Immagini della pagina
PDF
ePub
[ocr errors][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][ocr errors][ocr errors][merged small][ocr errors][merged small]

ruolarsi in quelle, che pigliar l'armi sotto l'immediato comando de' commissarii ed uffiziali della nazione; chè sotto di questi non avrebbero goduto nè ugual paga, nè ugual licenza e facilità di esiger taglie e far bottino. Così, quantunque poi si volesse far altrimenti, uopo fu che la sorte delle guerre si facesse dipendere dal valore e dalla fedeltà di quelle infami masnade; e quel poco che ancor rimase di milizia propria, si contò quasi per nulla; e tutto venne, per così dire, alla discrezione de' così detti contestabili, o capitani di tali compagnie. Se qualche ombra di bene ne derivò dall'uso di tali soldatesche straniere, fu per avventura che i fatti d'arme divennero col tempo meno distruttivi che non eran da prima. Ma questo vantaggio, allorchè si cominciò a provare, costò assai caro all'Italia; perchè trovandosi quasi disarmata per la decadenza delle milizie proprie, restò esposta, un secolo e mezzo dopo, a tutte le invasioni delle potenze straniere. Frattanto se versandosi nelle guerre il sangue straniero e venale, si risparmiò qualche parte del sangue italiano, almeno ne' fatti d'armi grandissimo fu ad ogni modo l'eccidio e l'esterminio che ci recarono quelle ingorde e barbare soldatesche.

[ocr errors]

Ed appunto ciò si vide in Piemonte, mentre signoreggiava nel nostro paese il principe Jacopo di Acaja. Il marchese Gioanni II di Monferrato, che agognava non solamente d'impadronirsi dell'eporediese contado, ma eziandio di Torino e del suo ampio distretto, assoldò il Malerba famoso capitano di ventura, che venne da Milano al di lui servizio e a quello dei ghibellini del Canavese, conducendo seco trecento barbute, le quali misero a fuoco ed a sangue molte delle terre, che di presente formano la provincia d'Ivrea. Chiamavasi Barbuta un uomo d'arme a cavallo, che avea con sè due servienti; onde la masnada del Malerba era composta di novecento combattenti. Alla lor volta i guelfi del Canavese assoldarono cento delle stesse barbute che avevano terminato il servizio temporaneo a pro dei ghibellini, e con queste e con altre ducento altronde chiamate disfogarono la loro rabbia sopra i loro avversarii. Il conte di Savoja temendo che queste terribili squadre tentassero di fare irruzioni sull'agro torinese e sugli altri luoghi del

[merged small][ocr errors][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small]

Piemonte governati dal principe d'Acaja, si adoperò perchè le parti belligeranti cessassero una volta dalle offese; ma i suoi tentativi tornarono vani. Le feroci ostilità non interrotte che da brevi tregue, ottenute per mediazione del Papa, durarono ancora parecchi anni: è però bello il dire che il valoroso ed accorto Jacopo d'Acaja seppe tenerle lontane da Torino, e dagli altri suoi dominii. Sul finire di febbrajo del 1342, egli di concerto con Federico di Saluzzo, per impedire che le scellerate compagnie, le quali devastavano il Canavese, si accostassero a manomettere gli stati suoi, e quelli del Saluzzese, pensò di formare anch'egli una compagnia di quel genere, e per poterla formare si rivolse ai capi Catalani ed Aragonesi, che avevano servito al re Roberto. In poco tempo potè raccogliere nel castello di Vigone mille e quattrocento venturieri, cioè trecento barbute, ciascuna delle quali era, come si disse, un uom d'arme a cavallo, che avea con sè due servienti, e cinquecento brigandi, cioè soldati di fanteria. Ora siccome tutte le masnade di venturieri assumevano un nome particolare, ed una si chiamò la compagnia Bianca, un'altra di s. Giorgio, una terza fu detta della Stella, ed altre presero particolari denominazioni, così Jacopo d'Acaja volle chiamare compagnia del Fiore questa da lui raccolta nel castello di Vigone: fra le condizioni stabilite tra Jacopo d'Acaja e Federico di Saluzzo, ed i capi della compagnia medesima, si notano questi; che essa compagnia vivesse in modo indipendente sotto le proprie leggi; ma che i principi suddetti accogliessero la compagnia del Fiore in tre città, cioè in Torino, Fossano, Saluzzo, e nella grossa terra di Cavallermaggiore; che in nessun'altra città, e in nessun altro borgo dei due principi, le fosse dato di entrare fuorchè occorresse il caso di dover fuggire; ed in fine che ad essa corresse l'obbligo di dare, all'uopo, il guasto alle terre nemiche. Questa compagnia era dunque chiamata del Fiore; ed i Torinesi dovettero per loro infortunio provare ch'essa era veramente composta del fiore della canaglia catalana ed aragonese.

