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deo stesso; e giunse quindi quasi in trionfo a Torino, i cui cittadini furono i primi a giurargli fedeltà.

Era il giorno 30 d'ottobre del 1310, quando Arrigo entrava in Torino; veniva preceduto da due mila uomini a cavallo armati di tutto punto, in gran parte Germani, ed in parte anche Savoini; sessanta di questi portavano altrettante piccole bandiere di serico drappo sottilissimo, aventi la croce bianca in campo rosso. Il Re, il conte Amedeo, il sire di Vaud, Pietro di Savoja e parecchi baroni lucemburghesi e savojardi, che facean corteggio al Re ed al conte, erano a cavallo; e siedevano in isplendido cocchio Margarita di Brabante moglie di Arrigo, e Maria sorella di essa regina, e seconda moglie di Amedeo V. Andò subito a complirlo il buon vescovo Tedisio insieme col suo capitolo, ed ebbe dal novello Re la più cortese accoglienza, massimamente perchè il conte Amedeo gli avea fatto di questo prelato molti elogi; ed è forse per ciò che Tedisio volle, per gratitudine, dar termine ad un lungo litigio, rinunziando al conte Amedeo. il dominio sopra Lanzo e sopra le valli di questo nome, riservandosi solo il diritto delle decime; il quale diritto confermò al predetto conte in Ciriè nel mese di dicembre del 1510. Re rimase con sua grande soddisfazione alcuni giorni in Torino, manifestando il suo vivissimo desiderio di comporre le inveterate discordie tra i grandi vassalli d'Italia e tra i cittadini di uno stesso comune, cacciandone all'uopo i capi più turbolenti delle fazioni. Da questa città il Re, accompagnato da Amedeo V, andossene a Chieri tanto più di buon grado, in quanto che avea già ricevuto in Torino un donativo di cento marchi d'argento dagli ambasciatori del popolo e dei militi chieresi. Prese alloggio in Chieri nella casa di Ardizzone Broglia; ivi regolò gli affari della città, mise d'accordo i nobili d'Albergo con la società di s. Giorgio, che sovente erano in discordia: si mostrò soddisfatto della chierese popolazione, che un dì se gli presentò in sulla piazza di Mercadillo con dimostrazioni di molta riverenza vi deputò a suo vicario un Ugolino di Vichio da Firenze, e gli commise di fare gli statuti per questo comune di concerto con altri cinque sapienti. Di qua si condusse colla sua comitiva in Asti, ove fu ricevuto senza apparente ripuguanza ;

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e come in città d'aria salubre, comoda e doviziosa, si fermò ben due mesi. Andarono colà ad offerirgli obbedienza ed omaggio gli ambasciadori di quasi tutte le città di Lombardia, e con essi i marchesi e conti della Liguria, Palavicini e Malaspini. Questi ambasciadori e principi italiani, non che i prelati ed i baroni venuti col novello re di Germania, formarono in Asti un numeroso parlamento. Vi si trattarono gli affari e si discussero gli interessi di varii Principi e po poli non solo di Lombardia, ma di Toscana, di Romagna, e massimamente di que' luoghi, dove Roberto re di Napoli, succeduto poco prima a Carlo II, pretendeva e cercava di dominare.

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Dalle decisioni del parlamento raunato in Asti, e dalla cancelleria o dalla bocca propria del buon Monarca dipendeva il ristabilimento di Matteo Visconti nel posto, donde era stato sbalzato da' suoi nemici. Questo Principe, forse invitato per ordine del Re stesso, venne a presentarsegli, e fu sì bene accolto, e talmente dal conte di Savoja assistito e protetto, che tosto potè rientrare in patria, ed essere rimesso. nella condizione e nello stato di prima. Il Re, disposto a recarsi a Milano in vece di passar prima a Pavia, dove Filippone conte di Langosco lo aspettava, si condusse da Asti a Casale in Monferrato, che guardavasi come città libera. Di là passò a Vercelli, dove gli venne fatto di pacificare le due primarie ed emole famiglie degli Avogadri e de' Tizzoni. Parimente passando a Novara procurò di rimettere in concordia ed in ugual condizione i Brusati ed i Tornielli, gli uni guelfi, e gli altri ghibellini. E così in queste, come nelle altre città dove era entrato, ed in quelle che lo riconobbero come sovrano, mise suoi vicarii. Nell'avvicinarsi a Milano il corpo di cavalleria, che al suo arrivo in Torino non era che di due mila uomini, erasi già tanto ingrossato, che ascendeva a sei mila guerrieri: i principali milanesi vennero a fargli corte ed a mostrarsi pronti ad ubbidirlo e servirlo. Ordinate le cose nella capitale dell'Insubria, Arrigo, già coronato re d'Italia, andò a Genova, ed anche in quella superba capitale della Liguria procurò di metter pace e qualche concordia fra i due opposti partiti dei Doria e degli Spinola ghibellini, e de' Fieschi e Grimaldi, ch'erano del

