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ploma imperiale sopraccennato furono poi confermati da Eugenio IV l'anno 1438 con bolla che conservasi negli archivi della città di Torino.

Le cure lodevolissime del principe Ludovico dirette a favorire la pubblica istruzione, non potevano essere coronate da tutto quel buon successo ch'era in cima de' suoi pensieri, perchè il marchese Tommaso di Saluzzo, occupatissimo a dare a lui, ed a' suoi sudditi ogni maniera di disturbi, non cessava dall'eccitare contro i due sabaudi casati la Francia, la quale in seguito a decreti del parlamento, loro sequestrò i beni ch'essi avevano nel gallico stato. Si fu perciò che il conte di Savoja, e il principe d'Acaja colle armi unite mossero contro il Saluzzese; e le ostilità interrotte da brevi tregue durarono sino all'anno 1415, in cui i due prodi Sabaudi con un esercito di ventimila uomini posero così stretto assedio a Saluzzo, che il marchese addi 22 di giugno si vide nella necessità di accettare la pace da essi dettata. In virtù di questa pace ei cedette ad Amedeo VIII i luoghi di Pancalieri e di Polonghera; riconobbe da lui tutta la sua marca ; e riconobbe in particolare dal principe Ludovico i comuni di Revello e di Carmagnola. Nel seguente anno l'imperatore Sigismondo dopo avere innalzato il nostro Ludovico alla dignità di conte Palatino e di suo vicario imperiale in Piemonte, gli notificò la sua intenzione di recarsi in Italia passando per le sue terre: diffatto alli 17 di giugno egli entrò in Torino col suo esercito, e fuvvi accolto con ogni dimostrazione di onore dai cittadini e massime da Ludovico, il quale ebbe quindi la consolazione di maritare al duca di Baviera la principessa Matilde sua nipote; il quale auspicacissimo maritaggio, che venne celebrato con grandi festeggiamenti in questa capitale, ed in Pinerolo, veniva con chiuso per cura massimamente di Ajmone di Romagnano vescovo di Torino, di cui dovremo far cenno qui sotto. Il suddetto imperatore Sigismondo nel suo ritorno dall'Italia, fu di bel nuovo splendidamente ospitato in Torino dal principe Ludovico, il quale accolse poi anche in questa città con grande magnificenza il nuovo pontefice Martino V, eletto nel concilio di Costanza, il quale recandosi a Roma, l'anno 1418, percorse Dizion. Geogr. ec. Vol. XXII.

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il Piemonte, ricevendo da per tutto le testimonianze della profonda venerazione che è dovuta al supremo gerarca. Il principe Ludovico, devotissimo com'era al capo della romana chiesa, diede per tempo gli ordini opportuni per poter accogliere nel miglior modo possibile, e colla più grande splendidezza un tanto personaggio. Gli abitatori dei circostanti comuni vennero in grande novero a Torino per vedere il santo Padre, e godere delle solenni feste che qui si celebrarono in così fausta occasione.

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Il Papa corrispose per quanto potè alle testimonianze di sommessione dategli da Ludovico, e concedette ad istanza di esso molti privilegi alla città di Torino che tanto splendidamente lo accolse: dagli ordinati di questa città si conosce che il Principe chiese al sommo Pontefice esenzioni pel ponte sal Po, e franchigie per l'università degli studi. Alcuni de' nostri storici lasciarono scritto che Martino V fece ricostrurre col suo proprio danaro il ponte su quelle fiume. Ma il vero e, ch' egli concedette molte indulgenze a tutti quelli che avrebbero contribuito con danaro, o con altra maniera d'ajuto alla costruzione già cominciata d'un ponte in pietra sul Po, che dianzi era di legno; e ch'egli medesimo vi contribuì dando a questo scopo tre mila fiorini d'oro. Questo Papa rimase in Torino più settimane, non solamente per riposarsi del faticoso viaggio, ma perchè godeva di trovarsi in una città, dove riconosceva che il Prin cipe ed i cittadini erano egualmente ossequiosi a lui, ed obbedienti alla santa Sede. Fatto è che gli onori che gli furono resi dal principe Ludovico, e dalla città di Torino, furono tanto magnifici, che ei volle descriverli in una sua bolla emanata in questa città. Volgeva al suò termine l'anno 1418, quando il sommo Pontefice partiva da questa capitale. Ludovico era veramente racconsolato di quegli avvenimenti, ma presto fu colto da una grave malattia che lo condusse alla tomba nel dì 6 di dicembre di quell'anno.

