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delle loro differenze. Si rendette anche degno di quel glorioso soprannome colle sue istituzioni amministrative, politiche e giudiziarie. Fu il primo a introdurre in Piemonte, ed in Savoja un modo uguale di riscuotere le pubbliche imposte, ed una regola uniforme di rendere la giustizia. A questo nobile scopo fece ridurre dal suo cancelliere Gioanni di Beaufort in un solo corpo le leggi de' suoi antenati, ed introdurvi le migliori tra quelle ch'ei trovò in vigore appo le vicine nazioni: volle che il nuovo suo codice contenesse anche le disposizioni legali ch'erano richieste dalla fusione dei differenti popoli riuniti sotto la sua potenza. Fu questa raccolta di leggi che tre secoli dopo servì di fondamento alle RR. CC. Un così eccellente sovrano imponeva ai tribunali degli stati suoi un sacro dovere di giudicar per le prime le cause dei poveri, e di dare gratuiti difensori agli indigenti. Questa sola disposizione basterebbe a far apprezzare il codice di un Principe così grande.

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La smoderata passione del giuoco cominciava essere rovinosa a molte famiglie di Torino, e di altri paesi del Piemonte; ei la represse con saggi ordinamenti; proscrisse i giuochi d'azzardo; e favorì gli esercizii corporali che tendono a sviluppare la forza e la destrezza.

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Siccom'egli era versato nella romana giurisprudenza, così volle farla prevalere in Piemonte ed in Savoja. A questo fine aumentò il numero dei giuresconsulti, onde componevasi il superiore consiglio, o corte di giustizia, che di fresco d'ordine suo stabilivasi in Torino. Volle che il suo cancelliere fosse trascelto nella loro classe, senz'altro riguardo che al sapere e alla pubblica estimazione. Concedette ai legisti del suo consiglio supremo, e a quelli della camera dei conti, il titolo di cavaliere, allo scopo di accrescere la stima loro dovuta, e di ravvicinarli ai signori ed ai prelati, coi quali dovevano sedere. Questi legisti non erano da prima che una specie di scribi, applicati alle corti superiori, ove i baroni, e sovente anche prelati, forniti di poche lettere, e di poca scienza rendevano soli la giustizia per riguardo al diritto dei loro feudi o delle loro sedi. Il duca di Savoja amò di innalzare alla dignità di cavalieri questi ultimi riputati giureconsulti, di qualunque origine essi fossero, pur

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chè godessero fama d'uomini dotti e probi. Volle eziandio che i giudici nelle terre dei vassalli fossero licenziati in leggi, ed ordinò ch'ei tenessero le assise una volta l'anno.

D'un altro oggetto di molto rilievo si occupò il saggio e provvido Amedeo; cioè determinò i limiti e le forme della. giustizia canonica, e dopo molte pratiche con la Santa Sede ne oltenne finalmente la riforma del clero degli stati suoi; e questo non potè a meno di riuscire di grande utilità in un tempo, in cui influivano molto sui giovani ecclesiastici le soverchie ed incomportabili sofisticherie che s'erano introdotte anche in Torino per l'alterigia e la presunzione di ada certi frati mendicanti, che non volevano sentir censurate le loro opinioni e i loro pregiudizii; a tal che alcuni di -per. essi non dubitavano di scrivere contro il papa Gioanni XXII, sor perchè fu loro contrario in certe loro vane ed illusorie questioni: d'altronde dovette riuscire molto giovevole la riforma del clero introdotta in Piemonte per opera di Amesere deo; perocchè il rilassamento e la sregolatezza de' chierici divenivano lo scopo alle censure dei laici, e impedivano quei sommi vantaggi che deggiono derivare dall'esercizio che del sacerdotal ministerio.

