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nel loro impiego i pubblici uffiziali di Torino, e degli altri luoghi del Piemonte; ordinò più pronta l'amministrazione della giustizia; e nel tempo ch'ei rimase al governo di questi stati, il supremo consiglio che per l'addietro avea ferma stanza nella città di Pinerolo, risiedette sovente ora in Torino, ed ora in Rivoli. Per sottrarre dalle frequenti scorrerie dei nemici, che inquietavano spesso le subalpine popolazioni da lui governate durante la minor età del principe Amedeo, deliberò di far iscavare, da Lombriasco sino a Moncalieri, profondi fossati, muniti di palizzate, che doveano Soft, G servire da quella parte come di baluardo ai dominii del pupillo principe. Al compimento di tale opera di difesa volle che concorressero tutti i comuni. Alla città di Torino fu imposta la scavazione di cento cinquanta trabucchi di fossa, e sessanta di palizzata.

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Nel suo ultimo testamento il principe Jacopo d'Acaja nominava esecutore del medesimo il vescovo di Torino Gioevanni di Rivalta. Noi ci ascriveremmo a colpa se qui non facessimo qualche cenno di quest'ottimo prelato, che visse emorì in concetto di santo. Egli era succeduto in questa sede vescovile a Bartolomeo, successore di Tommaso di di Savoja: il pontificato di Bartolomeo durò poco più di un anno; e di lui nient'altro si sa, fuorchè era vescovo di Avignone, quando nell'anno 1562 fu traslato alla chiesa di Torino. Sul principio dell'anno 1364 Gioanni di Rivalta, probabilmente della famiglia Orsini, dottissimo giureconsulto preposito della chiesa cattedrale di questa città, veniva creato vescovo da papa Urbano V. Non tardò molto a fare la visita pastorale della sua diocesi, occupandosi da prima non già delle chiese del marchesato di Saluzzo, come avean fatto varii suoi predecessori, i quali appena preso il possesso del vescovado si conducevano nel Saluzzese, ed ivi rimanendo lungo tempo, mentre provvedevano ai bisogni spirituali di quelle popolazioni, provvedevano eziandio al loro buon essere; perocchè nei saluzzesi colli respirasi un'aria molto salubre, e si gode in abbondanza di eccellenti prodotti animali e vegetali, ed in ispecie di vini squisiti e sani, cui fornisce quel suolo feracissimo. Il vescovo Gioanni pensò che avrebbe potuto far opera degna del suo augusto ministero, recandosi

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primamente nelle valli di Lucerna e d'Angrogna, ben sapendo che ivi era maggiore il pericolo della fede, per cagione degli eretici Valdesi, che sul principio del precedente secolo vi si erano stabiliti. Condusse con seco parecchi sacerdoti per dottrina e saviezza distinti, dell'opera dei quali proficuamente si valse al santo fine ch'erasi proposto: colà innanzi a tutto pensò d'invitare a conferire con lui i capi della setta valdese, ossia i ministri di questi, che chiamansi Barbi o Barba; ben persuaso, che disingannati i maestri dell'errore, facilmente sarebbesi convertita la plebe. Usando di maniere soavissime, fece loro intendere che venissero a lui, quai figliuoli al seno del proprio padre, esponessero liberamente i loro pensieri, nè mai temessero rimproveri o castighi. Lo ascoltarono alcuni di buon grado, ben consapevoli esser egli un pastore amorevole; fuggirono altri; e molti ancora si nascosero. I primi che si presentarono all'egregio vescovo, dopo avere esposte le loro dottrine, aprirono gli occhi alla luce della verità, ed abjurando l'errore, si fecero cattolici; sei solamente rimasero pertinaci nella loro falsa credenza, ed anzi sopramodo irritati concitarono alle armi i cattolici di quella regione; nè si ristettero dai mali atti, finchè venuti nelle mani della giustizia pagarono il fio dei loro delitti. Dopo aver poscia fatto la visita della valle di Susa, ove ritrovò moltissimi abusi da lungo tempo in- ell vecchiati nelle parrocchie, divisò di raunare un sinodo nella chiesa maggiore di Torino; e addì 3 settembre 1368 spedì le lettere convocatorie, le quali tuttavia si conservano nell'archivio arcivescovile: il sinodo si tenne; ma se ne smarriti gli atti. A malgrado di ogni sua pastoral sollecitudine, l'egregio vescovo Gioanni seppe con suo grandissimo ed dispiacere, che non pochi Valdesi, usciti dai loro abituri di Lucerna e di Angrogna, si diramarono nella pianura del Piemonte, e fin presso a Torino, a spargere le false loro dottrine; si oppose bensì tostamente a quegli iniqui tentativi; ma non potè impedire che il P. Antonio Pavone del l'ordine dei predicatori desideroso di premunire i cattolici di Bricherasio dalla seduzione, vi fosse barbaramente trucido dato da alcuno di quegli accattolici, mentr'egli bandiva sulla pubblica piazza di quel villaggio la divina parola. Un altro

