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coi quali sdegnò di entrare in negoziazioni. Tuttavia quelli, che favorivano le pretensioni del vescovo per riguardo al temporal dominio di questa città, sperarono, che, raddoppiando i rigori della cattività, avrebbero finalmente piegato il fiero animo del Principe; e rinnovarono perciò verso di lui le medesime vessazioni che avevano usato verso Tommaso ; ma il nipote, più fermo nel suo proposito che non fosse lo zio, ebbe la forza di sopportare ogni durezza, piuttosto che soscrivere ad un trattato, che potesse divenire un soggetto di biasimo, o di rincrescimenti. Ma la tristezza che gli fu cagionata dalla sconfitta delle sue truppe, e più ancora il dolore di non trovare alcun sentimento generoso in quelli che esercitavano il potere in questa capitale, lo trassero alla tomba sul fiore dell'età sua. Se egli è vero, che si adoperarono indegni trattamenti per indurlo ad un atto di rinunzia, la costante fermezza del suo rifiuto debbe onorare la sua memoria.

Per dare a questo Principe un soprannome che lo dipingesse agli occhi della posterità, i suoi contemporanei trovar non seppero un'esatta rassomiglianza che nel più forte e più valoroso de' paladini del secolo eroico di Carlo Magno. Bonifacio ebbe veramente alcune qualità pari a quelle del nipote di quel grande Imperatore. La Savoja, che aveva concepito le più alte speranze di questo Principe, provò il più vivo dolore quando ebbe l'annunzio della sua morte, e giurò di vendicarla. Il suo corpo fu riscattato da' suoi congiunti, e venne seppellito nella chiesa di s. Giovanni di Moriana. Un recente storico niega questi ultimi fatti del conte Bonifacio di Savoja, ma non adduce buone prove di șua negativa. Noi li abbiam riferiti perchè li narrano, oltre la costante tradizione, non solo i più riputati cronisti e storici della Savoja, ma eziandio parecchi storici italiani di chiara fama, tra i quali nominiamo il Botero e il Denina.

La morte di questo Principe diè motivo all'irregolarità, che seguì nella successione. A Bonifacio morto senza lasciar prole avrebbero dovuto succedere negli stati posseduti da' suoi maggiori i figliuoli di Tommaso II, che era il primo de' fratelli di Amedeo IV, se l'ordine di successione, detto comunemente legge salica, fosse stato in quel tempo così bene 27 Dizion. Geogr. ec. Vol. XXII.

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osservato come lo fu nei secoli appresso. Intendevasi allora per legge salica l'esclusione delle femmine più prossime in concorrenza degli agnati maschi più fontani. Ma tra' maschi non era ancora ben determinata la successione. I fratelli del Principe defunto venivano spesso preferiti a' figliuoli suoi, massimamente quando questi si trovavano ancora in età inabile al governo; laddove secondo l'ordine di primogenitura e di rappresentazione in infinito, il figlio, il nipote ed il pronipote del Principe mancato di vita sono chiamati alla successione ancorchè fanciulli, ed anche non nati, se la vedova si presume gravida alla morte del marito. Or non essendo tal ordine in osservanza, Pietro, che allora restava il maggiore dei fratelli di Amedeo IV, succedette al nipote Bonifacio, ad esclusione del pronipote Tommaso ill, figliuolo primogenito di Tommaso conte di Fiandra e di Piemonte. Varii motivi agevolarono l'elezione del conte Pietro. Egli era il più atto a rialzare lo stato, che avea bisogno di un sovrano dotato di elevati pensieri e di grande attività. A tali doti questo Principe univa il vantaggio di essere ricco e possente. Dopo aver abbandonato lo stato ecclesiastico, manifestò nel sesto lustro dell'età sua inclinazione alle armi, e chiese un appannaggio al suo fratello Amedeo, che raccoglieva allora la successione paterna. E ne ricevette i castelli di s. Rambert nel Bugei, di Chillon sul lago di Geneva; ricevette inoltre dominii a Montjou, nel Ciablese, e la contea di Romont, di cui prese il titolo. Avendo sortito dalla natura uno spirito ardito ed intraprendente, non tardò egli ad aprire il suo cuore all'ambizione. Il suo matrimonio con la erede del Faucigny lo innalzò alla dignità di sovrano. La riputazione di principe valoroso, fermo ne' suoi proponimenti e giusto, indusse il vescovo di Losanna a metterlo a parte delle sue rendite, e quello di Digione gli avea ceduto alcune terre e castella, che avea in quel cantone. Avanti a quest'epoca Pietro avea militato in Inghilterra për Arrigo III ed in Francia per Ludovico IX, ed erasi acquistato gran fama di uomo prode nell'uno e nell'altro regno. Per tutte queste ragioni l'immensa maggiorità dei voti erano in suo favore, e gli stati generali della Savoja, composti dei grandi signori è dei vescovi, gli diedero i loro suffragi. Aveva questo Prin

