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rebbe omaggio di Moncalieri al comune d'Asti; non acquisterebbe al di là di Cavoretto e Moncalieri alcun'altra terra alla destra del Po. Si stabill inoltre che gli Astigiani non pagherebbero a Moncalieri tolta nè pedaggio; che gli usciti da Torino e da Moncalieri potessero ritornarvi e ripigliare il possesso dei loro beni; e nel caso che loro non piacesse di farvi ritorno, o il conte non acconsentisse di lasciarveli ritornare, dovesse egli comprarne i beni al prezzo fissato dai periti. In questa prima convenzione è da osservarsi la benevolenza e la generosità del marchese Jacopo del Carretto verso il conte Tommaso; avendo voluto promettere a nome di lui, che venendo trasferito in Asti, non ne uscirebbe senza licenza del podestà; e che Tommaso ottenendo la licenza, il marchese del Carretto darebbe uno de' suoi figliuoli in ostaggio, e due de' suoi castelli in deposito per sicurtà del ritorno.

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Dal loro canto gli Astesi promisero di non acquistar nuova terra alla sinistra del Po, e di non edificare nuovi castelli, o ville, o fortezze verso lo stato di Savoja, e verso la marca di Saluzzo. Il comune d'Asti promise di far pace coi marchesi di Monferrato e di Saluzzo, col conte Emanuele di Biandrate, e cogli altri fautori di Tommaso, il quale dal suo canto procurerebbe la pronta liberazione degli Astigiani, dei Torinesi ditenuti in Savoja ed in Francia, non che la restituzione delle loro merci, come anche quella delle merci de' Cuneesi ivi sequestrate. Questo primo accordo fu giurato da Jacopo Zasio, podestà d'Asti, e da Jacopo del Carretto, e alcuni giorni dappoi venne confermato dal Fieschi. Allora il comune d'Asti cominciò le trattative con quello di Torino per farsi dar nelle mani il Principe che dai Torinesi era tenuto prigione. Nel febbrajo del 1257 parea che tutto fosse disposto per l'esecuzione della consegna dell'illustre prigioniero, quando gli Astesi domandarono nuovi patti e nuove sicurtà. Vollero che il conte ottenesse dal Re e dalla regina di Francia, dal Papa, da Filippo fratello di Tommaso una solenne promessa di mettere in libertà tutti gli Astigiani imprigionati in Francia ed in Savoja, e di restituire le loro robe e mercanzie, tostochè il conte Tommaso si trovasse libero nel suo stato alla sinistra del Po; e per

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l'osservanza di questo patto desse in pegno al comune d'Asti
i castelli di Carmagnola e di Mercurolio; ed inoltre il mar-
chese del Carretto desse due altri castelli in pegno, ed il
proprio figliuolo in ostaggio. Questi ed alcuni altri patti
vennero stipulati addì 14 febbrajo del suddetto anno. Due
giorni dopo, l'infelice Principe, tolto dalla prigione, ma sotto
custodia, venne condotto in una sala del palazzo di Pietro
Rinolfo, dove il consiglio civico di Torino era congregato;
e là, dopo essere stato rimesso nelle mani de' commissarii
astesi, fu invitato da Guglielmo Faure, podestà, a far so-
lenne rinuncia di ogni suo diritto sopra Torino, Collegno,
Montosolo e Cavoretto; e di più a promettere la riparazione
di tutti i danni, che per causa della di lui prigionia i suoi
fratelli od ajutatori avessero recato ai Torinesi. Appena it
misero ebbe consentito a così dure condizioni, venne subi-
tamente condotto in Asti, non senza qualche alleviamento
del suo dolore, perciocchè deve essere minor pena al cuore
d'un Principe l'essere maltrattato da' proprii nemici, che es-
serlo da coloro che furono soliti a riconoscerlo per signore.
Ma nè anche in Asti potè conseguire presto il suo riscatto;
chè si vollero dagli Astesi nuove cautele; e però verso il
fine di maggio dello stesso anno si stabilirono patti più ri-
gorosi, i quali furono che il marchese Jacopo del Carretto
desse in ostaggio il suo figliuolo, e due castelli in deposito;
Tommaso desse per istatici due suoi figli, e venti personaggi
scelti fra i più ragguardevoli del suo dominio; consegnasse
al comune d'Asti le lettere che gli ambasciatori del re e
della regina di Francia avean portate per la restituzione
delle persone e degli averi degli Astigiani presi oltremonte;
e facesse rivocar la domanda di dieci mila lire fatta al co-
mune dalla Regina; un cardinale legato, e specialmente Ol-
tobono Fieschi dovesse recarsi in Francia, ed ovunque fosse
mestieri per la liberazione degli Astigiani; Ugo, duca di
Borgogna, che era venuto in Asti per sollecitare le conchiu-
sioni di quel trattato, promettesse con sue lettere di pro-
curarla a pena di dieci mila lire d'arnesi, e di stare, in
ostaggio a Lione finchè avesse adempiuto le sue promesse ;
e Tommaso, tostochè fosse posto in libertà, andasse, ove
fosse necessario, pel medesimo scopo in Francia, e si ado-

