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città spontaneamente si desse, il 24 settembre 1313, al conte Amedeo V, e al di lui figliuolo Edoardo, anzi che al marchese di Monferrato che si adoperava con ogni mezzo per averne il dominio. In quanto al principe Filippo si dee osservare che anch'egli veniva favoreggiato dall'Imperatore Arrigo VII, che lo facea vicario imperiale per Vercelli, Novara e Pavia; ma l'ambizione smisurata di allargare la propria signoria lo sospinse a far cose, per cui l'Imperatore, disgustatissimo del suo procedere, accusandolo d'ingratitudine, gli comandò di rilasciare al conte Amedeo V i castelli da lui tolti agli Astigiani ed ai Provenzali. Filippo non obbedì; cercò di fortificarsi con alleanze, e dopo la morte dell'Imperatore mise in campo varie pretese a danno di quel conte, e volle far rivivere i diritti di suo padre Tommaso III alla corona di Savoja. Tutte le sue mene furono per tempo conosciute ad Amedeo V, il quale prevedendo i pregiudizii che ne sarebbero derivati ad entrambi, propose che le loro differenze fossero diffinite per mezzo di un arbitramentale giudizio: gli arbitri a ciò eletti di comune accordo riunitisi nella chiesa de' ss. Martiri di Alpignano pronunziarono una sentenza che fu dalle parti accettata. Dopo ciò i due principi conchiusero un trattato di alleanza contro il comune nemico Roberto re, al quale trattato si accostò eziandio il marchese di Saluzzo.

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Appena ciò seppe Teodoro di Monferrato, collegossi con iVisconti, i quali combattendo i Provenzali già si promettevano la signoria d'Italia. Frattanto il Saluzzese, e Filippo d'Acaja guerreggiarono parecchi anni contro le provenzali truppe con indicibile guasto delle terre di ambe le parti, ed anche dell'agro torinese; ma senza frutto veruno; sicchè il marchese di Saluzzo si ritirò dalla lotta. Filippo sospinto sempre dall'ardente cupidigia di estendere i proprii dominii, per non rimaner solo a pugnare, propose al Visconti una lega, che il 19 d'agosto del 1318 fu stipulata in Lombriasco: per buona sorte le ostilità che ne conseguitarono, accadendo nel Milanese, pel corso di due anni il Piemonte potè godere di una qualche tranquillità.

Il conte Amedeo non avea più visitato questa contrada dopo il 1314; perchè era egli partito per l'impresa dell'i

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sola di Rodi tenuta dagli Ottomani; giungeva per altro una volta nel nostro paese il di lui figliuolo Odoardo con du-, cento cavalli in ajuto di Filippo. Il conte Amedeo V di ritorno in Europa presentossi al Papa in Avignone per la pace ch'ei trattava tra esso e il Delfino, ed ivi gravemente infermatosi, morì il 16 d'ottobre del 1523 in casa del cardinale Luca Fieschi. Il principe Filippo mettendosi ed accarezzare il luogotenente generale del re Roberto, ne ottenne in feudo parecchie città e terre subalpine; ed invadendo poi il contado d'Ivrea, s'impadroni di Chivasso, obbligò gli abitanti a giurargli la fedeltà; sicchè i possenti Biandrati di s. Giorgio se gli sottomisero per varie loro castella nel Canavese. Se non che il marchese Teodoro iva cercando il modo di far divertire le armi del principe d'Acaja suo nemico; e gli altri vicini potentati erano anche stizziti contro questo Principe che nulla lasciava d'intentato per soverchiarli. E diffatto tentò molte belliche imprese contro i potenti, che dominavano intorno i paesi da lui posseduti ; fece con essi talvolta trattati di lega, e nella sua instabilità facilmente rompendoli, si rendette odioso a quelli, con cui erasi confederato.

