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camente decollati dal carnefice. L'infelicissimo Corradino, su cui eransi accumulati gli odii guelfi contro gli Svevi, gli odli pontifici contro gl'imperatori, gettava dal palco di morte un guanto alla circostante affollata moltitudine, fra cui uno si trovò che raccolse quel guanto, e portollo quindi a Costanza figliuola di Manfredi e regina d'Aragona, che oramai rimaneva sola della casa di Svevia; perocchè Enzo morì quattro anni dopo nel suo carcere di Bologna.

Sbigottita allora l'Italia si sottomise da prima quasi intieramente a Carlo re, da cui il signor saluzzese ebbe l'ordine di occupare in Piemonte le terre di Manfredi, e quelle de' marchesi del Carretto e de' Liguri, che per Manfredi avevano parteggiato. Si fu allora che cominciarono nascere gravi timori sulle intenzioni dell'Angioino, tanto più ch'egli cominciava tribolare i suoi alleati, e con enormi gravezze facevasi ad opprimere il comune di Torino, e gli altri muni del Piemonte che erano governati a suo nome da provenzali capitani, ministri e vicarii.

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Tra i suoi alleati s'insospettì principalmente Guglielmo di Monferrato, il quale era già salito in grande potenza, e volea conservarla, ed anzi accrescerla; onde concepì il pensiero di fermare contro re Carlo una lega formidabile, e la fermò di fatto, e facendosene capo, assalì, nel 1274, le terre del Piemonte soggette al d'Angiò, tolse Revello e Fossano al marchese di Saluzzo, discacciò da Alba le truppe provenzali, che furono disfatte intieramente a Roccavione, colla perdita del loro capitano, ed assaltò la stessa Torino, e se ne fece padrone.

1 Torinesi che da circa due secoli si reggevano colle proprie leggi, alla guisa de' popoli liberi ed indipendenti, non poterono al certo esser paghi di divenir sudditi di Guglielmo VII, ben sapendo com'egli governava i suoi stati in modo assoluto; e ben si può credere che abbian subito concepito il timore di dover rimanere lungamente sotto la sua dominazione; timore che in essi nacque dalla gran possanza di lui, e dalle sue aderenze. Alcune città già stanche delle lunghe agitazioni, e impoverite per le spogliazioni d'ogni maniera, bramavano di riaver la quiete; e il Monferrino usando la propizia occasione, e colle promesse di

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difesa, otteneva le signorie di Vercelli e di Asti; unito col conte di Langosco discacciava i Torriani da Milano, e vi rimetteva l'arcivescovo Visconti; coi soccorsi de' suoi alleati scacciava anche i provenzali da Alessandria, di cui si costituiva signore; la città di Casale lo eleggeva suo capitano, e lo stesso poi faceva la capitale della Lombardia eleggendolo pel corso di dieci anni. D'altronde nella lega formidabile di cui si fece capo, erano entrati il vescovo d'Ivrea, i conti di s. Martino, i signori di Valesa, i conti di Valperga o di s. Giorgio, gli Astigiani, i Genovesi, e poi Ottone Visconti arcivescovo di Milano; e il conte di Lumello coi Pavesi favoreggiati e sostenuti da Rodolfo di Hasburgo stipite della casa d'Austria; oltrecchè lo stesso marchese Guglielmo, essendogli morta la sua prima consorte Isabella, aveva preso in seconde nozze Beatrice secondogenita di Alfonso re di Castiglia, il quale mostravasi inclinatissimo a sostener gli antichi diritti e i nuovi acquisti di questo suo genero. Per tutte queste ragioni il sabaudo principe Tommaso III, vedendo che colla forza delle armi non avrebbe potuto ricuperare la città di Torino e le altre terre subalpine, spettanti alla sua prosapia per diritto di successione, ricorse ad uno stratagemma, che gli riuscì felicemente. Fatto consapevole che Guglielmo se ne andava colla sua sposa Beatrice in Ispagna, per ricevere colà dallo suocero una somma di danaro, di cui abbisognava, raccolse uno stuolo di armati, e con esso si recò tanto celeremente a Valenza nel Delfinato, che ivi potè sorprendere Guglielmo, e menarlo prigioniero nella rocca di Pierre-Châtel.

