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XL.

Condizione di Torino sotto Jacopo d'Acaja.

Da lui sono instituite la società del popolo e la compagnia del Fiore.
Scopo ed importanza di queste due società.

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Gli stati de' Sabaudi sovrani al di qua delle alpi trovaronsi presto in grandi perturbazioni, funeste conseguenze della minor età di Jacopo, succeduto a Filippo d'Acaja, ed eziandio della dappocaggine della di lui madre e tutrice: per buona ventura Aimone conte di Savoja venne subito in soccorso del giovinetto principe per salvarsi i dominii minacciati di una totale distruzione dalla lega formidabile, le cui numerose truppe già si appressavano alla piazza di Torino colla risoluta intenzione d'impadronirsene. Prima che avesse termine il mese di settembre del 1534, già il conte Aimone trovavasi a Torino e provvedeva alla difesa di questa città, e recavasi poi subito a Pinerolo, ove in una sala del castello dava al pupillo principe l'investitura dei dominii delt be Piemonte, e ne riceveva il dovuto omaggio di fedeltà. Ciò fatto si adoperò con tutto lo zelo a tranquillare gli animi dei Piemontesi ed a stabilire il governo dello stato: chiamò a sè i deputati ed i principali nobili di Torino e degli altri comuni, che promisero con giuramento di mantenersegli devoti e ligi. Egli poi, desiderando vivamente di procurare vie maggiore tranquillità ai cittadini di Torino e di Pinerolo, ed agli abitanti delle circonvicine terre soggette al dominio sabaudo, che del continuo erano minacciate di un'invasione nemica, cominciò le trattative per una pace particolare con Federico marchese di Saluzzo, il quale, addì 4 dicembre dello stesso anno 1334, stipulando la convenuta pace, gli giurò in Pinerolo la fedeltà per i soliti omaggi. Conchiuse quindi uno speciale accordo con Gioffredo di Marzano, che capitanava le truppe del re Roberto in Piemonte; e questo monarca ratificò il 6 gennajo 1356 i patti convenuti col suo capitano; e scelse quindi un Bertrando del Balzo a governatore de' paesi, che gli erano soggetti nella subalpina contrada. In questo medesimo anno Jacopo d'Acaja si recò in ajuto di Manfredo di Saluzzo, che coll'assentimento del pro

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venzale Bertrando s'impadroni della capitale del saluzzese marchesato. Di sommo vantaggio dovettero riuscire i sopraccennati accordi stipulati dal conte Aimone; perocchè il re Roberto sperava tuttora d'impadronirsi di Torino e dei confinanti paesi; e profittava di una fiera discordia nata in Chieri tra i nobili ed i popolari, la quale sembrava dover partorire un generale sconcerto per tutto il Piemonte; e per quanto i reggitori di Torino, per la gran vicinanza di quel municipio, si adoperassero a spegnere quelle ire cittadine, non poterono per niun modo calmare quegli animi così esasperati, che non cessarono dalle reciproche offese finchè per deliberazione del maggior consiglio di quella città, e coll'assentimento del principe d'Acaja, al quale fu da special convenzione assicurata e mantenuta la metà di Chieri, questo luogo (1339) si diede al re Roberto, che alla signoria di esso rinunziò col suo testamento del 1543.

