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Zaberto o Chiaberto di Lucerna, e Jacopo di Scalenghe, uomini, che tutti erano ben degni dell'alto incarico loro

commesso.

Verso il fine del 1504 il principe Filippo d'Acaja, insieme colla sua consorte, approdò a Genova; ed indi a non molto rivide i suoi diletti torinesi, e presto la devota popolazione di Pinerolo. Senza frapporre indugi si diede a ricuperare le terre perdute da' suoi maggiori; ma nell'esecuzione di tale suo divisamento non potè a meno d'incontrare grandi difficoltà, perchè il monferrino principe Gioannil proseguiva col Saluzzese e col Langosco le sue vittorie in questa contrada, e poscia insieme coi fuorusciti ghibellini del Monferrato, e dell'Insubria entrava trionfante in Milano, e scacciandone Visconti, vi rimetteva i Torriani al governo. Frattanto i guelfi Solari espulsi da Asti şi univano a Carlo II di Provenza, e al signore di Piemonte, che cercavano il modo di liberare la loro patria dalla prepotenza del Monferrino, e di rientrarvi senza contrasto. A tal uopo il principe Filippo mandò in loro ajuto un suo valoroso capitano, cioè Guglielmo di Mombello, che avendo seco un buon nerbo di truppe raccolte in Torino ed in Pinerolo, tardò a restituire in Asti i Solari, i quali nel gennajo del 1305 indussero i loro concittadini ad eleggersi a capitano il nostro principe Filippo almen durante lo spazio di tre anni.

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Circa l'anno 1507 il marchese Gioanni nella fresca elà di vent'ott'anni morì in Chivasso senz'aver avuto alcuna prole da Margherita di Savoja, e lasciò lo stato al nipote Teodoro, secondogenito di sua sorella Violante o Jolanda consorte di Andronico imperatore di Costantinopoli, Già da parecchi anni l'astro della prima dinastia de' marchesi di Monferrato si andava ecclissando; e massime dacchè Guglielmo VII arrestato dagli Alessandrini, e rinchiuso in ergastolo di legno, donde non valse interposizione di Principi e del papa Nicolò IV a liberarlo, ivi in pochi mesi finì miseramente la vita.

Subito che il marchese Gioanni I cessò di vivere, il saJuzzese Manfredo IV manifestò le sue pretese sulla marca monferrina, e col favore di alcuni ghibellini cominciò pren

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dere il possesso di una gran parte delle terre monferratesi; e per conseguire gli ajuți del conte Amedeo V di Savoja, gli restituì i castelli di Lanzo, Caselle e Ciriè, e nel dì 27 d'agosto del 1505 gli fece omaggio delle due marche di Saluzzo e di Monferrato. Il re di Napoli Carlo vedendo Manfred o IV grandemente cccupato a impadronirsi delle terre monferrine, profittò dell'occasione per ripigliargli Val di Stura, Cuneo e Fossano.

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In questo frattempo il principe Filippo d'Acaja entrò in Asti, ove fu accolto con grandi testimonianze di ossequio. Poichè era egli stato creato capitano di questa città per tre anni, nella sua smisurata ambizione si propose di avere la signoria di quel ricchissimo e fiorente comune, pensando, che dopo la morte del marchese Gioanni, che era il più possente degli emoli suoi, avrebbe potuto colorir facilmente. quel suo disegno. A tale scopo stipulò col re di Provenza un trattato di lega; e quando vide che Manfredo trovavasi angustie tra la conquista del Monferrato, e la difesa della propria marca, gli occupò le terre tra la Dora di Torino e lo Stura, cioè Baratonia, Varisella, s. Gillio, Monastero, Ceronda, Balangero, Ciriè, Barbania, Fiano, e poi Chivasso, Leyni, s. Raffaele e Gassino; ma i provenzali stando contenti ai loro acquisti, non concorsero guari a quelli del Principe, che perciò si volse al conte zio, e fece con esso un trattato di lega, il quale per altro fu disciolto assai presto dal conte; onde Filippo offerì gli stessi patti al signor provenzale colla cessione di molte delle sue terre, e tali patti furono da lui accettati. =

