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del Sangone separasse i due territorii di Torino e di Moncalieri; che i Torinesi ́ pagassero taglia e fodero a Torino dei beni da loro posseduti nell'agro di Moncalieri; e così facessero i Moncaleriesi pei beni da loro posseduti sull'agrotorinese; che in fine le mercanzie potessero passare liberamente fuor del luogo murato, pagando i soliti pedaggi.

Due anni dopo, Torino si trovò nella necessità di sostenere un litigio contro i signori di Beinasco per causa dei confini, e della giurisdizione di Drosio, ed eziandio per motivo del vassallaggio che quei signori niegavano alla città non più libera. Qualche provvedimento a questo riguardo fu dato dal giudice generale del Piemonte, che era Guglielmo di s. Germano. Nel 1288 trovandosi nella cariea di giudice generale del Piemonte un Marenco di Neive, le parti contendenti fecero compromesso nel vescovo di Torino Goffredo di Montanaro, e in quattro fra i più cospicui Torinesi, che furono un Pelizzono, un Borgese, un Silo ed un Baracco. La sentenza di questi arbitri fu che Stupinigi, Vinovo, Vicomanino, Drosio e le sue appartenenze di qua e di là del Sangone fossero di giurisdizione di Torino, come luoghi situati nel territorio torinese; che circa a' suoi confini si dovesse osservare ciò che il vescovo Ugucione avea stabilito nel 1236; che i signori di Beinasco riconoscessero quella terra dal comune, e gliene facessero omaggio come di feudo gentile. Siccome in progresso di tempo il comune di Torino si dolse che quello di Moncalieri tenesse ingiustamente l'agro di Stupinigi, e ne avvenne che fu pronunciata una sentenza, in virtù della quale Moncalieri si tenne nel possedimento di Stupinigi, e Torino in quello di Borgoratto, e delle altre pertinenze di Drosio anche al di là del Sangone.

XXXVI.

Amedeo V dismette il Piemonte al nipote Filippo questi si conduce a Torino, e ne prende il possesso; com'ei diviene principe d'Acaja: alcuni suoi fatti.

Erano già trascorsi dieci anni, dacchè Amedeo V signoreggiava in Piemonte; ma avea tutt'altro in mente che di

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dismettere le terre subalpine spettanti a' suoi nipoti, quando essi fossero usciti di minor età; ed invero egli avea imposto al vicario di Torino di giurargli la fedeltà non come ad amministratore, ma come a padrone assoluto, e volle pure che lo stesso vicario formalmente gli promettesse di non rimettere il castello fuorchè a lui, od a persona da lui discendente e sua erede; locchè prova evidentemente ch'egli mirava ad usurpare ai nipoti anche lo stato del Piemonte, e ad introdurre nella sua successione quell'ordine di rappresentazione all'infinito, che non erasi osservato nè quando Filippo succedette a Pietro, nè quando egli succedette a Filippo. Se non che vi furono alcuni principi, coi quali Tommaso III era stretto d'amicizia, e a cui egli avea raccomandato la conservazione dei diritti de' suoi figliuoli, i quali ebbero cura di rappresentare ad Amedeo V quali fossero i suoi doveri; locchè fecero con tale energia, ch'egli s'indusse finalmente a provvedere ai diritti che Filippo fi gliuolo del suo maggior fratello Tommaso III, già uscito dell'adolescenza, aveva sul Piemonte. A tale importante scopo elesse ad arbitri Ludovico di Savoja, sire di Vaud, Umberto Lurieux e Pier Simondi giurisperito, i quali nel decimo giorno di dicembre del 1294 nella chiesa di s. Antonio di Ciamberi in presenza di Filippo e de' fratelli di lui, e di Guja di Borgogna loro madre, pronunziarono un giudizio, per cui dovesse questi rinunziare al conte Amedeo chiamato alla corona dagli stati generali, e ai successori di̟ esso, qualsivoglia diritto alla contea di Savoja, agli stati aggregali alla medesima, e al ducato di Aosta, ed Amedeo dal suo canto rimettesse al principe Filippo il Piemonte da Rivoli in giù, non che i suoi diritti su Chieri, Montosolo occupato dai Chieresi, sul luogo di Sammariva del Bosco e sugli altri luoghi tenuti dal marchese di Monferrato, e sul Canavese, esclusi per altro gli omaggi di questo marchese, e. di quello di Saluzzo, con condizione che Filippo e i fratelli suoi riconoscessero tutto questo in feudo dal conte di Savoja. Tale arbitramento essendo stato accettato dalle parti, ed avendo avuto l'approvazione dei prelati e dei baroni, il conte Amedeo V nel mese di gennajo del 1295 notificò con sue lettere alla città di Torino l'esito di quell'arbitra→

