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era stato costituito vicario imperiale di Pavia, avea fatto molte spese a benefizio de' Pavesi, ora assoldando truppe a loro difesa, ed ora provvedendoli di vittovaglie, quando dagli eserciti nemici erano manomesse le loro campagne. Ora Filippo vedendo come la città di Pavia lo ricambiava d'ingratitudine, mosse a quella volta con buon nerbo di torinesi truppe, e appena giunto presso le mura di quella città, i dreggitori di essa affrettaronsi a chieder la pace, che subito fu loro conceduta, perchè gli pagarono senza indugi la somma di tredici mila fiorini d'oro. Ritornati da quell'impresa i Torinesi, cominciò questa capitale ad abbellirsi nella nuova costruzione delle case, e nella miglior simmetria denagli edifizii, mercè della liberalità del principe Filippo, che volendo rimeritare le assistenze di questo comune, che gli forni subito le sue milizie contro Pavia, volle investirlo di alcuni diritti di regalia, e di alcuni emolumenti del prindcipato, che sembrano pregi indivisi della corona. Godeva la città di Torino in comune col suo sovrano la gabella del sale, quando nel 1530 il principe Filippo le rinunziò la sua porzione, e diede ad un tempo ai Torinesi la facoltà di poterne vendere ciascuno a suo talento. Altri privilegi concedette pure a questo comune, riserbatosi solamente un

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annuo censo.

Ora i nemici di Filippo, a malgrado della sconfitta ch'ebbero presso il castello di Tegerone, rannodaronsi ancora tre volte a danni di lui; ed infine si conchiuse una nuova confederazione, del cui esito parleremo qui appresso; e diciamo intanto che Filippo ebbe cura di confermar l'alleanza già fatta coi baroni canavesani, e che durante due mesi tenne stretto d'assedio il forte luogo di s. Giorgio, i cui signori se li mostravano avversi, ed infine che egli fatto consapevole del prossimo arrivo di un grosso corpo di Monferrini, e dei loro alleati, diede quel borgo alle fiamme, e subitamente levò il campo.

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XXXIX.

Un'orribile congiura, ordíta dai ghibellini torinesi contro il principe d'Acaja, è sventata. Il vescovo di Torino Guido II estirpa in questa città un vizio sommameute nocivo.

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I marchese Teodóro di Monferrato non solo avea trovato modo di distaccare dall'alleanza del principe d'Acaja il marchese Federico di Saluzzo, che mentre ancor viveva il suo genitore, erasi fatto padrone dello stato saluzzese; ma con un trattato del 21 di giugno del 1333 se lo fece amico, nè a ciò stando pago, ricorse al tradimento, e ottenne che i ghibellini di Torino ordissero una fiera trama contro il Principe sabaudo. Alla testa dei ghibellini torinesi trovavasi Gioanni Zucca prevosto del duomo, il quale, ponendo in non cale i doveri che incombono ad un sacerdote costituito in dignità, nutriva pensieri ambiziosissimi, e non cessava dal procurare che si accrescesse la ghibellina fazione a danni del Principe. Il marchese Federico, essendo molto bene informato delle ree qualità del preposto Zucca, concepì la speranza, che per mezzo di lui avrebbe potuto colorire il suo perfido disegno; gli spedì adunque a Torino una lettera per invitarlo a recarsi secretamente da lui. Lo Zucca vi si recò; e avuta da Federico la promessa di un vescovado, lo rese certo, che avrebbe introdotto le truppe di lui in Torino per una delle porte di questa città. Cinquecento lancie saluzzesi giunte alla porta Palazzo di Torino, che era quella stata designata dallo Zucca a Federico, l'avrebbero trovata aperta da alcuni de' congiurati, tra i quali eravi un beccajo per nome Aragno, uomo esecrato in Torino per la sua malvagia condotta. Le saluzzesi truppe appena entrate in questa capitale, avrebbero unitamente ai più feroci cospiratori, uccisi i guelfi loro indicati dal malvagio prevosto Zucca, e mandate in fiamme le loro case. In questo primo concerto i congiurati speravano di sorprendere il principe Filippo, mentr'egli trovavasi a campo sotto la piazza di s. Giorgio, sbaragliarlo ed abbatterne la possanza; ma l'accorto Principe, forse fatto consapevole della trama, appena levato il campo che avea posto sotto quella piazza forte, si con