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cipe sessant'anni quando alla morte di Bonifacio di lui nipote fu chiamato alla successione. Si vuole che la sua prima impresa dacchè ebbe assunto il governo fu di venire in Piemonte per vendicar la rotta e la prigionia del fratello e del nipote predecessori suoi, e che non avendo trovato a Susa ostacolo alcuno, sia venuto con numerose truppe contro Torino, e che l'esito di tale spedizione sia stato pronto e fortunato; ma noi molto dubitiamo di questa impresa del conte Pietro, il quale per contro mostrò subito favorevoli disposizioni a ravvivare il commercio che gli Astigiani già facevano in Savoja ed in Francia, ed erasi illanguidito dopo la prigionia di Tommaso II.

A questo tempo più di tutti i comuni del Piemonte prosperava quello d'Asti, il quale cercava tutti i mezzi per affievolire la potenza degli altri; ma contro l'astigiana preponderanza si mantennero saldi i Principi monferrini, sì perchè la successione del loro dominio non si divise mai in più parti, e rimase perciò assai ragguardevole, sì perchè gli Imperatori avevano ad essi conceduto una grande estensione di terreno. Se non che, all'epoca di cui parliamo, un nuovo movimento d'armi straniere cangiò la faccia del Piemonte. 11 papa Alessandro IV, stanco delle vessazioni di Manfredi, che allora signoreggiava il Napoletano e la Sicilia, offerì quel reame all'inglese Riccardo duca di Cornovaglia, ed offerillo quindi a Edmondo secondogenito di Arrigo III re d'Inghilterra, i quali lo rifiutarono. A papa Alessandro IV, morto nel 1261, succedette Urbano IV di nazion francese, il quale essendo pieno d'odio contro gli Svevi, e volendo scacciarli dal regno, offerì la corona a Carlo d'Angiò conte di Provenza fratello di s. Luigi re di Francia. Non potè quel Pontefice colorire il suo gran disegno, essendo mancato ai vivi nel 1265; ma Clemente IV, nativo di Provenza, fe' compiere la desiderata impresa. Carlo d'Angiò, in seguito all'invito fattogli da Urbano IV, aveva raccolto molte soldatesche in Provenza, erasi avanzato nella nostra contrada, e come rapido torrente aveva occupato Cuneo, Mondovì, Alba, Cherasco e le altre piazze del Piemonte meridionale; e poi erasi ricondotto in Provenza senza risolversi all'impresa di Napoli, prevedendo forse grandi difficoltà a mettersene tranquillamente al pos

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sesso; ma tosto che Clemente IV fu assunto al supremo. pontificato, lo eccitò di bel nuovo caldamente a compiere l'impresa tanto da lui desiderata, sicchè s'indusse egli finalmente (1266) a fare la chiesta spedizione con un naviglio che partì da Marsiglia, e con un forte esercito di terra, che venne per la Savoja in Piemonte, e fu bene accolto in varie subalpine città, e singolarmente in Torino. Carlo d'Angiò prendendo sin d'allora i titoli di re di Napoli e di signor del Piemonte, governò per alcun tempo la città di Torino col mezzo dei suoi vicari.

