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arrivo cessarono le apprensioni dei Torinesi e del Principe loro signore. A Luchino Visconti, morto nel mese di maggio del 1549, succedeva nel governo di Milano il fratello Giovanni arcivescovo di quella chiesa, che, pacificatosi col monferrino marchese, fu eletto arbitro tra esso ed il conte di Savoja, e gli venne fatto di riconciliarne gli animi, dividendo tra l'uno e l'altro la città d'Ivrea, e stabilendo varie condizioni vantaggiose ad entrambi ; ma poichè il suo arbitramento ledeva le ragioni del principe d'Acaja su quella città, il conte lo compensò cedendogli i luoghi di Ciriè e di Cumiana: questo Principe, nascondendo nell'animo suo illo disgusto di quell'accordo, stava tuttavia aspettando un'occasione propizia di rifarsi delle perdite, che per esso avea sofferto nel Canavese; ma vedremo presto, che per ottenere questo suo intento perdette Torino e tutto il suo stato al di qua dei monti. Circa questo tempo la Santa Sede fulminò Pinterdetto a Torino, a Pinerolo ed a tutte le altre terre subalpine soggette a Jacopo d'Acaja; ed eccone la cagione. Questo Principe nel decimo giorno di luglio del 1554 fece arrestare e sostenne prigione nel castello di Cumiana Roberto di Durazzo dei Reali di Napoli insieme con tutta la nobile comitiva di lui. Il Papa, ad istanza del cardinale Pe rigord, zio di Roberto, il 6 d'ottobre di quell'anno lanciò quel fulmine del Vaticano sui Torinesi e sui loro connazionali, che ricorsero, per essere liberati da quella censura all'egregio vescovo Tommaso, i cui buoni uffizii a questo riguardo furono vani presso il romano Pontefice, il quale non levò quell'interdetto sino al 26 di marzo del 1355, cioè dopo la liberazione di Roberto dalla sua prigionia.

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Intorno a quest'epoca Nicolò della Rovere, patrizio torinese e primario de' sapienti, o decurioni perpetui di Torino, teneva il supremo tribunale con l'alta podestà di condannare a morte, ed anche di assolvere da ogni delitto, che non fosse di lesa maestà in primo grado; e dalle memorie del tempo apparisce, che dal Principe si eleggeva uno del corpo della città, il quale col nome di prefetto aveva un tal potere, che più non dipendeva dal Principe se non in caso di cospirazione ; ma presto così eccessiva giurisdizione nelle mani di un solo cessò per le luttuose vicende che or ci tocca narrare.

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Il principe Jacopo d'Acaja già erasi meritata la stima dei, Principi italiani, e particolarmente di papa Innocenzo VI, che gli raccomandò un suo cardinale legato spedito da Avignone in Italia per quietare le dissensioni e le guerre che vi regnavano in ogni parte. Nel tempo stesso il nostro Principe ottenne dall'imperatore Carlo IV i diritti regali, e singolarmente quelli di coniar monete d'oro e d'argento, non che la facoltà d'imporre dazi sulle robe, che trasportandosi dalla Lombardia nella Francia e viceversa passavano per gli slati suoi; il quale diritto gli fu conceduto dall'Imperatore perchè fosse compensato delle spese cui soggiaceva il suo erario pel ristauro delle pubbliche strade. Ora questi diritti regali, e singolarmente il privilegio di far coniar monete d'oro e d'argento nelle sue terre, gl'inspirarono la voglia di regnare con più autorità, che non avessero avuto nè il suo padre, nè egli stesso fino allora, e di liberarsi una volta dalla soggezione, in cui l'accordo stipulato tra il suo genitore ed il conte Amedeo V lo riteneva. Diede adunque presto a conoscere l'ambizioso suo divisamento coll'imporre una gravezza alle derrate, alle merci e ad ogni oggetto di traffico, che di Piemonte passasse in Savoja, e di là anche altrove. Il conte Amedeo VI, trovando tal novità pregiudicevole ai sudditi suoi ed ai diritti del dominio supremo che avea sul Piemonte, vi si oppose. Il principe d'Acaja volle sostenere ciò che aveva ordinato, e si venne alle armi. Le forze e la fortuna del conte Amedeo prevalsero; il suo cugino Jacopo fu vinto, e cadde in mano del conte, che lo tenne prigione in Rivoli, e gli tolse Torino, Pinerolo, Vigone, Villafranca, Savigliano, Fossano, ed occupò le terre dei conti di Piossasco e Lucerna vassalli del Principe. Fecegli intanto fare il processo, destinando per commissari due ecclesiastici, che furono l'abate di s. Michele della Chiusa ed il prevosto di Oulx, e due laici, cioè un nobile ed un dottore di leggi. La sentenza portò, che il Principe uscirebbe libero di prigione con palto, che cedesse al conte tutti i suoi dominii di Piemonte, e prendesse in cambio alcune terre in Savoja, che furono Conflans, Evian, Tonone, Sallanche con alcuni altri castelli. Così la città di Torino si trovò sotto l'unico dominio del conte Verde, il quale, per conciliarsi l'affetto