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dusse in fretta verso Saluzzo; onde a quella volta mossero pure i suoi nemici; intanto un messo dei torinesi ghibellini, cioè Enrichetto Zucca, paren te del preposto di questo nome che dal campo di Federico tornava a Villanova di Moretta, fu arrestato per via dalle truppe savoine, e condotto a Savigliano; il perchè le cinquecento lancie saluzzesi pervennero sibbene sotto questa capitale in sull'alba del 13 di settembre del 1544; ma i congiurati privi dell'avviso del messo, furono prevenuti dal vicario di Torino, ch'ebbe a m tempo la notizia del loro prossimo arrivo, e raccolto il miglior nerbo della più fidata torinese milizia, occupò la porta net Palazzo, e fece prigionieri i cospiratori, che tumultuando volevano aprirla. Le squadre saluzzesi allora sen partirono avvilite i principali prigionieri ebbero il meritato castigo. Al solo prevosto Zucca che era alla testa dei cospiratori fu conceduto di fuggirsene a Milano, ove essendosi procacciato il favore dell'arcivescovo, ottenne presto un canonicato nella da cattedrale di Novara. Enrichetto Zucca, che era il messagbere gero del preposto, e parecchi altri dei cospiratori furono ncep condannati all'estremo supplizio. Un Gioanni Mazzocco, che avea potuto scampar colla fuga, erasi rifugiato nel castello Ji Palermo, che confinava coi territorii di Carmagnola e di Ternavasso, ed è oggidì ridotto ad alcune cascine che ne o ritengono il nome, alterato in Palerno, e fanno parte del territorio di Ceresole. Questo Mazzocco fu poi ivi arrestato e condotto a Torino ove subito fu commesso al carnefice. Anche Pinerolo, che pur seibava la sua fede al principe Filippo, vide rizzarsi il palco infam e, su cui in un sol giorno bfu dal boja mozzo il capo a ventiquattro convinti di tradimento. Ai figliuoli, e ai discendenti di que' cospiratori, che furono condannati in contumacia, vennero confiscati i beni, e fu anche loro tolta la capacità di disporre e di acquistare affinchè, come disse la sentenza pronunciata allora contro cinquantacinque principali torinesi, stimassero la vita un supplizio, e la morte un alleviamento: le robe più preziose dei giustiziali e de' contumaci furono distribuite dal Principe a' suoi più fidi ministri. I casati dei ghibellini torinesi, che sventuratamente fecero parte di quella congiura, furono i Zuna, i Sili, i Biscotti, i Testa, i Cagnazzi, i Grassi, i Ma

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rentini, i Crovesi, ed i Mantelli, che tutti odiavano le nobili famiglie torinesi, che formavano possenti ospizii, cioè quelle dei Beccuti, dei Borgesi, dei Della Rovere, ed alcune altre, le quali tutte insieme unite cercavano probabilmente di occupare le primarie cariche della città, e di escluderne i popolani.

Appena furono eseguite le sentenze pronunziate contro i principali cospiratori, il Principe diede un generale perdono a tutti gli altri considerati come meno colpevoli ; e rinacque in Torino quella specie di calma, cui suole produrre la cessazione del terrore. Se lo Zucca, capo della congiura, fu lasciato uscire da questa capitale ed ire a Milano subito dopo la scoperta della cospirazione, ciò avvenne probabilmente a persuasione del vescovo Guido, che volle evitare lo sfregio che avrebbe ricevuto l'ordine sacerdotale al vedere un canonico preposto morir sulle forche. Guido per altro spogliò. immantinente lo Zucca della dignità di cui era rivestito.