Ciò non di meno era egli fornito delle precipue doti che. costituiscono un buon reggitore di una nazione, e generalmente i suoi sudditi, ed in ispecie i Torinesi che non aderivano alla fazion ghibellina, lo riverivano, e grandemente lo amavano, perchè sapeva affezionarseli con frequenti atti di munificenza, e coll'adoperarsi per loro procacciare quella maggiore prosperità che si potesse in tempi di discordie, di risse e di orribili nefandità: intraprese energicamente a riformare i costumi delle popolazioni a lui soggette, ed in gran parte oltenne il suo scopo; nel 1328 raccolse in Pinerolo, luogo di sua residenza, gli ambasciadori di Torino e di tutti gli altri comuni, che da lui dipendevano, ed emanò una legge sontuaria. Siffatta legge per altro acconsentendo alle donne patrizie quello che vietava alle semplici cittadine, e tendendo perciò a far manifesta la differenza di grado in un sesso, in cui è prepotente l'amore dell'uguaglianza, non potè mai produrre, massime in Torino, un effetto che rispondesse alle intenzioni del legislatore; pe

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rocchè vietato un adornamento se ne trovava un altro più
caro; e presto gli uffiziali destinati a quest'uopo stancaronsi-
di fare inquisizione sopra tal materia contro un sesso
tanto ingegnoso in trovare amabili inganni.

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A miglior fine riuscirono i decreti del principe d'Acaja, che miravano alla sicurezza di Torino, dél luogo principale di sua residenza, e di tutto lo stato. Persuaso che i provvedimenti militari si compiono meglio e più securamente in tempo di pace, che quando fervono le ostilità, colse i momenti, in cui si godeva un po' di calma, e ordinò a tutti. i comuni di apprestare sollecitamente armi, e tutti quei mezzi di difesa, che fossero atti a resistere a qualsivoglia tentativo de' suoi nemici; e presto vedremo come le milizie torinesi, unite a quelle di Chieri e di Pinerolo, non solo tennero lontani i nemici, ma riportarono sovr❜essi uno splendido trionfo.

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Nel 1325 le città di Torino e di Pinerolo furono rallegrate per la presenza della novella sposa dell'Imperatore dei greci Andronico Paleologo: avea questi spedito i suoi ambasciatori, che in agosto di quell'anno approdarono a vona per chieder la mano di Gioanna di Savoja, figliuola del conte Amedeo V. In questa occasione il principe Filippo mandò ad incontrare quegli ambasciatori a Dogliani il nobile Arrigo di Gorzano, ed altri sette distinti suoi sudditi. It matrimonio fu per mezzo di procuratore celebrato addì 27 di settembre: l'augusta sposa con grande seguito di gentildonne postasi in viaggio, giunse a Torino, ed indi a Pinerolo: in entrambe le città fu dagli abitanti accolta con molte dimostrazioni di allegrezza: e il principe d'Acaja nulla omise per festeggiarne l'arrivo: urbane milizie e nobili piemontesi si unirono ai Savoini per far corona all'imperatrice Gioanna, che lasciò nei nostri paesi luminose tracce della sua generosità massime verso gli indigenti.

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Pochi anni dappoi la città di Torino, e tutte le altre città di Piemonte, e di Lombardia furono sorprese all'annunzio dell'impensato arrivo in Italia di Gioanni re di Boemia, figliuolo dell'imperatore Arrigo VII, il quale non si seppe mai bene se fosse venuto o per secreto consiglio di Ludovico il bavaro, o del Papa, o d'accordo con loro, ovvero · per