ferr

arino

Nel gennajo dell'anno seguente mancò ai vivi il re Roberto e con lui cadde l'antemurale del subalpino paese contro i despoti di Milano, che agognarono tuttora al possesso della

[merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][ocr errors][merged small][merged small][merged small]
[ocr errors][merged small][ocr errors][merged small][ocr errors][ocr errors][merged small][merged small][ocr errors][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small]

nostra contrada, ed anzi al regno d'Italia. La potenza provenzale nel suolo pedemontano, cadde per la memoranda sconfitta che l'esercito di Provenza condotto da Reforza di Agulto, ebbe in vicinanza di Gamenario, luogo spettante al territorio di Chieri. Vedi Vol. VII, pag. 214-16. ·

Nello stesso anno i Torinesi lamentarono la morte di Aimone conte di Savoja, che venuto nella loro città, vi aveva: lasciato traccie della sua munificenza. Ad Aimone, mancato ai vivi, il 24 giugno 1342, succedette il pupillo suo figliuolo Amedeo VI. In questo tempo il Visconti millantavasi di scacciare da Torino e da tutte le subalpine terre i principi sabaudi, come n'eran stati espulsi i signori della Provenza. Intimidito delle sue millanterie, il principe d'Acaja per potersi difendere, chiese gli ajuti opportuni al conte Amedeo di Geneva, tutore di Amedeo V1; e fu perciò conchiusa tra loro una lega. Mentre ciò accadeva, il signor milanese, ed il monferrino colle loro forze riunite muovevano a danni di Torino, ed anche di Chieri, che si trovava sotto la signoria e gli auspizii del principe d'Acaja; ma ne furon eglino al tutto respinti dalle milizie di Torino, di Pinerolo e di altri comuni condotte da Jacopo d'Acaja; le quali rafforzate poi da altre schiere, profittando di quel trionfo mossero celeremente contro la città di Alba tenuta dal Visconti, s'impadronirono di quella piazza, ed occuparono in appresso quelle di Cherasco, Mondovì, Cuneo e Savigliano rimaste a Giacomo d'Acaja. I vinti alleati si procacciarono allora le soldatesche del Delfino di Vienna e del marchese di Saluzzo, e sperando di dividersi lo stato di Savoja di qua dai monti entrarono ostilmente in Cavallermaggiore e in Levaldigi, ove commisero grandi nefandità. Il papa Clemente VI vedendo con gran rammarico una guerra distruttiva tra principi cristiani spedì sul principio del 1547 un suo legato a Milano, perchè si adoperasse a far cessare le funeste discordie fra le parti belligeranti.

[ocr errors]

Qui ci sia dato di volgere alquanto lo sguardo da una lotta così fatale, e di portarlo su cose di consolazione e di pace. Mentre l'anzidetto pontefice Clemente VI procurava di fare rinverdire nel nostro paese l'olivo della pace, volgeva pure in mente di provvedere di un ottimo prelato la

sede vescovile di Torino, vacante per la morte di Guido II; ed essendogli stato proposto dal capitolo di questa cattedrale Tommaso, figliuolo di Filippo principe d'Acaja, ne approvò di buon grado l'elezione.