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Per riguardo all'amministrazione della giustizia il Duca en regolarizzò le udienze dei castellani e dei bali per modo Ach'esse più non offrissero che mezzi di conciliazione per le

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piccole controversie. Stabilì infine i giudici maggiori, de-. estinati a conoscere e diffinire le controversie che solevano insorgere tra i vassalli ed i comuni: questi tribunali dovetrotero riuscire tanto più utili, in quanto che i vescovi di alcune provincie esercitavano ancora la giustizia civile nelle loro città episcopali, ed anche nella maggior parte de' luogbi delle loro diocesi. Quest'ottimo sovrano fece quanto potè per conseguire che i tribunali e le corti di giustizia fossero tenuti in grande considerazione, e gli venne fatto di renderle indipendenti da quelle del capo dell'impero. Con patenti del 1422 l'imperatore Sigismondo dichiarò, che nessun appello negli stati di Amedeo potesse portarsi alla camera imperiale. Sin d'allora la competenza della suprema corte di Torino abbracciò non solamente il giudicio in ul-* timo appello di tutti gli affari civili e criminali, ma ben

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anche gli appelli, come d'abuso delle giurisdizioni ecclesiastiche.

Per questi tanto saggi provvedimenti ciascun vede che la città di Torino non potè a meno di avvantaggiarsi grandemente; massime dacchè la sua università degli studi si trovò in grado di fornire i tribunali di eccellenti legisti, di dotti medici, ed anche di ecclesiastici meglio istrutti nel diritto canonico, e nella scienza delle divine cose; oltrecchè il duca Amedeo avendo concepito il disegno di estendere lo stato del Piemonte verso la Lombardia, volle che Torino divenendo la capitale di un più ampio stato d'Italia, non solo fosse in avvenire vieppiù florida, ma si trovasse meglio assecurata dalle ostili aggressioni per mezzo di un nuovo, più proficuo sistema militare.

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Quantunque l'amore per la pace, per l'ordine e per giustizia fosse il carattere distintivo di Amedeo VIII, ben pochi principi di sua famiglia si mostrarono più risoluti e fermi nelle occasioni che richiedevano il suo coraggio, ed il suo valore. Costrinse il marchese di Saluzzo a riconoscere la dignità di vicario perpetuo dell'imperio, di cui era rivestito, e fece sventolare il suo vessillo, e lo stendardo imperiale su tutti i castelli del marchesato. Egli sin dall'anno 1401 avea già mandato ad effetto la cessione della città di Geneva, fatta dall'imperatore Arrigo V ad Amedeo 1; colse allora l'opportunità della potente colleganza che formavasi contro Filippo Visconti, per cui simulò di parteggiare a fine di strappargli, se questi nel voleva distogliere, la risegna delle giurisdizioni, che quella famiglia avea acquistato, tanto sulla città di Vercelli, quanto su tutte le provincie, poste álla destra sponda del Sesia. Il principato di Masserano, tra Biella e Vercelli racchiuso, credette più convenevole di porsi sotto il freno di così possente sovrano, che di proseguire ad esser soggetto a quello della chiesa di Roma. Chivasso, rocca molto importante per la securtà di Torino, era ritornata sotto la signoria del marchese di Monferrato; il quale per altro fu costretto a restituirla ad Amedeo, e con essa gli cedè le terre di Settimo, di Brandizzo, e Ozegna.

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Con siffatti progressivi incrementi la transubalpina signoria

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al momento della rivoluzione sotto Carlo III, abbracciava al rovescio delle alpi, tranne il Delfinato, le provincie, dalle ripe del Lago Lemano sino al mar Mediterraneo, ed ella su questo lido si estendeva dalle bocche del Varo sino alla foce del Roja; e di qua dalle alpi dalla sinistra del Po sino al congiungimento del Sesia con esso, seppure se n'eccettui qualche terra, che la casa di Monferrato occupava ancora su quella sponda. Essa, alla destra del Po, inserrava le regioni tra il Tanaro e lo Stura, e quelle da' confini del mardia.s chesato di Saluzzo sino alle frontiere del basso Monferrato; questi due feudi per altro andavano ligii all'omaggio verso la casa di Savoja. Se la potenza dei sabaudi Principi era eziandio rafforzata da lontani possedimenti al di là dai monti, il vicariato dell'impero da Carlo IV e da' suoi successori in quella famiglia confermato, fu un non men fecondo mezzo del dominio dei sabaudi principi al di qua dalle alpi; privilegio questo, che loro dava nel Piemonte, nell'Insubria e nella Liguria l'uso eventuale de' medesimi diritti onde godevano gli stessi imperatori in quelle contrade. Un atto del 1582 presenta un'idea dell'accrescimento di potenza, che un tal privilegio somministrava alla casa di Savoja; da quell'atto si deduce che le città e signorie della sola Lombardia già pagavano al conte Verde 315529 fiorini d'oro, ragguardevole somma in quell'età.