A questo egregio vescovo dovettero allora i Torinesi l'estirpazione di un vizio, da cui già proveniva la rovina delle meno agiate famiglie, e dovettero anche riconoscere da lui grandissimi benefizii. Guido II, detto da alcuni Guidetto Canale, si mostrò fornito di tutte le doti, che l'apostolo delle genti richiede in un vescovo. Dopo essere stato monaco dell'ordine di s. Antonio di Vienna, veniva eletto ad arciprete della cattedrale di Torino, e poi a vicario generale della diocesi, e finalmente il capitolo torinese lo eleggeva a vescovo. Tutti gli storici che scrissero di questo, prelato concordemente asseriscono ch'egli fu un pio, dotto pontefice. L'ascendente di Guido, dice Ferrero di Lavriano, fu la liberalità in grado eminente verso dei poveri; e com'ebbe pietosa la mano nel distribuire elemosine agli indigenti, così l'ebbe ferma e rigorosa nell'estirpare le usure. Già numerosa era divenuta in questa capitale la turba degli usurai, e dominava siffattamente negli animi loro una sordida cupidigia di guadagnare, che si aveva per intieramente perduto ciò che loro si dava per pegno d'alcun servizio. Intento dunque alla grand'opera l'egregio prelato tanto danaro riscosse dalle restituzioni delle usure e dalle condanne degli usurai, che ne ebbe in abbondanza per fondare e dotare uno spedale in

Cont

Pinerolo. Liberale non meno del proprio avere, eresse una cappella nel maggior tempio di Torino ad onore di s. Michele con un annuo assegnamento ai canonici di dieci scudi d'oro. Sottomise all'abazia di s. Antonio di Vienna la prepositura di s. Dalmazzo di Torino: diede al comune di Cuneo in feudo perpetuo tutte le decime da quel territorio dovute alla sua mensa. Alle monache di Rifreddo, nel marchesato 2 pe di Saluzzo, condonò tutti i debiti, che per qualsivoglia titolo avevano incontrato verso la sua mensa vescovile. Zelantissimo della riforma del clero e del popolo di sua diocesi, formò diverse costituzioni sinodali, tutte sommamente utili. Ludovico della Chiesa riferisce, che ai tempi di questo vescovo infieri in tutto il Piemonte, ed anche in Lombardia, un'orribile pestilenza, la quale mietè molte vite; e non è da dubitarsi, che l'ottimo Guido II in tempi così calamitosi abbia 05p diffusa in tutta la vasta diocesi torinese la sua maravigliosa carità.

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Abbiamo accennato qui sopra, che a' danni del valoroso Filippo d'Acaja conchiudevasi una nuova confederazione addì 21 di giugno del 1334 tra il re Roberto, il marchese di del Monferrato, Federico di Saluzzo ed il comune d'Asti, ́che tutti erano risoluti e fermi di non deporre le armi sintanto che avessero intieramente abbattuto il potere di Filippo, di cui volevano dividersi gli stati. Si ricominciarono adunque le ostilità: furono rapidi i progressi dei confederati; s'impadronirono essi di Villanova di Moretta; appiccarono il fuoco ad Osasco ed ottennero altri così notevoli successi, che il principe d'Acaja, stanco delle incessanti fatiche ed omai pauroso di un mal fine, cadde infermo, e recatosi all'ordinaria sua sede in Pinerolo, morì il 25 di settembre del 1354. Gli succedette nel dominio il suo figliuoletto Jacopo sotto la tutela di Catterina di Vienna sua genitrice, principessa di cui era così grande la spensieratezza, che non ebbe nemmen cura di provvedersi di un economo, o tesoriere, che ne registrasse le spese; ond'ella cadde in tanto discredito, che per avere manicaretti e vivande di carne alla sua mensa, dovette dare in pegno al macellajo una tazza d'argento.

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