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perasse efficacemente affinchè Pietro e gli altri principi di Savoja approvassero questa convenzione. Intanto, per sicurtà dell'osservanza de' patti, Tommaso desse nelle mani del comune d'Asti Mercurolio, od in sua vece il castello e la terra di Villafranca, Carmagnola, od in sua vece Revello, le quali due terre della marca saluzzese erano da lui tenute in forza della sua luogotenenza di quella marca; desse pure nelle mani d'Asti per maggior sicurtà dell'osservanza dei patti il luogo e il castello di Cavoretto, l'inferior castello di Cavorre, la terra e il castello di Cumiana; ed ove consegnasse Carignano agli Astesi, gli si rendessero due delle tre terre ultimamente nominate.

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Quantunque il principe Tommaso acconsentisse a tali umilianti condizioni, pure non ottenne ancora la sua liberazione. Trovavasi tuttavia prigioniero in Asti sul finire di giugno; e dovette acconciarsi ad altri patti, in forza dei quali si deputarono i comandanti dei castelli da tenersi in deposito; e Tommaso si obbligò inoltre a dar in pegno al comune d'Asti il castello di Gorzano, e acconsentì che gli Astesi ritenessero questo, e gli altri sopraindicati castelli sino alla totale liberazione dei mercatanti astigiani ditenuti in Savoja ed in Francia, e sino al final pagamento di tutti i debiti ch'egli avea dovuto contrarre in Asti.

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L'infelicissimo Principe venne allora messo in libertà, Jasciando statichi í proprii figliuoli in Asti; i quali vi ri-m masero lungo tempo, perchè gli augusti fratelli di Tommaso non si mostravano per nulla disposti a ratificare quelle du rissime condizioni, tanto più che per esse menomavasi lo splendore della loro famiglia. Tommaso appena si vide posto in libertà, recossi a Londra per ivi procurarsi danaro dai ⚫ suoi congiunti; e colà ottenuto il suo intento si ricondusse in patria; ma i patimenti da lui sofferti gli avevano talmente affievolito la salute, che giunto nella città di Aosta, cadde gravemente ammalato, ed ivi cessò di vivere nel di 1.° di febbrajo dell'anno 1259.

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I suoi fratelli dovettero allora prender parte negli affari di Piemonte, dove per lo innanzi non si erano impacciati. Bonifacio arcivescovo di Cantorberì, che trovavasi in Roma, quando Tommaso era caduto prigione de' Torinesi, ed era

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accorso prontamente a cercar riparo ai tristi casi del suo fratello, ma aveva trovato i nemici talmente impadroniti di i del Torino e del Piemonte occidentale fino a Susa, se n'era tornato in Inghilterra ; col credito che godeva in quella corte, otteneva da Riccardo eletto Re de' Romani, che l'oneroso accordo, a cui forzatamente il conte Tommaso s'era sottoscritto, fosse cassato; ma invano si adoperò per far eseguire il decreto di un Imperatore titolare.

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XXXIII.

Bonifacio viene con buon nerbo di Savoini a stringer Torino d'assedio; cade anch'egli prigioniero, e presto muore d'angoscia. Torino dopo qualche tempo obbedisce a Carlo d'Angiò, poi al marchese di Monferrato, poi al conte Tommaso III di Savoja.