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L'annunzio funesto dell'immatura morte di Ludovico di Acaja pose il cordoglio negli animi di tutti i Piemontesi; perocchè sapevano d'aver perduto un Principe giusto, magnaniuo, vero estimatore della virtù e del merito, insigne proteggitore delle scienze, delle lettere, delle buone arti, e d'ogui utile istituzione.

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La città di Torino rese gli ultimi uffizii di pietà alla mortale salma dell'ottimo Ludovico; gli abitanti tutti intervennero alla funebre funzione; e ventiquattro gentiluomini con per torcie accese rappresentarono il corpo intiero dei sapienti preposti alla civica amministrazione. La salma dell'estinto Principe fu poi trasportata da Torino a Pinerolo nel dì 14 dello stesso mese: sessantasei patrizii torinesi la accompagnarono a quella città, ove con funebre pompa fu deposta nel coro della chiesa dei frati minori di s. Francesco, ove già riposavano le ossa de' suoi maggiori. Con Ludovico si spense il ramo de' principi d'Acaja. Da quanto abbiam detto relativamente a questi principi, chiaramente apparisce ch'ebber eglino un'esistenza molto procellosa, e che nelle circostanze difficilissime in cui si sono trovati mai sempre, poterono appalesare le qualità distintive della loro famiglia, cioè una grande lunganimità nell'avversa fortuna, un'ammirabile costanza a compiere i loro disegni, una destrezza non meno grande ad usare le occasioni alquanto propizie. Certo è che senza la loro prodigiosa abilità, il Piemonte sarebbe stato perduto dalla casa di Savoja. I Principi di quest'augusta famiglia, e massime quelli che dominarono al qua de' monti, erano sommamente odiati dai loro vicini; e gli scrittori lombardi non parlano di loro senza animosità sono per altro costretti a confessare ch'eglino, dopo che essersi veduti quasi oppressi dalla casa d'Angiò, restarono possessori in Piemonte d'una gran parte de' paesi ch'erano tenuti nella nostra contrada dagli angioini; che i marchesi dir di Saluzzo e di Monferrato più possenti dei principi d'Acaja ebbero a pentirsi d'aver eccitato querele contro di essi; e che le città libere, e la nobiltà, che da principio si adoperavano con ogni sforzo per discacciarli dal Piemonte, finirono per mettersi sotto la loro protezione.

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Per la morte di Ludovico essendosi estinto il ramo dei ell principi d'Acaja, tutto il suo dominio passò alla devozione di Amedeo VIII come unico agnato, e come signor sovrano: a favore di lui l'imperatore Sigismondo nel suo passaggio per Ciamberì, avea eretto la Savoja in ducato con patenti del 19 febbrajo 1416.

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XLII.

Amedeo VIII viene a Torino, e riceve gli omaggi dei Piemontesi.
Sotto il suo saggio governo assai migliorano i destini di questa città.

Subito dopo la morte dell'ultimo principe d'Acaja, Amedeo VIII al nuovo titolo di duca di Savoja si aggiunse quello di conte di Piemonte, diede al suo figliuolo primogenito il titolo di principe di questo medesimo stato, e venuto a Torino per ricevere gli omaggi de' cittadini, e degli altri sudditi piemontesi, fu ben consolato nel vedere com'essi erano sopramodo lieti di passare immediatamente sotto le sue leggi. I quattro sindaci di Torino in nome di tutti gli abitanti gli giurarono la fedeltà, e n'ebbero la conferma dei privilegi. Erano siudaci Ribaldino Beccuti, Saluzzio De Ruere o Rovere, Castellino De Gonzani, e Malano Gastaldi.