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Ora vuol essere indicato il sistema militare, cui adottò il saggio duca Amedeo VIII; sistema per cui la città di Torino, e tutte le altre piazze del Piemonte furono meglio assecurate contro le ostili invasioni. Era opportuno sotto questo Duca il risorgimento della subalpina milizia. La potenza e la riputazione ch'ebbero i condottieri delle compagnie di venturà, e specialmente Gioanni Augusto, dovettero necessariamente risvegliare fra i Piemontesi, de' quali fu già qualità dominante il valor militare, una lodevole invidia, e muovere in molti il desiderio di procacciarsi una fortuna per la via dell'armi. I primi che animarono a correre questa via i nazionali, furono Alberico Balbiano, e Ceccolo Broglia piemontesi. Dalle scuole di questi due capitani, e specialmente di Alberico Balbiano uscì una numerosa schiera di valenti capitani che rivendicarono, se non altro, l'onore

della nazione, vilipeso sì ignominiosamente da capitani di ventura, e dai loro masnadieri, che dal principio del secolo precedente avevano tiranneggiato la subalpina contrada, e le altre italiche regioni. Nel numero di ben 130 condottieri che si trovarono nell'esercito della lega contro il Visconti, appena due o tre de' men conosciuti erano stranieri; e invece degli Auguti, degli Anichini e de' Corradi, si udirono in Italia i nomi di valorosi condottieri italiani, cioè di Braccio, di Sforza, della Pergola, del Verme, d'Orsini, di Malatesta, di Gonzaga, di Manfredi, e di Carmagnola.

Non è dubbio che da tale risorgimento della milizia non risultasse questo vantaggio all'universale della nazione, che le contribuzioni, i larghi stipendi, i maltolti e gl'iniqui frutti de' saccheggi restavano pure nella provincia; laddove ai tempi delle compagnie tedesche ed inglesi, ne uscivano e passavano altrove tesori inestimabili, che quei capitani e le loro barbare genti adunavano tra paghe, taglie, prede e ruberie. Nè fu poi legger vanto ed onore della nostra nazione, che il duca Amedeo VIII abbia risoluto di formare una milizia tutta composta di prodi subalpini. Mentre gli stati della casa di Savoja erano divisi fra' suoi due rami, le milizie della porzione di qua da' monti, che apparteneva ai principi d'Acaja, concorsero per poco a prosperi successi de' conti sabaudi al di là dalle alpi; ma allorquando, spento il ramo d'Acaja, tutto il dominio passò alla devozione di Amedeo VIII, egli di somma perspicacia fornito, considerò la milizia piemontese siccome la principal molla del nuovo disegno d'ingrandimento, che gli consigliavano verso l'Insubria la cessione del Delfinato alla Francia, e la riunione a questa corona della Borgogna. Ei riflettendo allora che gli abitanti della Savoja, separati dalla giogaja delle alpi, erano in grado di assecondare i suoi nuovi divisamenti, perchè una gran parte dei municipii della Savoja erano stati, a cagione del loro affrancamento, dispensati dal guerreggiare al di qua dal san Bernardo, e dal monte Cenisio, rivolse ogni cura all'ordinamento in Piemonte di una milizia, alla quale potesse in qualunque tempo affidarsi, e disporne a sua posta. I suoi castellani furono dunque incaricati di formar ne' loro distretti un ruolo di tutti

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