Bonifacio nipote dell'infelicissimo Tommaso II, dopo qualche viaggio che avea fatto in compagnia di questo suo zio, e dopo aver dato prove, sebbene in giovanissima età, di straordinario valore, se ne stava in Savoja sotto la cura e la tutela della madre, e degli altri suoi zii, uno dei quali era Filippo vescovo di Lione, e in quella provincia vivea senza travaglio; ma cresciuto in età, ed acquistando quell'ardire d'animo, e quelle forze di corpo che gli fecero dare il soprannome di Orlando, raccolti in Savoja quanti militi potè, passè i monti, si avanzò coraggiosamente contro i Torinesi e gli Astigiani loro alleati, che fatti consapevoli del di lui arrivo, lo aspettavano nel luogo di Rivoli; ed ivi avendoli messi in fuga venne ad intraprendere l'assedio di Torino, quantunque non avesse con sè forze bastanti per un'impresa di tanto rilievo. Ciò non di meno il suo valore gli assicura da prima prosperi successi. Gli assediati avevano, alla testa del ponte, una fortezza che li rendeva padroni del fiume. Una vasta torre vi dava asilo alle loro truppe, che di là facevano frequenti sortite. Bonifacio assalta questo baluardo, e se ne impadronisce. Questo prospero fatto inspira ai Savoini una funesta sicurezza di cui il nemico sa profittare. Confidando eglino nell'occupazione di quella vasta torre, si abbandonano al riposo con una colpevole negligenza, e si vedono all'improvviso assaliti e sbaragliati. Il Principe riunisce i fuggitivi,

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come

rianima il coraggio di quelli che disperano della loro sal-
vezza, minaccia gli uni, esorta gli altri, e porge a tutti l'e-
sempio di quell'imperturbabile coraggio, che solo può far
cangiar la fortuna dell'armi. Adempiendo egli ad un tempo
le funzioni di capitano e di soldato, gli vien fatto di şalvar
la fortezza, di respingere i nemici, di, togliere dalle loro
mani una parte dei prigionieri, e d'impadronirsi d'una parte
del bottino, di cui già menavano vanto. I Savoini alla lor
volta insuperbendo, dimenticano i diritti della guerra, che
impongono il dovere di rispettare i prigionieri, e di rendere
gli onori funebri ai morti, L'istoria riguarda tuttora
un insulto ai mani l'indecora gioja che con canti e colle
danze manifestò a Cheronea Filippo re di Macedonia in
mezzo ai cadaveri, di cui il campo di battaglia era coperto.
1 Savoini, dopo l'ottenuto trionfo, vollero imitare, attorno
a Torino, la procession trionfale d'Achille, che strascinò
intorno ad Ilio il corpo dell'infelice Ettore, attaccato per i
piedi al suo carro. I Savoini forse offrendo un Così tristo
spettacolo, credettero di spargere la costernazione dentro
la città, da essi riguardata come ribelle; ma sarà sempre
vero ch'essi posero allora in non cale il codice dell'umanità.

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L'oltraggio non restò impunito. Subito i Torinesi ne fecero alte doglianze ai loro alleati, i quali, senza frapporre indugi, si armarono per prenderne vendetta, e mossero verso questa capitale. All'annunzio del loro arrivo Bonifacio si toglie dall'assedio per marciare contro di loro. Gli Astigiani ed i Monferrini hanno un poderoso esercito. I Savoini sono inferiori in forze: non di meno il Principe è abbastanza temerario per ingaggiar tostamente la pugna. Il valore non accompagnato dalla prudenza è ben di rado felice. Bonifacio combatte disperatamente, ma cade in poter dei nemici piultosto soperchiato da numero, che vinto. Allora ei dovette riconoscere che il Cielo volle umiliare l'orgoglio delle sue truppe. Bonifacio fu condotto a Torino cogli avanzi del suo esercito prigioniero, e venne rinchiuso in una torre. I Torinesi ebbero, per trattar duramente questo Principe, un pretesto che li rendè sordi ad ogni proposizione di pace; pretesto, che nacque dalla fierezza e dalla costanza dell'indole sua. Egli non vide ne' suoi custodi che sudditi ribelli,

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