveri assolutamente proprii dell'episcopato; locchè fu veduto sempre, finchè ei visse, colla massima indifferenza dal Papa, dal pontificio legato e (a dagli aderenti alla fazione guelfa, la quale non solamente non s'indegnò quando poscia quell'indegno prelato, deposte le divise monastiche e le vescovili, divenne soldato, ma gliene fece plausi, e lo avrebbe anche promosso a più splendide dignità, se Iddio non ne avesse punita l'audacia e l'inverecondia, come or ora diremo.

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Appena ebbe termine questa rumorosa controversia, il vescovo Arborio non dubitò di allontanarsi dal suo clero e we dalla sua diocesi non già per motivi degni di un pastor di anime, ma per sostenere colla spada il partito avverso a Flmperatore. Invitato da Gregorio di Monte-Lungo, auda

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cissimo sommovitore di popoli, si condusse il novello vescovo Giovanni con molti de' suoi vassalli nelle vicinanze di Parma, ove, fattosi guerriero, combattè contro gli uomini di Pavia e di Casale ghibellini, i quali, veduto il prelato battagliere armato contro di loro, lo accerchiarono e lo fecero prigione nel dì 2 d'agosto del 1247; e siccome egli non potè riscattarsi, rimase tre anni in condizione di prigioniero, e vi sarebbe rimasto ancora più a lungo, se Tommaso II di Savoja non gli avesse poi dato a prestanza il danaro richiesto per ottenere la sua libertà e ritornarsene alla sua sede, come ritornovvi nel 1250; e in ottobre di quest'anno si condusse alla città di Saluzzo per la visita pastorale di quella parte di sua vasta diocesi; ed ivi dimorando alcun tempo diede al prete Torino, suo cappellano, la facoltà di fondar chiese e monasteri di regolari, sotto il nome di s. Salvatore e di s. Croce.

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XXXI.

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Tommaso II di Savoja ritorna di Fiandra in Piemonte. Fanno a gara per averlo amico Innocenzo IV e Federico II. — Questo Imperatore viene a Torino, dirigendosi a Lione; è informato per via che il Papa lo scomunicò e depose dal trono. Azioni e vicende prospere ed avverse di Tommaso II.

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Tommaso II, fratello minore del conte Amedeo IV, e terzogenito di Tommaso 1, fu destinato dal padre allo stato ecclesiastico, ed era ancor giovanissimo quando veniva eletto prevosto nella cattedrale di Valenza nel Delfinato ; increscendogli la vita canonicale, dopo la morte del suo genitore si fece assegnare dal fratello Amedeo un convenevole appannaggio; e condottosi in Francia quando il re Luigi IX ebbe sposata Margherita di Provenza, primogenita delle quattro figlie di Raimondo Berengario e di Beatrice di Savoja, Tommaso acquistò talmente l'affetto e la stima del santo Re suo nipote, che per mediazione di lui sposò l'erede del conte di Fiandra e di Hainaut. Passò quindi in Inghilterra a visitare la Regina, altra di lui nipote, maritata ad Arrigo III. Rimasto vedovo della principessa di Fiandra venne, qualche tempo dopo, ad incontrare Innocenzo IV, che riti

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ravasi in Francia. Questo Papa, per farselo amico, acconsentì di buon grado ch'egli sposasse una di lui nipote, cioè Beatrice Fieschi, figliuola del conte di Lavagna. In considerazione di quel parentado e della riputazione che Tommaso andava sempre più acquistando in tutta Europa, Amedeo IV gli cedette tutte le terre ch'ei già aveva in Piemonte, a ris serva soltanto della sovranità e della giurisdizione. L'anno seguente al contratto matrimonio colla nipote d'Innocenzo IV, andò a visitare questo Papa a Lione, e poi si trovò nel numero degli arbitri eletti dal re d'Inghilterra e di Navarra per terminare una vertenza relativa ai confini della Navarra e delle possessioni inglesi nella Guascogna. Quindi ritornossene in Piemonte a rivedere il conte fratello, che lo accolse con singolarissimo affetto, e nella sua contentezza d'averlo seco gli confermò in modo solenne la già fattagli cessione de' suoi diritti sovra il Piemonte. Sul che vuolsi notare, che il Piemonte, rimasto in quel tempo ai principi di Savoja, più non comprendeva se non quell'estensione di paese, che si apre tra il Po alla sua origine e le alpi ed il Sangone; e di più il tratto della contea di Torino che giace da Avigliana all'ingiù.

Il parentado contratto con Innocenzo IV ed il patrocinio che di lui prese per salvarlo dalla persecuzione degli imperiali e ghibellini non impedirono il conte Tommaso II di servire l'imperatore Federico II, e di travagliarsi per conciliarlo col Papa. La condotta ch'ei tenne a questo riguardo fu pari a quella del suo fratello Amedeo IV, condotta e politica che fu poi costantemente seguita dai loro successori, i quali credettero sempre di doversi mostrare figliuoli rispettosi della chiesa, anche seguendo qualche volta un partito colpito d'anatema dai Papi, e preservando intanto i loro stati dalle servitù, che Roma sforzavasi d'imporre in quei tempi eziandio alle potenze di primo ordine.

Federico II, sì per mostrarsi riconoscente de' servigi che procurava di fargli il principe Tommaso II, e sì perchè lo conosceva come uomo di generosi spiriti e sommamente valoroso, gli fece ampii donativi, sperando pure con ciò di affezionarselo: gli concedette adunque Torino col ponte e col castelletto, che stava sul rialto detto il Monte de' cappuc26 Dizion. Geogr. ec. Vol. XXII.

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