Promotrice di quest'impresa fu massimamente l'ambiziosa Beatrice, consorte di Carlo d'Angiò, quartogenita del conte di Provenza Raimondo Berengario, che da sua moglie Beatrice di Savoja non ebbe che cinque figliuole, le quali, con esempio forse unico, divennero tutte regine. La prima, cioè Margarita, sposò Ludovico re di Francia; Eleonora maritossi ad Arrigo re d'Inghilterra; Sanzia fu moglie di Riccardo poi re de' Romani; Giovanna sposò Filippo re di Navarra, e Beatrice, moglie del conte Carlo d'Angiò, poi re di Napoli, invidiosa del regale stato in che si trovavano le sorelle, instigò il consorte a non voler essere da meno de' suoi cognati, e così assecondò molto bene le intenzioni del supremo ge

rarca,

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Gli Astigiani, e massimamente gli Alessandrini, avversi alla casa di Svevia, lasciarono volentieri passare avanti i nemici di essa. Il marchese Guglielmo VII, ancor che fosse stato amico e partigiano costantissimo di Federico II, non aveva l'affezione medesima al re Manfredo; e forse vi ebbe luogo qualche secreta gelosia verso i marchesi Lancia suoi vicini, e da lui molto inferiori di stato, i quali ora col favor di Manfredo loro parente strettissimo potevano divenire suoi eguali e superiori eziandio. La qual cosa sarebbe facilmente avvenuta, se Manfredi, che regnava in Puglia ed in Sicilia, usciva vittorioso da quella guerra; poichè a questo suo figliuolo prediletto l'imperatore e re d'Italia Federico II avea donato tutto il tratto di paese, che è posto fra il Ticino e le alpi indeterminatamente. Troppo natural cosa sarebbe stata che Manfredi, assicurato che fosse sul trono di Puglia e Sicilia, cedesse a' suoi zii e cugini marchesi Lancia i suoi di

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ritti ed il possesso di quelle terre. Fatto è che il Monferrino, anzi che impedire, agevolò il passaggio all'esercito provenzale pel Piemonte; nè glielo contesero i marchesi Malaspina, nè Oberto Pallavicino, possenti signori nella Lunigiana e nel Piacentino, nè tampoco Martino della Torre dominante allora in Milano. Giunto che fu quell'esercito a Roma, Carlo, insignito prima del titolo di senatore di Roma, prese la corona e il titolo di Re, entrò nel regno, e in due campali giornate battè vittoriosamente il suo nemico Manfredi, il quale fu ucciso nella battaglia di Ceperano, come pure vi cadde morto Giordano de' marchesi di Busca, conte d'Agliano, parente di Manfredo, che era uno de' più valorosi cavalieri del suo tempo. Così Carlo s'impadroni di quel regno. Aveva egli promesso ai marchesi di Monferrato e di Saluzzo varii stati nella Provenza e nel Napoletano in compenso delle città e delle terre ad essi tolte in Piemonte. It marchese Tommaso di Saluzzo ne ottenne la facoltà di occupare almeno i castelli di Murazzano, Roddino, Cissone nelle Langhe, ed anche la marca di Busca in cambio della valle di Stura a lui ceduta.

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Nel 1268 mancò ai vivi il conte di Savoja Pietro lasciando una sola figliuola per nome Beatrice, moglie del viennese delfino Guigo, e nominando a suo successore il fratello Filippo, legava la signoria di Susa, e quanto aveva in Piemonte a Tommaso figliuolo di Tommaso Il suo fratello maggiore. Nell'anno medesimo Corradino nipote ed erede legittimo di Federico II, udita la morte di Manfredi, accondiscese di buon grado agli inviti del ghibellino partito di Napoli, e per la valle di Trento marciò a quella volta. Giunto nel Napoletano, dopo alcuni trionfi, venné sconfitto a Tagliacozzo, e fatto prigione insieme col duca d'Austria e con Arrigo fratello del re Arrigo di Castiglia, che combattevano ai suoi fianchi. Carlo ottenne questo trionfo per aver seguito il consiglio di un illustre piemontese per nome Alardo, gentiluomo e signor di Valdieri; il quale avea militato in Francia al servizio del santo re Luigi, e con lui era stato in Asia ed in Africa a far guerra agl'infedeli. Se non che i tre illustri prigionieri Corradino, il duca d'Austria, ed Arrigo con inaudito esempio di crudeltà furono pubbli

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