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guelfo partito. Si fu in quella città, che trovò modo di rappattumare i due marchesi di Monferrato e di Saluzzo; e si fu per questa riconciliazione, che il marchese di Saluzzo ebbe da quello di Monferrato in feudo i luoghi di Mombarcaro e Camerana, non che la cessione de' di lui diritti nei territorii d'Alba, Cortemiglia, Dogliani, Monchiaro ed Ormea.

Per operare e mantener la concordia tra le famiglie ghibelline e le guelfe di Genova, volle Arrigo VII aver la signoria della città; e fu quella la prima volta che Genova, incontestabilmente repubblica, diede il dominio sovrano ad un principe straniero. Partì poi da quella città la corte imperiale afflitta per la morte della regina Margherita. Il conte di Savoja Amedeo V, Filippo principe d'Acaja e Luigi barone di Vaud, che dal primo arrivo dell'Imperatore a Susa ed a Torino l'avevano consigliato e servito, seguitarono ad accompagnarlo nel suo viaggio per alla città di Roma. In Pisa soprattutto i sabaudi Principi gli furono utili consiglieri, e dovunque s'incontrò qualche opposizione gli furono valorosi campioni. Tutti e tre assistettero alla cerimonia dell'incoronazione, che fu eseguita in Roma da due cardinali a ciò delegati da Clemente V, che risiedeva in Avignone. L'opera del conte Amedeo giovò ancor grandemente a tener quieta e sommessa quella gran città, malgrado l'inclinazione abituale del popolo a tumultucse sollevazioni. Si è in quell'occasione, che il novello Imperatore, il quale sommamente apprezzava la saggezza, i lumi ed il valore del nostro conte Amedeo, disse ai circostanti: Questo Principe è un astro luminoso, i cui raggi riflettono sull'imperiale mio trono ». Arrigo, per dar prove ad Amedeo della sua riconoscenza, conferi a lui e a' suoi discendenti la signoria d'Asti con un diploma onorifico spedito in Firenze addì 8 marzo del 1512. Ripassando per Pisa gli riconfermò e rinnovò l'investitura della contea di Savoja, del ducato del Ciablese e d'Aosta, come pure la dignità di marchese d'Italia. Pochi giorni dopo che fu segnato questo diploma in favor del conte di Savoja, ivi dichiarato signore di Torino e del Piemonte, emanò eziandio un editto fulminante, che mise al bando dell'imperio sei città del Piemonte e del Monferrato, le quali dopo aver l'anno avanti giurato fedeltà all'Imperatore, gli si erano riDizion. Geogr. ec. Vol. XXII.