de' cittadini, confermò ad essi gli statuti e i privilegi di cui godevano, e dichiarò loro dovuto l'omaggio, che ai medesimi contendevano i signori di Drosio e Borgoratto, come pure il comune di Grugliasco. Già prima di queste concessioni avea preso il possesso di Torino a nome di lui Ludovico della Rivoira, che ne fu fatto governatore.

Erano appena trascorsi due anni, quando l'infido Jacopo d'Acaja, per riavere la sua indipendenza e ristabilire in Piemonte il malaugurato dazio, ricominciò le ostilità contro del conte; ma come di rado interviene che supplir possa il valore dove manca la forza, ebbe un'altra volta il sottovento; perocchè, disceso Amedeo nella subalpina terra con un esercito di dodici mila tra fanti e cavalli, tra Savoini, Ungheri e Pugliesi, si portò di primo passo contro Savigliano, espugnò questa piazza e le diede il sacco; venuti quindi a mischia i due eserciti, il principe Jacopo cadde prigioniero; ed intanto si assoggettarono al conte tutte le altre terre ; e quando il conte Amedeo vide compiuto il suo trionfo, entrò con molta pompa e con numeroso seguito di baroni della Savoja in Torino, ove ricevette subito i dovuti omaggi di fedeltà e di ossequio, che gli offerì il comune per mezzo de' suoi deputati, i quali furono Antonio Mosso, Enrieto Borgesio, Becuto de' Becuti e Nicolino Malcavalerio: questi deputati ottennero dal conte Verde non solo la conferma de' privilegi antichi a pro di Torino, ma un'onorevolissima patente di nuove immunità e franchigie, data in Moncalieri l'anno 1560 addì 24 di marzo. Dopo ciò il conte Verde ritenne per lo spazio di tre anni l'immediato governo di Torino e del Piemonte; ma infine, a persuasione dell'ottimo Tommaso di Savoja vescovo di Torino, si rappattumò con Jacopo d'Acaja, e lo ricondusse egli stesso a questa capitale, ove, dichiarandolo signore di essa e di tutto il Piemonte, e riserbandosene solamente l'alta sovranità, gli fece prestare il giuramento di fedel sudditanza: volle per altro che il Principe si obbligasse a pagargli una cospicua somma di danaro a titolo d'indennità di guerra nel 1363.

Durante questa domestica guerra ed il processo che ne seguì, il principe d'Acaja, rimasto vedovo per la seconda volta, si era rimaritato con Margherita figliuola del conte