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Poco di poi Teodoro secondogenito di Andronico Comneno Paleologo imperatore di Costantinopoli e di Jolanda, sorella dell'ultimo marchese Aleramico Giovanni 1, venne colle greche e genovesi milizie, e con quelle di Pavia e di vari paesi monferrini nella nostra contrada, ed arrivò nel dì 11 di settembre del 1506 a Casale, ove convecò un general parlamento; e senza indugi mettendosi col suo esercito a ricuperare le terre del suo marchesato, ebbe vari prosperi successi, i quali sconcertarono i disegni del sabaudo Filippo, che in quest'occasione si trovò in grande imbarazzo: da un canto egli come capitano d'Asti dovea combattere a vantaggio

di Teodoro, che al primo suo giungere in Monferrato avea saputo farsi benevoli gli Astigiani, e dall'altro non poteva offendere i Provenzali, con cui avea poco innanzi rinnovata l'alleanza. Il suo dubbio contegno spiacque sommamente al comune d'Asti, e spiacque eziandio ai Provenzali, che nel 1508 più non concorsero alle imprese di lui, sicchè non potè far altro, che occupare Settimo Torinese e Rocca di Corio. Terminava in quest'anno il suo capitanato d'Asti, e non ne riceveva la conferma; onde gli veniva meno la speranza di acquistarne la signoria, che era stata l'oggetto delle ardentissime sue brame.

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XXXVII.

Arrigo VII viene a Torino: i cittadiui gli prestano l'omaggio di
fedeltà: i nostri Principi lo ajutano nell'impresa d'Italia, e ne sono
rimunerati.

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Nel lungo interregno dopo la morte di Federico II sino alla morte di Alberto d'Austria re de' Romani tanta fu l'indipendenza delle città d'Italia, tante le rivoluzioni, i tumulti, le guerre, che parve affatto estinto l'italico regno, quasi che non avesse mai più a ristabilirsi. Varii principati formaronsi perciò in questo intervallo. L'imperatore Rodolfo avea pressochè abdicato il dominio d'Italia; ed anzi inviò quindi il suo cancelliere a far traffico della giurisdizione dell'impero: si sa che i comuni erano avvezzi a vivere senza freno ; che si esacerbavano le fazioni de' guelfi e de' ghibellini, ma che esse più non combattevano nè per l'Imperatore, nè pel Papa, e che niuna fissa idea era più attaccata al nome di coteste fazioni, se non era l'ambizione particolare di ciascun comune e la mania de' faziosi favorita dall'anarchia tumultuosa del popolare governo. Così l'Italia era perduta ugualmente pel Papa e per l'Imperatore, senza che gli Italiani fossero più in grado di resistere ad una vigorosa sorpresa dell'uno o dell'altro. La società de' Lombardi era disciolta, perchè era cessata la causa per cui si formò. Dopo il lungo interregno, e dopo che gl'Imperatori più non venivano con forti eserciti nell'italiana contrada, i comuni perdettero il timore di essere soggiogati dall'impero, ed i più potenti fra di essi ed

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i più audaci baroni e principi non pensavano che ad opprimere i più deboli; ma or finalmente le cose cangiano di aspetto.