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omicidio di tal sorta commisero alcuni furibondi Valdesi nella città di Susa contro il P. Piętro di Ruffia domenicano: dell'uno e dell'altro barbaro avvenimento essendo stato fatto partecipe il papa Gregorio XI, scrisse calde lettere al sabaudo conte Amedeo e al vescovo di Torino, nel marzo del 1375, affinchè usando eglino di tutta la loro autorità reprimessero gli empi attentați di quegli eretici. Obbediva agli ordini pontificii il conte di Savoja, e dopo diligenti perquisizioni, venne a scuoprire che i ribaldi uccisori del P. Antonio Pavone furono Gioanni di Gabrielli, Jacopo Marmitta, Jacopo Francesco Tarditi, Antonio Tarditi, Gioanni e Pietro Buriasco. Il conte coll'assentimento del vescovo pronunciò quindi la seguente sentenza: « la casa propria degli uccisori sarà distrutta sino al suolo, nè sarà lecito a chicchessia il riedificarla; i loro poderi si lascieranno in totale abbandono, nè potrannosi mai più coltivare... venendo i facinorosi uomini a cadere nelle mani dei giudici, saranno tradotti in tutto il Piemonte vestiti d'abito ignominioso, con le mani legate dietro il dorso, e costituiti sulle porte d'ogni chiesa, in giorno di festa, nell'istante che il popolo ne uscirà più numeroso dalle sacre funzioni; e finalmente condotti a Pinerolo si rinchiuderanno in carcere, fintantochè dal consiglio del conte, da quello del vescovo, e dagl'inquisitori della fede venga inflitta quella ulteriore pena che merita il loro delitto »>.

Non ci occorre di narrare a parte a parte quanto fece questo insigne prelato a vantaggio della sua chiesa e dei suoi diocesani. Tutti gli scrittori antichi e recenti si accordano nel dire che il vescovo Gioanni fu adorno di somma virtù, e di grande dottrina, a tal che dopo la sua morte fu onorato col titolo di Beato; e monsignor Agostino Della Chiesa dice che nel villaggio di Rivalta fu eretta una cappella ad

onor suo.

Mentre si agitavano le fierissime contese nella famiglia dei sabaudi principi, delle quali abbiam parlato qui sopra, apprestavansi le armi per una lotta orribile, a cui il conte Verde dovea prendere una parte molto attiva, e valersi anche delle torinesi milizie. I Visconti, che da qualche tempo agognavano al regno di tutta Italia, per conseguire l'ambi

ziosissimo scopo, già si valevanô de' mezzi più iniqui; onde varii Principi e comuni italiani per iscuotere il giogo di quei signori di Milano, si collegarono e scelsero Amedeo VI a supremo capitano delle truppe confederate, perchè questi, oltre al danno comune d'aver sempre dintorno le minacciose ed infeste schiere di Galeazzo, avea pur quella particolare, che le soldatesche milanesi di continuo sostenevano le ostilità del marchese di Saluzzo.