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di Beaujeu. Dalla prima moglie, che fu Beatrice figlia del marchese di Ferrara, non aveva avuto prole; Sibilla, figliuola di Bertrando del Balzo sua seconda consorte, gli partorì un figliuolo per nome Filippo. Da Margherita di Beaujeu ebbe due figli, di cui il primogenito fu chiamato Amedeo e il di lui fratello ebbe il nome di Ludovico. Il principe Jacopo Javea già designato Filippo a suo successore nel dominio, ed ire avevagli fatto prestar giuramento di fedeltà da' suoi vassalli quando questi ancor non oltrepassava i sette anni; ma quando dal terzo maritaggio ebbe Amedeo e Ludovico, il Principe o padre, dominato dalla novella consorte, natural nemica del figliastro e sopramodo appassionata pe' figliuoli suoi, volle privare il primogenito della successione, e non dubitò di nominare suo erede universale e successore il primo de'due altri figliuoli natigli da Margherita. Filippo, sdegnatissimo di ciò, unitosi in lega col signor di Milano e col marchese di Saluzzo, con le truppe di questi e con una masnada di venturieri fece una rabbiosa guerra al conte Amedeo ed al medesimo suo padre, che si era pacificato ed eziandio confederato col conte; ma vinto e caduto prigioniero morì, secondo alcuni, oppresso dal dolore nel carcere, ov'era rinchiuso, e secondo altri venne condannato a morte da giudici a ciò delegati, ed affogato nel lago di Avigliana. Locchè deve essere avvenuto il 13 d'ottobre del 1368, perchè si sa, che Amedeo VI alli 12 d'ottobre del 1369 assicurava alla vedova di Filippo, Ludovica del Villar, la restituzione di sua dote, per aver ella omai terminato l'anno vedovile. Per riguardo alla condanna di morte, a cui dovette soggiacere questo infelice Principe, la storia non dee tacere, ch'essa non fu imparziale; ed in vero la prima cagione delle gravi sue colpe fu la solenne ingiustizia, con cui egli venne privato de' suoi diritti, de' suoi onori e delle sostanze da un padre debole a sommossa di sua terza moglie, cupidissima di far trionfare i proprii suoi figli a gran detrimento del suo figliastro, e di ciò doveasi fare alcun caso dai sapienti prescelti a quel gran giudizio; oltre a ciò il salvocondotto che gli fu conceduto per condursi a Rivoli, ove quel giudizio si tenne, doveva renderlo salvo sino al luogo d'onde egli era partito, e non servire alla più celere punizione di

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Del resto non si dee neanche tacere che il principe Fi lippo dopo essersi ribellato al conte avea portato la desolazione in molte delle terre subalpine, su cui voleva regnare: correndo da un villaggio all'altro, saccheggiava, metteva in fiamme le case, uccideva gl'infelici abitatori, e poche terre andarono esenti dal suo furore, e massimamente da quello delle barbare masnade da lui condotte: predarono esse il bestiame, menarono seco prigioni i più doviziosi, obbligandoli a riscattarsi a carissimo prezzo; e ad alcuni di questi si pigliavano talvolta il crudel piacere di strappare i denti; uomini cotanto snaturati furon veduti gitlar persone, cui avean fatto morir fra i tormenti, entro i fossi del castello di Vigone: furon visti mozzare il naso, gli orrecchi, le mani e cavar gli occhi alle innocenti loro vittime: queste orribili scene continuarono sino al settembre a disertare il Piemonte, e le popolazioni pagavano il fio dei delirii e delle crudeltà di Filippo.

Da così grandi calamità andarono allora esenti ben pochi paesi, cioè Torino, ch'essendo ben munita di fortificazioni, e gagliardamente difesa dalle cittadine milizie, potè respingere gli assalti di quelle barbare soldatesche, le quali non poterono spiegare il loro furore che sul territorio di questa città; Vigone, ove si trovava il quartier militare delle savoine squadre, Pinerolo, ove con buone guardie stava la vedova Margherita, Fossano e Carignano, che erano luoghi assai forti, e ben custoditi.

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XLI.

Sorti di Torino dopo la morte di Jacopo d'Acaja

sino all'estinzione del di lui casato.

Il principe Jacopo d'Acaja, aggravato dagli anni, e oppresso dai disgusti procuratigli dal ribelle suo figliuolo Filippo era mancato ai vivi in Pinerolo alli 17 di maggio del l'anno 1367. Quando poi Filippo morì in seguito alla condanna, di cui testè abbiam fatto cenno, il principe d'Acaja Amedeo trovandosi ancora in minor età era inabile ad ogni reggimento politico; sicchè il conte Amedeo VI, prendendo la tutela di lui, e del suo minor fratello Ludovico, confermò

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