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mento, intimandole di riconoscere per suo signore il principe Filippo, il quale sul principio di febbrajo dello stesso anno, venuto a Torino ne ricevette solennemente il pos-sesso dal vicario di Piemonte, e da Ugo di La Rocchette a ciò delegati. Il novello Signore soggiornò parecchi giorni in questa città, i cui abitanti si mostrarono lietissimi di trovarsi sotto il regime di un giovane principe, da cui speravano migliori destini. Egli a richiesta dei signori Benedetto Alliaudi e Jacopo Giusti fece una una solenne ricognizione degli stati suoi, e da per tutto ricevette gli omaggi dei vassalli e dei comuni che in numero di diciotto a lui dovean giurare, e giurarono obbedienza; e in novero di sedici furono i casati de' vassalli che gli giurarono fedeltà; tra i quali si hanno principalmente a notare i Ro magnani, Piossaschi, ed i Lucerna. Filippo avendo scelto la città di Pinerolo pel luogo di sua residenza, vi si stabilì; diede subito ai Piossaschi di Scalenghe l'investitura dei loro feudi, e ne conservò i privilegi; emanò varii decreti che appalesarono com'egli, tuttochè ancor giovane, fosse già perito della pubblica amministrazione; liberò i Pinerolėsi dai diritti di pedaggio infeudati da Adelaide al monastero di Rivalta; procurò con niezzi acconci ed opportuni che la giustizia fosse bene e prontamente amministrata; provvide alla riscossione delle rendite pubbliche, alla difesa dello stato, ed aggiunse perciò nuove fortificazioni a quelle che già esistevano in Torino ed in Pinerolo persuaso che senza i buoni costumi e la rettitudine un popolo non può esser felice, fece decreti per istabilire e conservare fra' suoi sudditi la pubblica moralità; proibì alcuni giuochi, da cui provengono agevolmente le risse e gli omicidi: mercè di saggi ordinamenti strinse tutte le popolazioni a lui soggette con dolci vincoli d'amore, e le affezionò a se medesimo; sicchè esse non ebbero parte alle fazioni che in quella infelice età fecero strazio di altre regioni dell'italiana penisola.

In questo mezzo tempo il giovine marchese di Monferrato Gioanni I, cresciuto in età alla corte del re di Napoli Carlo 11, vedendo svanir le promesse che questi gli avea fatto da dargli in isposa la sua figliuola, si dipartì da quella

corte, e venne presso il conte di Savoja, che gli diede in consorte la propria figlia Margherita. Allora Gioanni I unendo i Monferrini rimastigli fedeli alle genti del Saluzzese, entrò nell'Astigiana, s'impadronì d'Asti, e l'abbandonò al sacco; poi fatta lega col conte di Lumello prese Novara, Vercelli, e Casale, cacciandone i Milanesi, di cui era capitano Galeazzo Visconti, figliuolo di Matteo.