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bellate durante il suo viaggio di Roma, ed eransi dichiarate confederate e suddite del re Roberto. Arrigo ed il conte di Savoja ebbero allora la consolazione di vedere, che la città di Torino, serbando la fede del suo giuramento, erasi conservata nella devozione al novello re ed imperatore. Quelle sei città, in virtù del bando di Arrigo, furono condannate a pagare alla camera imperiale una multa proporzionata al potere, e al delitto di ciascuna di esse. Il che giova qui notare come prova assai manifesta della grandezza e delle forze loro. Asti dovea pagare dieci mila libbre d'oro; Pavia, che fu compresa in questo bando con le città piemontesi, dovea pagarne otto mila, Vercelli sei mila, Alba due mila, Alessandria quattro mila, Casale mille libbre ed altrettante Valenza. Ma tutte queste città non ebbero a penar gran fatto per essere sciolte dall'obbligo e liberate dal carico onde si sentivano gravate dall'Imperatore già tanto benigno, ed ora così fieramente sdegnato contro di esse. Arrigo col suo corteggio e colla sua numerosa cavalleria partito di Pisa nell'estate del 1313 per tornarsene in Lombardia e di là in Alemagna, giunto a Buonconvento presso di Pisa nel dì 24 d'agosto, fu colto da perniciosa febbre terzana, che in breve lo tolse dal numero dei viventi. I più de' Tedeschi si avviarono subito al loro paese; si afflissero per la morte di Arrigo tutti i ghibellini toscani e lombardi, ed altrettanto se ne rallegrarono i guelfi, massimamente in Lombardia ed in Piemonte.

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Veramente niun imperatore dopo Ludovico fl, mancata la stirpe di Carlo Magno, fu, secondo le apparenze, più vicino a signoreggiare al tutto il paese d'Italia; nè giammai alcuno vi aveva portato maggiori disposizioni per riunire e far un solo di tanti stati. Egli era valoroso, risoluto nelle imprese di guerra, e ad un tempo era amantissimo della pace e della concordia. E dove si trattò di mettere accordo nelle città divise in fazione, premeva costantemente su questa massima, che bisognava perdonare e dimenticar le passate ingiurie. Con la qual massima s'egli fosse restato presente in Italia, avrebbe potuto metter fine e calmare in gran parte le discordie e le rabbiose sette che travagliavano le città; e tale mostrò essere sua intenzione. Del resto, com'egli non aveva grande stato in Alemagna, avrebbe sicuramente fermato il

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suo soggiorno in qualche italica città, unico mezzo di mantenerle tutte unite. E quella di Torino ne avrebbe ricevuto grandissimi vantaggi, sì perchè essa era stata la prima a giurargli fedeltà e si conservò poi sempre a lui devota, e sì anche per la benevolenza sua verso i nostri Principi, da cui Arrigo ricevette segnalatissimi servigi. Ma con tutte le ottime disposizioni ch'ebbe questo Imperatore, e col suo fervido desiderio di riunire gli animi discordi degli Italiani l'effetto di sua venuta fu questo, che vi lasciò più confusione, più dissidii e più cattivi umori, che prima nen fossero. Il che nacque parte dall'aver lui con troppa precipitazione rimessi nelle città i fuorusciti, parte dall'estremo bisogno che avea di danari, il quale lo costrinse a vendere í vicariati a persone incapaci o indegne; onde spesso in vece di guardiani della libertà lasciò, come dice il Villani, despoti e tiranni; al che si arroge, che la sua morte subita e repentina non gli permise dia dar compimento a' suoi generosi disegni.

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XXXVIII.

Fatti biasimevoli e fatti laudabili di Filippo d'Acaja; Torino prova
gli effetti degli uni e degli altri. I Torinesi accolgono splendida-
mente Gioanna di Savoja novella imperatrice di Costantinopoli, e
poi il re Gioauui figlio di Arrigo VII.

Cinque mesi prima della sua morte, Arrigo, come già si accennò, aveva per diploma investito Amedeo V della contea d'Asti, considerata nell'estensione dell'antica sua diocesi; ma siffatto diploma riuscì per allora inutile; perchè la possente fazione dei Solari, che dominava in Asti, diede, il 4 d'a gosto del 1313, quella città piuttosto al guelfo re Roberto, che al conte di Savoja e al vicino principe Filippo. Quella donazione fatta ad Amedeo V, non ebbe il suo pieno effetto che due secoli dopo, cioè quando fu rinnovata dall'Imperatore Carlo V.

Riusciva più felicemente ai sabaudi principi un altro diploma, con cui il ridetto Arrigo li investiva d'Ivrea, e del suo contado, che pigliò poi il nome di Canavese. Il partito de' Soleri che era dominante in Ivrea, ottenne che questa

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