Il principe Jacopo, uscito di minor età, prese le redini del governo; e diè tosto segni d'aver destra possente a tenersele ben ferme; e dimostrò eziandio che aveva sortito dalla natura un ingegno atto a reggere con saggezza i suoi popoli. Sebbene nelle terre subalpine si godesse allora di un po' di tregua, ciò non di meno ei previde, che in tanto urto d'interessi contrarii, le armi non sarebbero rimaste in riposo se non per breve spazio di tempo: conobbe che gli era necessaria una forza permanente atta a reprimere i nemici che si fossero levati contro di lui, e a frenare l'audacia delle fazioni. Ponendo, mente a tutte queste cose egli ordinò che si formasse in Torino, e in tutti gli altri comuni a lui soggetti una società popolare, alla quale presiedessero quattro rettori, e che questi partecipassero al governo sì per difendere la terra, come per impedire i misfatti. Nel 1559 rettori della società del popolo in Torino erano Ardizzone Ajnardi, Giraudeto calzolajo, Tomaino Beamondo, e Ber-. zano sarto. In Pinerolo, ove d'ordinario risiedeva il Principe, vennero eletti, il 3 luglio 1557, rettori della novella società Michele Eandi, Giacobino De-Jordis, Bertino Meglioretto, e Perrone Gabutello. Questa società era una specie di guardia urbana, destinata a procacciar l'osservanza delle leggi, l'obbedienza ai magistrati, e a prevenire i soprusi, le violenze,

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le guerricciuole private, ed anche a prenderne vendetta nel caso che fossero accadute.

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Stabilita in siffatto modo tra la plebe minuta una forza materiale, e tanta possa da partecipare all'amministrazione della giustizia, e al pubblico regime, funne raumiliata l'audacia de' baroni, cui più non venne dato di perturbare impunemente la pubblica quiete, e di macchinar novità pregiudicevoli allo stato. Così rilevante era il potere di tal società, che i quattro rettori avevano la precedenza tra i ragionieri, ei savi del comune. A loro istanza Jacopo di Acaja concedette a qualche comune, e specialmente a quelli di Torino e di Pinerolo la facoltà d'impor gabelle su le derrate e le mercanzie; ed una sì ragguardevole facoltà dovea durare per dieci anni, affinchè i comuni avessero un facil mezzo di sciogliersi dai debiti, onde trovavansi aggravati. Presto i quattro rettori della società insieme coi consiglieri del comune provvidero alla sicurezza dei municipii: ordinarono che dì e notte vegliassero parecchie guardie; slabilirono i custodi delle porte, a ciascuna delle quali vi si trovavano in numero non minore di dodici; e vollero inoltre che rimanesse di continuo sopra la più elevata torre della città una scolta a spese del comune. E vuolsi notare che il giudice di Torino, e quelli degli altri comuni prima di entrare in ufficio doveva prestar giuramento di osservare inviolabilmente non solo i capitoli del comune, ma eziandio quelli della società del popolo, alla compilazione dei quali furono scelti personaggi generalmente stimati per la loro dottrina e probità.

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Non si tardò a riconoscere quanta fosse l'opportunità e la saggezza dei primi ordinamenti di questo principe di Acaja. Si riaccesero presto le belliche ire nelle regioni subalpine, contermine a quelle da lui possedute, e ciò che peggio fu, le varie fazioni a sommossa dei nobili, che s'eran posti a capi delle medesime, n'eran fieramente aizzate ad irrompere nel torinese distretto, e nelle altre terre di quel Principe. La marca di Saluzzo si trovò tra gli orrori della guerra: il Canavese divenne il teatro dei feroci scontri dei guelfi e de' ghibellini. Il conte Aimone di Savoja tentò sibbene di fare un accordo con Gioanni II di Monferrato,

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ma trovollo infiammatissimo a muovere all'armi i ghibellini canavesani signori, che si mostrarono avversi ai guelfi seguaci di Savoja. Sgraziatamente a quest'epoca erasi introdotto, e dilatavasi un uso perniciosissimo in tutti gli stati d'Italia, per cui questa bella contrada dovette soggiacere a grandi calamità; vogliam parlare delle compagnie di ventura, che desolarono eziandio il Piemonte per lunga pezza: noi già più volte nel corso di quest'opera abbiam dovuto rammentare i mali gravissimi, a cui per tali barbare compagnie furono soggette le terre subalpine; e qui ci sembra opportuno il dare di esse un distinto ragguaglio.