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L'alta riputazione di valore e di saggezza, che universalmente godeva il conte Verde, fece sì che lo assicurassero dei loro ajuti per la concertata impresa parecchi altri po- abuse tentati, cioè il principe Brunswico, tutore del giovinetto, di marchese di Monferrato, i marchesi di Ceva, quelli d'Incisa, si di i Malaspini ed altri possenti feudatarii: gli promisero eziandio non poche truppe il papa Gregorio XI, l'imperatore Carlo IV, la regina Gioanna di Napoli, i principi di Ferrara e di Carrara ed il comune di Firenze. Con tutte queste forze ei si propose di abbattere intieramente le armi viscontee, ed anche le saluzzesi a lui avverse. Nel principio del 1373 fece la rassegna dell'esercito da lui raccolto a non molta distanza da Torino in una campagna spettante al territorio di Rivoli, e senza indugi muovendo con esso, valicò senza contrasti il Ticino, poi l'Adda e il Mincio; e addì 8 di maggio trovandosi presso Gavardo, al fiume Chiesi, vi pose in piena rotta i Visconti. Finito quell'anno, cessarono le ostilità, ed Amedeo nel dì 20 febbrajo del 1574 già entrava in Torino. fra gli applausi della popolazione, e pochi giorni dopo si conduceva nel luogo di Rivoli. A rallegrare le italiche regioni, e a riconciliare i partiti, da cui esse erano divise, e in modo barbaro straziate, venne stipulata, il 19 luglio 1376, la pace generale in Oliveto del Bolognese. Il conte Verde ottenne allora la piazza di Chivasso, ed ebbe la fedeltà de' vassalli del Canavese. Nell'anno 1377 diede l'investitura del Piemonte al principe Amedeo I d'Acaja, che era pervenuto all'anno quattordecimo dell'età sua; e questi venne subito a Torino, ove fu accolto con grandi dimostrazioni di affetto, e di giubilo. Essendo egli stato educato nella corte del conte Amedeo VI da dotti, zelanti e discreti precettori, diè subito prove d'aver tratto profitto

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dei saggi loro ammaestramenti per ben governare i popoli che doveano essere alle sue cure affidati; ma fu subito costretto a pagare cospicue somme di danaro al terribile Simler capitano di ventura, perchè si ritirasse da varie terre subalpine, e se ne allontanasse colle furibonde sue truppe, le quali già minacciavano d'invadere l'agro torinese, e di assalire la nostra capitale. Frattanto il conte Verde acquistava per dedizioni spontanee la città di Biella, e parecchie terre del Biellese e del Vercellese; e Galeazzo Visconti non solo approvò i di lui acquisti, ma nel dì 21 novembre del 1378 conchiuse con esso un trattato di pace. Allo stesso conte Verde, di cui crescevano vie più sempre il lustro e l'autorità, si diedero anche spontaneamente i comuni di Asti e di Cuneo. Fu poi egli mediatore efficace tra i Monferrini signori ed i Visconti, e tra questi e gli Scaligeri.

ludi a non molto, cioè nell'anno 1381, tutta l'Italia ed anzi tutta l'Europa orientale, volse gli sguardi alla città di Torino, sì perchè fu scelta pel luogo, in cui si dovea trattare un negozio della più alta importanza, e sì massimamente perchè il conte Verde, supremo signore di essa città, era stato eletto ad arbitro per definire quel negozio rile

vantissimo.

Durava ancora l'aspra ed ostinata guerra che si facevano da molti anni i Genovesi, ed i Veneziani nel Mediterraneo, nell'Arcipelago e nel golfo Adriatico. Già le liguri schiere avean ridotto Venezia a così cattivo partito, che il senato di quella superba rivale di Genova sconfortandosi avea decretato doversi aspettar quattro giorni, durante i quali, se non ritornasse Carlo Zeno con valevoli soccorsi o non si avesse vittoria si abbandonerebbe Venezia alla discrezion dei nemici: ma il Doge cui veniva trasmesso il codardo decreto, austeramente rammentava i liberi e spontanei giuramenti d'obbedienza, e stava fermo a proseguire le ostilità. Frattanto ai primi di gennajo del 1580 il desideratissimo Carlo Zeno compariva con quindici galee, e molti legni minori sopra il porto di s. Nicolò, conducendo una così grande quantità di grano, che l'armata veneta, e la città ne furono molto bene ristorate, e si rinvigorì l'offensivo loro contegno a danno dei Liguri; con trentasette galee rimase il Doge • 51 Dizion. Geogr. ee. Vol. XXII.

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