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alcuno dei consiglieri palesi, a malgrado del divieto del vicario, o del giudice, o dei rettori, alcuna cosa che debba tenersi secreta, sia espulso dalla società. Prescrive infine la patente, che si debbano osservare, e mandare ad effetto le convenzioni ed i patti stipulati fra il Principe da una parte, ed il comune di Torino dall'altra.

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In questo mezzo tempo i due principi rivali, cioè quel d'Acaja, e quello di Monferrato, scorgendo le loro città ed i loro villaggi spogliati ed arsi, si arresero alle insinuazioni di Gian Galeazzo Visconti, e fecero una tregua in Pavia nel dì 31 di luglio del 1396; la quale per altro fu ancora per due anni interrotta da parziali e fieri assalimenti di entrambe le parti. Il predetto Gian Galeazzo fu perciò un'altra volta. eletto arbitro nel 1598 a porre un termine a questa lotta. Egli pronunziò indi a non molto il suo lodo: fra gli altri articoli volle che si mandasse ad esecuzione un ploma dell'imperatore Venceslao, il quale diploma, contro i diritti inviolabili del conte di Savoja, e del principe d'Acaja, investiva di Torino e di Collegno il marchese di Monferrato; e siccome il principe d'Acaja ricusò di acquetarsi a quel lodo, le cose rimasero nel medesimo stato. Per buona sorte il giovane conte di Savoja nel 1400 scrisse da Ciamberì una lettera per manifestare il suo vivissimo desiderio che si rappattumassero finalmente il principe d'Acaja ed il marchese Teodoro questi aderì alla brama del conte, e lo elesse anche ad arbitro delle vecchie e recenti differenze. Addì 22 novembre del 1400 si concertarono in Torino, e vennero quindi stipulati in Chivasso i capitoli di questo compromesso. Venuta la primavera del 1401, senza che Amedeo VIII avesse pronunziata la diffinitiva sentenza, Teodoro pensò a trattar egli direttamente col principe d'Acaja, e a questo scopo invitollo ad un parlamento, che fu tenuto in Cimena: ivi dunque si conchiuse tra loro una tregua di tre anni e mezzo, il 7 marzo 1401, durante la quale ciascuno ritenesse quanto si era preso in guerra. Nel seguente anno morì Gian Galeazzo; e mancò pure ai vivi il principe Amedeo d'Acaja. Non avendo questi lasciato che due figliuole da sua consorte Catterina di Ginevra, gli succedette il minor fratello Ludovico, il quale desiderando la

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stabile tranquillità degli stati suoi, che ancor veniva di quando in quando perturbata in onta dei precedenti accordi per una durevole conciliazione, aggradì la mediazione del re di Francia per comporre col Monferrato una tregua di dieci anni, la quale divenne una vera pace per la parentela contratta dal marchese Teodoro colla Casa di Savoja, sposando Margarita figliuola primogenita del defunto principe Amedeo d'Acaja. Diciam di passata che questa virtuo sissima Principessa, rimasta poi vedova, fondò in Alba uno spazioso monastero di domenicane, nel quale morì in concetto di santità, e che il venerato suo corpo riposa in un magnifico monumento, che vedesi nella bellissima chiesa di s. Maria Maddalena in quella città.