Appunto circa l'epoca, in cui Jacopo d'Acaja prese le redini di questo stato s'accrebbe e propagò, e divenne comune l'uso delle compagnie di ventura presso tutti i principi d'Italia, ed eziandio presso le italiane repubbliche. Sino a quest'epoca il maggior nerbo degli eserciti era quello delle milizie proprie e naturali di ciascuno stato o libero o monarchico che si fosse. Era bensì costume antico che nelle più ardue e pericolose guerre si soldassero cavalieri e fanti tedeschi, ma molti di loro si acconciavano al servizio delle repubbliche e de' principi italiani; ma il comando generale restava appresso un capitano cittadino o suddito, o in quaJunque modo italiano, che non facea causa comune coi Tedeschi, od altri stranieri a cui comandava. Passato il bisogno, coteste masnade forestiere per l'ordinario si licenziavano, e non avendo esse un capo comune che li riducesse in un solo corpo, nè essendo in grande numero, non potevano tentar novità di alcun momento. Nel 1339 le compagnie di ventura sgraziatamente presero altra forma, e fu allor quando Lodrisio Visconti si fece capo delle genti d'arme tedesche che Mastin della Scala licenziò dal suo servizio, e che Lodrisio condusse predando e saccheggiando da Verona sin presso a Milano. La virtù delle genti d'Azzo, signor dello stato, e specialmente il braccio aggiuntosi a tempo d'alcune truppe di Savoini, e di altri suoi confederati, disfece quei masnadieri. Ma l'esempio di quell'unione di genti a ventura e di ribaldi fu l'epoca fatale di altre simili compagnie che si formarono di poi con tanta rovina d'Italia. Un cavaliere di Rodi, che gli storici italiani chiamano fra Moriale, dopo Dizion. Geogr. ec. Vol. XXII.

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aver militato nel regno di Napoli, ed esserne stato espulso, si diede anch'egli a formare una di quelle grosse bande di soldati ladri e malandrini. E con essa produsse i più grandi mali nella Romagna, nelle terre fiorentine, e finalmente in Lombardia, ove lasciò i suoi feroci soldati sotto gli ordini del conte Lando. Il marchese Gioanni di Monferrato, sebbene conoscesse molto bene i suoi interessi, pure trovandosi stretto di guerra da Galeazzo Visconti, andò egli medesimo in Provenza per condurre di là al suo servizio una nuova compagnia d'Inglesi, che si chiamò la compagnia bianca, e fu poi il flagello di una gran parte de' paesi subalpini. Parecchie altre barbare compagnie di questa sorta si andarono qua e là formando: esse mettevano in contribuzione le terre per cui passavano, e guastando contadi, o assediando città, volevano essere mantenute e provvedute dovunque capi

tassero.

Nè anche bastava che a loro dovesse destinarsi tutto il danaro che correva in Italia; ma cavalli, giumenti, robe di ogni sorta, e orribile a dirsi il fior delle donne e della gioventù dovea riservarsi per cotesti capitani di ventura e pei loro feroci soldati,

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Era grande il male che per l'ordinario si traeva dal cattivo servizio da quelle masnade, perchè servivano esse mai sempre con doppia fede, ed erano temute egualmente da chi li pagava, e da quelli contro cui eran mandate. Spirato il termine, dentro il quale avean promesso di guerreggiare, e riscosso il più ed il meglio che per loro si potesse da chi le avea condotte, passavano da uno ad altro stipendio; cosicchè le stesse compagnie nel giro di un anno si vedevano ora in una provincia, ed ora in un'altra. Ma il maggior danno che recò seco l'introduzione di tal genere di milizia straniera ed a ventura, fu l'avvilimento della milizia propria e cittadina; perciocchè allora i principi, ed i reggitori delle repubbliche, quale per cupidità d'occupare più facilmente l'altrui, quale per tema d'essere assaltato da un altro, trovarono quasi tutti più spedito il modo d'armarsi con la condotta di quella ribalda soldatesca, che di far leva e scelta nel proprio stato. Oltrecchè agli oziosi, ed agli scellerati che avevano qualche spirito guerresco, tornava meglio ar

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