Il marchese allora, per poter esser messo in libertà, dovelte accettare le condizioni che gli vennero imposte da Tommaso; l'accordo per altro non fu stipulato senza l'intervento del marchese di Saluzzo, dei vescovi di Belley e di Vercelli e dell'abate di Susa; secondo la convenzione che stipulossi addì 21 di giugno del 1280, Guglielmo si obbligò a dare nelle mani di Tommaso la città di Torino con la casa forte che vi avea edificata, con la bastita del ponte di Po, non che i luoghi, e i castelli di Collegno e Grugliasco; salva però la riserva, per riguardo a Collegno, di far valere le sue ragioni davanti ai tribunali, come farebbe eziandio

per rispetto a Druent. Inoltre Guglielmo promise di nom impedire a Tommaso la signoria di Cavoretto, Montosolo ed Alpignano, nè degli altri luoghi posseduti dal comune di Torino; volle per altro riservarsi la facoltà di difendere i comuni di Milano, Como, Pavia, Cremona, Novara, Vercelli, Tortona, Alessandria, Acqui, Ivrea, e Casale, dei quali comuni era egli alleato, nel caso che il sabaudo Principe avesse voluto assalirli; promise con giuramento di non arrecare alcun nocumento a Tommaso, nè al vescovo di Valenza, nel cui distretto era stato fatto prigioniero; e diede ostaggi per sicurtà di sua promessa; si obbligò in fine a restituire sei mila lire viennesi, dichiarando di aver avuto una ugual somma in prestito dal principe di Savoja; sul che vuolsi notare che il Benvenuto s. Giorgio nella sua cronaca asserisce che quel prestito non erasi mai fatto, e che fu immaginato unicamente allo scopo di obbligare il marchese al pagamento di una somma così ragguardevole. Guglielmo, dopo aver sottoscritto le impostegli condizioni, ottenne di uscir di carcere, e continuò il suo viaggio verso la Spagna; per le terre di Savoja viaggiò in compagnia del vescovo di Belley. Appena giunse sul territorio del villaggio delle Scale, il vescovo insinuò al marchese di ratificare l'accordo in quel luogo, che apparteneva agli spedalieri di Gerusalemme, ed era posto fuori del dominio di Sąvoja. Il marchese non ebbe difficoltà di ratificarlo, dicendo per altro che si riservava il diritto di ricorrere al Papa affinchè fossero riparati certi oltraggi e danni recatigli da uomini del santuario. Quando Guglielmo, proseguendo il suo viaggio, si trovò nelle terre del Delfino di Vienna, disse al vescovo che potea ritornarsene indietro, soggiungendogli che avrebbe osservato i patti dell'accordo stipulato col Principe Tommaso. Era il giorno 13 d'agosto del 1280, quando il vescovo di Belley, salutato Guglielmo, si ricondusse alla sua sede.

Tosto che i Torinesi furono fatti consapevoli di questo singolare avvenimento, se ne mostrarono assai contenti, perocchè l'aspro modo con cui furono governati da Guglielmo fu loro sommamente spiacevole, tanto più che temettero sempre peggiori trattamenti da lui; e veramente da quanto ci trasmisero di questo marchese gli scrittori contempora

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nei, fu egli sibbene Principe valoroso, imperterrito nel guerreggiare, capace di concertar belle imprese, attivo nell'eseguirle, sagace nel trattare i pubblici ed i privati affari, ma soprammodo ambizioso, insaziabile di signoria, doppio e di mala fede nel pro mettere, e nell'attenere le date parole, e sommamente fiero nel comandare così ai novelli come agli antichi sudditi. Dante, che pur volle riconoscere in lui alcune buone qualità, dopo aver messo nel suo Inferno tanti uomini di gran fama, mise questo rinomatissimo marchese nel Purgatorio fra quelli che non fecero tutto il bene che avrebbero potuto fare.