[ocr errors][ocr errors][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small]

Il comune di Torino, nel dì 1.° di novembre del 1348, mandò alcuni de' suoi sapienti al principe Jacopo, che risiedeva in Pinerolo, per ottenere il suo consenso alla nomina di Tommaso, che allora era canonico della chiesa di Lione; e il principe diede subito il chiestogli assentimento. Tutta la nostra capitale ne sentì grandissima consolazione, perchè lo eletto vescovo godeva meritamente grande riputazione sì per la sua profonda dottrina, come per la sua specchiata virtù; e raunatosi il consiglio generale del comune ordinò, addì 7 dicembre, la compra di dodici tazze d'argento da offerirsi al novello vescovo, il quale fu poi consecrato nel terzo giorno d'aprile del 1551 da Gioanni Visconti arcivescovo di Milano, e nel giorno medesimo, che cadde nella domenica di Passione, egli tenne la sacra ordinazione de' suoi chierici. Intraprese subito la visita di sua vasta diocesi; ed inoltratosi nelle alpestri parrocchie comprese nel marchesato di Saluzzo, che confinano col Delfinato, riparò con fermezza a molti abusi del culto divino, che vi si erano insinuati. Frenò la prepotenza del saluzzese Principe, che tribolava parecchi de' suoi vassalli, e non dubitò di lanciare contro di lui e contro i suoi figliuoli la scomunica; può essere che in questo il suo rigore sia stato eccessivo; ma i Principi che abusano dispoticamente del loro potere a danno de' proprii sudditi sono sempre da biasimarsi altamente, e vogliono essere puniti. Terminata la sua visita pastorale, pubblicò nel maggior tempio di Torino le sue prime costituzioni sinodali, che dimostrano quanto grandi fossero il suo zelo e la sua dottrina. Da un articolo di esse costituzioni si riconosce che a quel tempo in quasi tutte le parrocchie della diocesi torinese amministravasi ancora il battesimo per immersione. Al suo tempo la chiesa di s. Giovanni era omai, così rovinante, che i Torinesi più non osavano di entrarvi. Il consiglio civico, per cagione delle grandi spese, a cui aveva dovuto soggiacere nelle continue guerre, non trovavasi in grado di riattare quella chiesa; ma l'egregio vescovo scrisse lettere

[merged small][merged small][ocr errors][merged small][merged small][ocr errors][merged small]
[ocr errors]
[ocr errors]

e. Den

[ocr errors]

Toces

arch

len

di esortazione a tutti gli ecclesiastici di sua diocesi, raccomandando loro di voler contribuire con limosine ed oblazioni affinchè si potesse ristaurare quel sacro luogo; e non molto dopo si fece realmente la desiderata riparazione, non però di tutto il duomo, siccome sembra che abbia creduto Agostino della Chiesa, ma, come osserva il Meiranesio, della terza navata di esso tempio, che propriamente denominavasi da s. Giovanni. E su di ciò vuolsi notare, che allora il duomo torinese era composto di tre parti, ossia di tre chiese bensì unite, ma divise l'una dall'altra mediante un muro, che sorgeva dal suolo sino alla volta; la chiesa, ossia la navata di mezzo, era dedicata al Salvatore, quella a destra era sotto l'invocazione della Beatissima Vergine, e la terza, in cui esisteva il fonte battesimale, portava il nome di s. Gioanni; ed appunto questa fu ampiamente ristaurata per cura del zelante vescovo.

Lo stesso papa Clemente VI, che aveva approvato l'elezione di questo vescovo, ebbe la consolazione di ottenere, per mezzo de' suoi legati, che cessasse una guerra distruttiva tra i Principi della nostra contrada: si fu per sua cura, che si conchiuse finalmente in Torino la pace, in virtù della quale Gioanni di Monferrato cedette ai due principi di Savoja e di Piemonte ogni ragione ch'egli potesse avere sopra Torino. Per lo stesso trattato si aggiustarono le differenze tra Tommaso e Manfredo di Saluzzo, e si rappattumarono in fine ini signori del Canavese, che già da lunga pezza si straziavano a vicenda.

[merged small][ocr errors][ocr errors]

esser

Frattanto il giovane conte di Savoja Amedeo VI, detto il conte Verde, pigliate le redini del governo, si occupò bensì a ricomporre le cose degli stati suoi al di là dei monti, ma non si diede cura di spedire alcune delle sue truppe in Piemonte; onde Luchino Visconti, in disprezzo della sentenza de' pontificii legati, unitosi al marchese di Monferrato, assalì Giacomo d'Acaja, ed occupò Mondovì e Demonte, minacciando di avanzarsi verso la nostra capitale, e di rendersene padrone. Riuscì per altro all'accortezza ed al valore del nostro Principe d'impedire che i suoi nemici facessero ulteriori conquisti. Amedeo VI ad istanza di lui, venne quindi personalmente con numerose truppe in Piemonte, ed al suo

« IndietroContinua »