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Vennero successivamente le deputazioni degli altri comuni a prestare al Duca il dovuto giuramento di fedeltà. I Pinerolesi si fecero rappresentare dai più illustri loro concittadini, che furono ricevuti dal novello sovrano il 17 dicembre in una sala del castello di Torino alla presenza del torinese vescovo Aimone di Romagnano, dell'abate di s. Michele della Ghiusa Gioanni Seytureri, e di molti altri ragguardevolissimi personaggi. I deputati di Pinerolo fecero ciò che avean fatto poco prima quelli di Torino; cioè gli uni dopo gli altri colle ginocchie piegate, e colle mani poste entro quelle del Duca ed interveniente oris osculo in segno di perpetua, indissolubile alleanza, e con tutte le altre solennità che si usavano in siffatte occasioni, secondo lo stile dell'omaggio ligio, riconobbero con giuramento di essere fedeli e sinceri sudditi del duca Amedeo VIII.

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In quei giorni era capitano del Piemonte un Arrigo di Colombier. Il Duca prendendo possesso di questo paese, lo conservò nella sua carica, perchè glien'erano conosciuti i talenti, lo zelo, e la rettitudine. Un consiglio che risiedeva in Pinerolo, ed era ad un tempo consiglio di stato, e corte di giustizia, fu indi a non molto traslocato a Torino, ma le prime cure di Amedeo VIII furono dirette a compier l'opera riguardante il pubblico insegnamento, cioè a rendere

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vie più proficua e splendida l'università degli studi già stabilita in Torino dal buon principe Ludovico; e con tanto miglior animo adoperossi in questa bisogna, in quanto che le lunghe guerre avevano fatto così dicadere gli studi in Lombardia, che alcuni dei più valenti professori di Pavia e di Piacenza avevano già, come già si accennò, supplicato il principe d'Acaja, affinchè loro permettesse di venir a leggere negli stati suoi: oltrecchè la stessa università vercellese già tanto celebre, è probabile che cessasse quando ebbe principio quella di Torino.

Amedeo VIII fu chiamato il primo legislatore della università torinese; egli ne affidò il governo ad un consiglio composto del capitano, ossia governator generale del Piemonte e di tre riformatori. Nel suo decreto il magnanimo Duca diede il nome di Figlia a questa università, come fecero i re di Francia per quella di Parigi. Ne' suoi principii la nostra università traeva le entrate dalla gabella del sale: Amedeo ne stabilì la tassa, e le regole dell'esazione; e di più vi aggiunse una rendita dovuta dalla città di Torino; ma ciò che più rileva, egli procurò che i professori delle varie scienze fossero uomini forniti del più alto merito. Diffatto a sostenere le cattedre di quest'ateneo si videro a quei tempi, fra gli altri sommi uomini, Giacobino di s. Giorgio, Claudio di Seyssel, Pietro Cara, Gian Francesco Balbo, e Nicolò suo fratello, Gian Francesco Porporati, Gioanni Nevizzano, Gerolamo Cagnoli, tutti peritissimi della giurisprudenza, e Pietro Bairo venuto in gran fama pel suo profondo sapere nelle mediche discipline. Fu sì grande la stima in cui era salito il Cara, giureconsulto e latinista, che venivano ad udirne avidamente le lezioni non pochi giovani non solo dalle altre contrade dell'Italia, ma ben anche dagli stati di Francia, Spagna, Inghilterra, Lamagna, Danimarca e Moscovia. Anche nella facoltà teologica si conferivano gradi a stranieri di lontani paesi, come accadde ad un Olandese, cioè al rinomatissimo Erasmo.

Amedeo VIII, dice il continuatore di Fleury, governò i suoi popoli con tanta sapienza e probità, amò per sì fatto modo la giustizia, che fu chiamato il Salomone del suo secolo; e i più grandi Principi lo presero ben sovente per arbitro

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