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Il principe Filippo signor del Piemonte, appena venne a prendere il possesso di questa contrada, pensò ad ammogliarsi, e rivolse le sue mire ad Isabella, figliuola di Guglielmo di Villarduino, vedova del conte d'Annonia, erede del principato d'Acaja che gli ascendenti suoi avevano conseguito per frutto loro toccato nella crociata, in cui seguirono Balduino al conquisto di Gerusalemmes ma divenuti allora assai torbidi gli affari in oriente, la principessa Isabella erasi condotta a Roma, ove tranquillamente vivea sotto il patrocinio del papa Bonifacio VIII. Filippo nel settembre del 1295 spedì a Roma per cominciare le trattative delle nozze a cui aspirava un saggio ed accorto religioso de' frati minori di s. Francesco, il quale trovò il Papa molto bene disposto a favorire le sue pratiche; laonde il nostro principe nell'anno 1500, in cui dovea farsi nella capitale del mondo cattolico l'apertura del giubileo, vi si recò per ettenere più agevolmente e più presto il suo desideratissimo scopo. Vi andarono con esso lui il suo fratello Tommaso e parecchi nobili piemontesi, tra i quali Guglielmo di Mombello, e Pietro Braida; e nel febbrajo del 1501 si celebrò solennemente in Roma il matrimonio del nostro principe colla ridetta Isabella di Villarduino. Filippo I non potendo ancora mettersi nel possedimento del principato d'Acaja, recatogli in dote da Isabella, stette per allora contento ad assumerne il titolo.

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Reduce adunque in Piemonte, ed entrato in Torino, tutta la popolazione di questa città accolse lui e la novella sua sposa, accompagnati da un buon numero di nobili greci, colla più grande letizia, e colla maggior pompa possibile. Si fu in questa occasione che i sapienti di questa città, ossia i reggitori del pubblico, presentarono al principe di Piemonte e d'Acaja un memoriale pregandolo che volesse

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annullare la gabella del giuoco. Non ebbe Filippo alcuna difficoltà di annullarla, rinunziando volontieri ad ogni proprio interesse che tornar potesse in danno d'una città che se gli mostrava tanto ossequiosa: massimamente considerando le funeste conseguenze che nascevano dall'abuso dei giuochi d'azzardo, cioè frequenti bestemmie, aspre contese, furti e barbari omicidii. Frattanto non solo la popolazione di Torino, ma eziandio quella di Pinerolo, e degli altri luoghi del suo dominio, gareggiarono per festeggiare la venuta dei novelli sposi con ogni maniera di pubbliche dimostrazioni di esultanza e di affetto, volendo così corrispondere in qualche guisa alle amorevoli sollecitudini del loro signore. Giunto questi nel luogo principale di sua residenza colla virtuosissima sua sposa, vi si mostrò sommamente soddisfatto della splendida accoglienza che gli fu fatta e promise di adoperarsi per ogni modo, affinchè fossero prospere le sorti de' sudditi suoi. Concedette a Guglielmo signore di Mombello l'investitura del villaggio e del territorio di Frossasco; ed ordinò al signor Falchero Bersatori, che già erane investito, di conoscere quel feudo dal signor di Mombello.

Nello stesso anno 1301, egli deliberò di partirsene insieme colla sua sposa per l'Acaja, che era la più boreale delle sei provincie del Peloponneso. Ivi giunti felicemente gl'illustri conjugi, vi stabilirono la loro autorità, e colla forza delle armi, e collo spandere molto danaro la mantennero per qualche tempo; ma le angustie in cui si trovarono dappoi, il non aver potuto ottenere l'ajuto del debole imperatore di Costantinopoli, furono le cagioni per cui risolvettero di ricondursi in Piemonte.

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Prima che sen partisse alla volta di Acaja, il principe Filippo avea lasciato al governo del Piemonte un consiglio di reggenza il quale usava tostamente la sua potestà, rimettendo ad un Roberato, giudice di Moncalieri, una causa portatagli in appellazione dalla sentenza datane dal castellano di Vigone. Componevano quel consiglio il signor di Mombello, personaggio carissimo al principe, ed i nobili Guglielmo Provana giudice di Pinerolo, Faccio o Bonifacio Lardone signor di Vigone, Berrino o Perrino di Piossasco,

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