Appena Alberto d'Austria re dei Romani rese l'anima a Dio, il re di Francia Filippo pensò a rimenare nel suo casato quella dignità, che da quattro secoli era uscita di mano ai Francesi, e coll'autorità di papa Clemente V suo dipendente s'immaginò che fosse per riuscirgli agevol cosa il far eleggere all'imperio Carlo di Vallois suo fratello. Per questo effetto deliberò di recarsi in persona a trattarne col Papa. Siccome alla corte di Avignone, ove risiedeva Clemente V, si ebbe l'avviso di questa venuta del re di Francia e di Carlo suo fratello, così ebbesi anche subito il sentimento della vera intenzione che avevano essi. Il cardinal da Prato, ristretto a segreto consiglio col Papa, gli dimostrò di quanta importanza fosse l'impedire che l'imperio cadesse in mano de' reali di Francia, i quali, ove alle forze che già tenevano per sè, avessero unita la dignità imperiale, potevano assai di leggieri spogliar la Chiesa romana degli stati che possedeva, ed occupare l'intiero dominio d'Italia; lo persuase a mandare immantinente lettere e bolle segrete agli elettori d'Alemagna, perchè subito eleggessero a re de' Romani il conte Arrigo di Lucemburgo. Segui l'effetto secondo l'avviso dell'astutissimo cardinal da Prato, e le mire dei Francesi andarono a vuoto per questa volta. Il conte di Lucemburgo, chiamato fra i re ed imperatori Arrigo VII, era principe di poco stato, epperciò volse l'animo alle cose d'Italia, dove, se gli riusciva di suscitare gli antichi diritti dell'imperio vrebbe potuto stabilirvisi e formarsi un bel regno. Il conte Amedeo V suo cognato, che colle sue negoziazioni avea contribuito a riunire i suffragi degli elettori di Alemagna in favore di esso, lo persuase a venire quanto prima in Italia; ed il novello re dei Romani, che già era stato incoronato in Aquisgrana, si dirige verso le alpi passando a Vevai ed a Geneva, ov'è magnificamente accolto. Giunto a s. Giovanni di Moriana, molti prelati e baroni raccoltisi in quella cattedrale confermano l'elezione sotto gli auspizii di Amedeo V, che erane stato il principal promotore. Il Botero, ed altri dopo di lui, narrano che Arrigo VII, giunto alla som

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mità delle àlpi, in un sito donde cominciavasi a veder l'ltalia, mise ginocchio a terra, e con gli occhi rivolti al cielo pregò Iddio che lo proteggesse nel pericolo a cui andava esporsi in mezzo alle rabbiose fazioni de' guelfi e de' ghibellini. Amedeo, che gli era vicino ed intese quella preghiera, francamente gli disse, che il più sicuro mezzo di scampar salvo dal pericolo ch'egli temeva, era di non pigliar impegno nè per gli uni, nè per gli altri. Il primo rinforzo importante che Arrigo trovò per farsi strada all'acquisto del regno italico e della corona imperiale gli venne dai principi di Savoja. Amedeo V e Filippo principe d'Acaja non si erano mai mostrati fervidi ghibellini, nè ciecamente abbandonati a seguir l'aura incostante e pericolosa di parte guelfa; ma procurarono sempre di mantenere una certa egualità tra'due partiti, ed impedire che l'uno non opprimesse affatto l'altro. E vedendo ora, che sotto nome di parte guelfa i re di Napoli tendevano a signoreggiar l'Italia, il conte Amedeo, di concerto con Filippo suo nipote, signor del Piemonte, secondò lietamente le mire d'Arrigo affine di liberar sè ed i suoi dalla soggezione degli Angioini, dei quali ben conoscea le intenzioni. Ed invero il re di Napoli Roberto, appena seppe che lo eletto re de' Romani scendeva in Italia, passo in Piemonte, occupò la piazza di Cuneo, s'impadronì delle valli che sboccano a quella piazza, si avanzò co' suoi Provenzali e Napoletani nel Monferrato, nè tralasciò d'invitare i Genovesi a collegarsi con lui, come capo de' guelfi, del cui partito era per l'ordinario quella repubblica. Ed ecco in mezzo a cotesti negoziati, ai progressi ed ai tentativi del re Roberto, arrivare in Torino Luigi di Savoja, barone di Vaud, coi vescovi di Basilea e di Coira', con carattere di ambasciadori del re de' Romani, mandati a doinandare prestazione d'omaggio e di fedeltà al re Arrigo, che già era in via per venir a prendere la corona, a cui era invitato anche dal papa Clemente V. Gli stessi ambasciatori, per lo stesso motivo, si recarono in Asti, in Alessandria, e quindi a Genova. Fratianto Arrigo, accompagnato e consigliato costantemente dal conte di Savoja e dal principe d'Acaja, venne a Susa con la maggior sicurezza che potesse desiderare, a vendo ai fianchi il signor del paese, che era il conte Ame

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