Il principe Ludovico, fatto cauto e prudente dalle proprie e dalle altrui sventure, dedicossi intieramente a procurare a'suoi sudditi la maggior felicità che goder si potesse a quel tempo; sicchè nacque nel nostro paese una nuova era di tranquillità e di pace. Uno de' primi pensieri di questo Principe fu quello di riformare i costumi delle popolazioni a lui soggette: volle che il più grande rispetto si avesse da tutti per le cose sacre, e che ognuno esattamente osservasse le leggi relative al culto divino, base di una sana morale, e principio d'ogni vera civiltà. Con un editto da lui emanato in Pinerolo il 15 luglio 1405, e subito pubblicato in Torino, stabili pene severissime contro i bestemmiatori, ed altre né minacciò a chiunque osasse dar pubblici scandali in qualunque maniera. Frattanto confermò ai Torinesi tutte le immunità, franchigie, e particolarmente il privilegio del cavalotto; e questa concessione egli fece per aderire alla dimanda che gliene fecero i sindaci di Torino Filippo Beccuti e Malanino Gastaldi, dopo che gli ebbero in nome di tutti i cittadini prestato il giuramento di fedeltà. Ludovico, considerando poi, che ad ottenere il suo scopo di migliorare i costumi avrebbe sommamente giovato la pubblica istruzione, risolvette di fondare uno studio generale nella città di Torino. Già da varii lustri il comunale, consiglio del vicino Moncalieri, per poter secondare efficacemente la propensione che circa le metà del secolo XIV sorgeva nell'Italia occidentale pei buoni studii, apriva in quel comune, a persuasione

del giudice Giorgio Borghesio, uno studio, come dicevasi allora, notevolmente più esteso del consueto; nel quale alle scuole di grammatica si aggiunsero quelle della dialettica e dell'aritmetica.

Or al buon Ludovico d'Acaja sembrò opportunissimo il tempo di fondare in Torino un'università degli studii. Quella di Pavia era in dicadenza. L'università di Vercelli già tanto in fiore, per cagione delle guerre esterne, ed infine per le rinascenti ire delle fazioni interne, era da qualche tempo cessata. Per buona sorte a quest'epoca la città di Torino non era travagliata dalle fazioni e godeva d'una certa tranquillità, che proveniva dall'essere sotto il dominio di principi tanto bramosi di mantenere fra i loro sudditi la pace, quanto disposti a sostenere coll'armi i loro diritti e ad acquistarsi gloria col loro valore. D'altronde i professori di Pavia e di Piacenza chiedevano con istanze a Ludovico la facoltà di aprire pubbliche scuole in Torino. Egli adunque chiamò da Pavia Bertolino de Bertonis affinchè insegnasse in questa capitale la giurisprudenza, e volle che sul principio di novembre del 1404 desse cominciamento alle sue lezioni. Dichiarò essere sua risoluta volontà, che il torinese municipio stipendiasse tutti i professori del novello studio, e loro provvedesse le camere destinate all'insegnamento. Al dottissimo professore Bertolino si assegnarono per annuo stipendio cento trenta scudi d'oro, e se gli diedero quattro lire viennesi, perchè la sua scuola fosse provveduta del necessario. Benedetto XIII, aderendo ai desiderii di Ludovico, con sua bolla data da Marsiglia il 24 d'ottobre 1405, fondò questa novella università, concedendo ai professori ed agli studenti tutti i privilegi e le immunità di cui essi godevano nelle più celebri università d'Europa; stabilì infine che il vescovo di Torino ne avesse la particolar giurisdizione, e che alla di lui presenza, od a quella di un suo legato s'avessero a conferire i gradi accademici. Questo Papa nella bolla di fondazione della torinese università parla con molti elogi di Torino: in civitate taurinensi, dic'egli, de antiquioribus totius Italiae civitatibus, ac habilis et idonea ad studium hujusmodi, tam propter confinitatem multarum provinciarum, aëris salubritatem, victualium abundantiam... Benedetto XII, tuttochè antipapa, era in quel

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tempo nelle nostre contrade riguardato come legittimo Pontefice.

Quantunque il principe Ludovico si fosse adoperato con tutto lo zelo affinchè fiorissero le nuove scuole da lui stabilite in Torino e fossero frequentate da un grande novero di allievi, ciò non di meno nacquero presto gravi contrasti, per cui il suo desiderio non fu compiuto se non più tardi, come si dirà in appresso. Questo Principe, distinguendosi non solo nelle arti della pace, ma eziandio in quelle della guerra, già prima dello stabilimento dell'università ordinava (1403) la costruzione di una fortezza in Torino munita di quattro torri in un luogo verso levante. Fece dilatare ed abbellire la piazza già ivi esistente, e decretò che se ne formasse un'altra, ove si eseguissero giostre e tornei per festeggiare il prossimo arrivo della di lui consorte la qual piazza, siccome posta davanti al castello, ebbe sin d'allora il nome di Platea Castri. Attorno alla quadriturrita fortezza, che sorse d'ordine suo, și scavarono fossati e si costrussero palizzate. Il palazzo, che venne poi edificato in tal sito, ritenne il nome di Madama, perchè la fortezza già ivi esistente chiamossi primitivamente Nostrae Dominae in onore della sposa del principe Ludovico.