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altro nuovo accidente. Si sa per altro ch'egli appena giunto
nei confini di Lombardia, ebbe in poco tempo gran seguito
e si trovò quasi in istato di gareggiare col re Roberto, che
già da vent'anni aspirava alla monarchia universale d'Italia,
Appena s'intese che il re Gioanni era pervenuto in Carinzia
(1350), i Bresciani mandarono incontanente ambasciatori ad'
offerirgli il dominio della loro città, ed egli accettando l'of-
ferta, mandò a Brescia con gli stessi ambasciatori trecento
suoi cavalieri a pigliarne il possesso. A Bergamo, di cui
una fazione potente gli offerì pure il dominio di quella
città, spedì subito trecento Tedeschi, che ne cacciarono
fuori la parte contraria. Queste mutazioni di Brescia e di
Bergamo accaddero verso il fine del 1550; e non passarono
i primi mesi del seguente anno, che il Re boemo fu rice-
vuto e riconosciuto signore in Milano, Pavia, Novara, e
Vercelli. Gli si diedero anche Parma, Modena, Reggio, e poi
Lucca. In quest'ultima città, sul principio di marzo del 1131,
spedi a governarla in suo nome un personaggio distinto con
ottocento Tedeschi. Questo rapido esaltamento di un Re
straniero, che senza colpo di spada ebbe tante città a sua
divozione, fu per l'Italia una singolar novità, e diè motivo
a molti ragionamenti, mentre ancora non si sapeva qual
fosse l'animo del Pontefice e del re Roberto intorno a sif-
fatti avvenimenti. Ma dopo qualche tempo si cominciò for-
temente a sospettare, che il re Gioanni d'accordo col legato
del Papa, ch'era Beltrando del Poggetto, volesse signoreg-
giare con assoluto arbitrio tutta l'Italia. In questo mezzo il
Re boemo deliberò di venire a Torino, e recarsi quindi in
Avignone a concertare col Pontefice sugli affari d'Italia.
Venne egli diffatto nel nostro paese. Era il giorno 22 di
gennajo del 1555, quando egli entrò in Pinerolo per ivi
abboccarsi col principe Filippo: furono splendidi i festeg-
giamenti eseguitisi per onorarlo. Il principe d'Acaja albergò
nel suo castello l'ospite augusto, e trecento baroni, che
viaggiavano con esso lui: scrisse intanto dal castello di
Miradolo al vicario di Torino, affinchè facesse tosto i pre-
parativi necessarii a ricevere degnamente quel Re e l'eletta
sua comitiva, ordinandogli che il castello di Torino servisse
di stanza al Monarca, e il palazzo vescovile si preparasse

per alloggiare i gentiluomini che gli erano compagni di
viaggio. Rimasto poco tempo nella nostra capitale andossene il
Be per la via del Moncenisio in Francia, non senza il disgusto
Re
di non aver ottenuto la dedizione di questa città, e nè anche,
conseguito che il principe d'Acaja gli promettesse di se-
condare i suoi disegni sopra Milano, e sull'intiera Lombardia;
perocchè i principi di Savoja, oltre i rispetti di parentela
che li obbligavano a non consentire alla rovina di Azzo
Visconti, cui il re di Boemia cercava di spogliar dello stato,
conoscevano ancora che, abbattuto il Visconti, anche To-
rino e gli altri paesi del Piemonte sarebbero restati alla
mercede e alla discrezione de' Boemi. Comunque ciò sia, la1
cosa andò pur così, che la potenza del re di Boemia, ac-
quistata in Italia con tanta celerità, non si sostenne lungo
tempo.

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Nella primavera dello stesso anno 1333 si formò una lega. contro il principe d'Acaja, il quale per altro essendo uomo accortissimo e solerte, mandò a vuoto i disegni de' suoi avversarii; e potè continuare la guerra nel Canavese contro Teodoro di Monferrato, il quale non ommise di procurargli, nuovi nemici; ed i primi a secondarne i disegni furono gli Astigiani, che in grande numero, sul finir di settembre. del 1535, si appostarono tra Poirino e Truffarello presso la rocca di Tegerone; ed ivi, il 7 del seguente ottobre, gli presentarono un combattimento. Il sabaudo Principe colle milizie dei comuni a lui soggetti, e massimamente con quelle di Torino, di Chieri, e di Pinerolo riportò sui nemici una compiuta vittoria; e quattro giorni dopo ritiratosi a Vigone, spedì i nobili Pietro Bersatore, e Gioachino Provana a raccogliere i prigionieri fatti in quella memoranda giornata, i quali stavano qua e là rinchiusi in carceri di varii comuni, ordinando ad ogni suo suddito di obbedire a quanto avrebbero imposto su di ciò que' due suoi messaggeri. Poco tempo innanzi a questo trionfo avvenne un fatto che vediam riferito da due scrittori delle cose nostre, e che non vuolsi tacere. Le milizie torinesi fecero col principe Filippo una spedizione contro Pavia, la quale in pochissimi giorni felicemente riuscì. Cagione di quest'armamento fu che l'anzidetto Principe, il quale dall'imperatore Arrigo VII

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