Se non che la violenza usata da Tommaso III al marchese Guglielmo VII, dispiacque al conte di Savoja Filippo I, zio di esso Tommaso, e dispiacque pure al Re di Francia, il quale gliene fece rimproveri, esortandolo a rimettere senza indugi il mar chese in libertà, e a riconciliarsi con lui. Fatto è che il marchese Guglielmo, ritornando nel seguente anno dalla Spagna, prese la via del mare, sbarcò a Genova; e di là si condusse a Milano.

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Tommaso III già sin dall'anno 1272, ed il suo fratello Amedeo, raccolte le loro soldatesche avevano vinto e domato i Piossaschi, che da lungo tempo si mostravano ribelli ai sabaudi Principi; ora Tommaso III, reduce in Piemonte, procurò di dar sesto a' suoi affari in questa contrada, e innanzi a tutto si accordò con l'abate di Pinerolo, e con i medesimi Piossaschi, i quali sebbene avessero molte signorie nella pinerolese provincia, ciò non di meno piegaronsi a rinnovargli la loro sommessione. Quando giunsero gli ambasciatori e le lettere del Re di Francia dirette a rimproverare Tommaso II del modo con cui erasi comportato verso il Monferrino, questo Principe stringeva d'assedio il forte luogo di Cavoretto, perchè il castellano o comandante di questo luogo forte non voleva rimetterlo nelle sue mani. Or dunque il sabaudo Principe si rivolse al comune di Pinerolo, affinchè lo provvedesse di buon numero d'armati, con cui potesse più agevolmente espugnare il ben munito castello di Cavoretto: i pinerolesi in sulle prime ricusarono di accondiscendere al suo desiderio, rappresentandogli che avean eglino prestato il dovuto militar servizio nelle fazioni di Torino,

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di Beinasco e di Alpignano durante il tempo dagli statuti comunali prescritto e convenuto col padre di lui; e a questo modo dignitosamente si comportarono per mantener saldi i loro diritti; ma poi inviarono al principe una deputazione di due chiari personaggi, i quali gli annunziassero, che avrebbero fatto esercito, se egli volesse riconoscere e dichiarare ch'essi il faceano unicamente per loro cortesia, non per obbligo da cui fossero astretti. Il Principe dichiarò quanto desideravano i Pinerolesi, i quali soddisfatti si armarono tostamente, e valicarono il Po. Tommaso III, col possente ajuto delle soldatesche di Pinerolo, ripigliò con facilità il castello di Cavoretto, e venuto a Torino, fuvvi accolto con festeggiamenti dai cittadini, tanto più ch'egli si dimostrò disposto a dare, come subito diede, a questo comune gli statuti, secondo le antiche convenzioni stipulate col suo genitore Tommaso II: ciò fatto andossene oltremonti, ove il delfino Umberto arrecava molestie al vecchio conte zio e fuyvi ferito a morte in un combattimento ingaggiatosi l'anno 1282.

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XXXIV.

Il vescovo Goffredo per avidità di dominio temporale muove gravi litigi al comune di Torino e ai principi di Savoja. Fatti lodevoli di questo vescovo.

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Mentre accadevano le cose dianzi narrate, Goffredo dị Montanaro, vescovo di Torino, virilmente si opponeva a questo comune, che credevasi in diritto di padroneggiare i castelli di Collegno e di Montosolo; ma pare che tutti i suoi sforzi per ottener questo intento riuscissero vani. Quasi Pr allo stesso tempo egli promoveva un litigio contro Pietro, Tommaso ed Amedeo di Savoja, i quali occupavano i castelli di Cavorre, di Rivoli, e di Castelvecchio, nè volevano per niun modo riconoscere i pretesi diritti de' vescovi torinesi sopra que' luoghi forti, Goffredo, portando la lite davanti alla curia romana, elesse unitamente al suo capitolo tre procuratori, perchè la potessero proseguire con la maggior sollecitudine. Il papa Clemente IV, con sue lettere apostoliche, date da Viterbo, il 1.o giugno 1268, ingiungeva

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