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Se non che, a malgrado dell'ultimo accordo tra il principe d'Acaja ed il marchese di Monferrato, palesava questi il suo malcontento che quegli ritenesse tuttavia il dominio di Mondovì, e faceva di tempo in tempo ostili dimostrazioni; sicchè il nostro prode Ludovico, nella primavera del 1407, fu costretto a chiamare all'armi tutte le milizie di Torino di Pinerolo e degli altri comuni per opporre una resistenza efficace alle poderose truppe del signor Monferrino. Sebbene le ostilità si limitassero a scorrerie, senza la presa di alcuna terra di rilievo, tuttavia esse impedivano gli effetti dei saggi provvedimenti dati dal nostro egregio Principe per l'istruzione della gioventù degli stati suoi; chè le frequenti mosse delle squadre dell'una e dell'altra parte disturbavano il concorso degli studenti. Diffatto vediamo, che il professore di leggi Bertolino de Bertonis, non potendo più continuare le sue lezioni per mancanza di alunni che le ascoltassero, fu creato giudice di Torino e di Moncalieri; nella qual carica

satisfece pienamente all'aspettazione del Principe che gliela conferi.

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Per riguardo alle non cessate contese tra il principe Lu-d dovico ed il marchese Teodoro, è bello il dire, che il conte Amedeo VIII coi più accorti negoziati ottenne finalmente di ricondurli ad una solida pace, di cui l'articolo principale impose, che il marchese abbandonasse diffinitivamente Mondovì al Principe, e questi lasciasse al marchese il tranquillo possedimento di Vercelli. Questa pace venne stipulata, il 24 marzo del 1407, nel castello di Leynì: per essa l'avvedutis-, la simo conte Amedeo VIl conseguì un altro suo scopo, cioè quello di maritare la sua sorella Giovanna al primogenito che del marchese Teodoro.

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In tal condizione di cose il principe Ludovico potè richiamare a novella vita l'università da lui fondata in Torino, ristaurare massimamente gli studii delle ecclesiastiche leggi e delle civili, e promuoverne con efficacia l'incremento. Nuovi professori furono chiamati a reggere le cattedre; ed il magnanimo fondatore di così utile stabilimento ordinò, che prontamente si compilassero gli opportuni statuti pel regime. degli studii. In febbrajo del 1412 egli spedì da Pinerolo al-e Lu cuni deputati a Torino per dare a questa città l'incarico di Seguem preparare le camere per le scuole, e di provvedere agli stiil pendi de' professori. Il comune scelse alcuni sapienti, ai quali vi commise l'obbligo di compiere i desiderii del Principe, di esaminare gli statuti formatisi pel reggimento dell'università, e di farvi le emendazioni che avrebbero creduto opportune. Siccome poi si avvide il Principe, che il generale studio da lui fondato arrecava grandissimo vantaggio non solo ai cittadini di Torino, ma eziandio a tutti gli abitanti degli altri luoghi del suo dominio, volle infine che tutti i comuni di sua dipendenza concorressero altresì nello stipendiare i pub-in blici insegnatori: siccome apparisce da ordinati della città di Torino, le scuole ne vennero stabilite nel palazzo Borghese. Ludovico fu poi sollecito a far provare il novello studio generale dall'Imperatore e dalla Santa Sede: l'imperatore Sigismondo lo approvò con diploma emanato in Buda nel dì 1.o di luglio del 1412, ed il papa Gioanni XXIII con bolla del 1.o d'agosto 1413. La bolla di questo Pontefice e il di

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