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dallo Sforza, e con grande coraggio respingevano i sabaudosubalpini, che presi dallo spavento abbandonarono in fretta i luoghi già occupati di quella piazza. Il mal esito del tentativo sopra Novara, ben lungi dal rendere avvertito il Compeys del lombardo valore, lo inasprì, e lo rese cieco sulla futura sua sorte. Scorse, egli è vero, furiosamente le terre del novarese contado, e ne trattò crudelmente gli abitanti; ma lo Sforza, che a quel tempo assediava la rocca di Marignano, mandò speditamente a combattere i sabaudo-piemontesi il valoroso Coleone, il quale, raggiunte le truppe del Compeys sulle rive del Sesia, pienamente le sconfisse, ferì il loro condottiero, e fecelo prigione.

L'annunzio di questa rotta mise la tristezza nell'animo dei Torinesi, massimamente perchè ebber eglino il doloroso annunzio che parecchi dei militi loro concittadini valorosamente combattendo perdettero la vita, e non pochi, soperchiati dal maggior numero dei nemici, caddero prigionieri. Il duca Ludovico, il quale si trovava nella loro città, mandò un altro generale, cioè Gaspare di Varax, a prendere il comando delle sconfitte schiere del Compeys. Il Varax, che venne con truppe di rinforzo, e sulle prime si mostrò più guardingo nelle mosse che il suo predecessore, raccolse le sabaudo-piemontesi soldatesche, che ivano qua e là depre dando, e tentò di sorprendere Borgomanero. S'ingaggia una battaglia sanguinosa: i nemici sono sbaragliati; e già recasi a Novara la notizia della loro disfatta: essi per altro di bel nuovo si rannodano, ricevono buoni rinforzi, circondano i capi del nostro esercito, e sono un'altra volta padroni del campo di battaglia: tutte le bagaglie delle truppe sabaudosubalpine caddero nelle mani degli Sforzeschi, i quali fecero anche prigioni molti dei nostri fanti, e più di mille cavalli. Il conte Sforza, minacciato allora di essere abbandonato dai Veneziani, e vedendo l'importanza di aver presto Milano per consolidare sul suo capo la corona ducale, scrisse immantinente una lettera al cardinale Amedeo, che viveva a quei giorni in Ripaglia, nella quale cercò di persuaderlo ch'egli era disposto a non proseguire la sua vittoria, e ad offerire la pace. I cardinale Amedeo, senza frapporre indugi, discese le alpi, venne a Torino a persuadere il duca suo figliuolo

a desistere dalle ostilità. In questo mentre lo Sforza spedi alla nostra capitale il vescovo e il podestà di Novara ad aprire i preliminari della bramata pace; e il duca Ludovico dal canto suo mandò allo Sforza il vescovo di Torino Ludovico di Romagnano con altri illustri personaggi per negoziare del definitivo accordo. Gl'interessi erano complicati, ed eccessive le pretensioni reciproche: tanto il nostro Duca, quanto lo Sforza avean bisogno di pace, e volean darsi ad intendere che lo facevano per generosità. Seppe così bene maneggiare questi affari politici il nostro vescovo Ludovico, che al suo ritorno a Torino, la pace fu sottoscritta nel ventesimo giorno di febbrajo del 1450. Secondo il Simonetta lo Sforza, per quel trattato concedette a Ludovico di Savoja i paesi ed i castelli che le sue truppe occupavano nelle provincie di Pavia, di Novara e di Alessandria. I Torinesi si rallegrarono di questo avvenimento; ma lo Sforza funne lietissimo; perocchè a questo modo paralizzò un nemico, che, raccolte nuove soldatesche, potea dargli grandi disturbi, e si trovò più in grado di soperchiare gli altri suoi possenti avversarii. Gli storici piemontesi non possono a meno di rimproverare il duca Ludovico, che si lasciò adescare dall'astutissimo Sforza; quando un altro principe più accorto e valoroso, in pari circostanze, non avrebbe lasciato respirare il nemico dopo i primi successi, sarebbe ito prontamente a soccorrere i Milanesi stretti d'assedio, ed avrebbe aggiunto allo stato subalpino una gran parte della Lombardia. Il cardinale Amedeo, dopo la stipulazione di quest'accordo, sen rimase ancora per lo spazio di due mesi in Torino per provvedervi ad alcune cose relative al culto divino; e quindi per lo stesso motivo recossi a Geneva, ove caduto gravemente infermo cessò di vivere nel convento detto del Palazzo, dei PP. domenicani, addì 7 gennajo del 1451; e la mortale sua spoglia fu, due giorni dopo, trasportata a Ripaglia, e colà seppellita nel coro della chiesa di s. Maurizio.

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Ora i Veneziani s'avvedono che lo Sforza loro, alleato è per divenire un principe più terribile della repubblica lombarda; aprono perciò trattative col senato di Milano per costringere lo Sforza a star contento di un principato, composto di Novara, Alessandria, Parma e Pavia. L'ambizioso

guerriero dissimula in sulle prime, dichiara quindi aperta mente ch'ei vuole tutta intiera la dote di sua moglie ; rigetta le truppe ausiliarie che il veneto senato spedisce a Milano; continua più vigorosamente l'assedio; mentre che i. suoi emissarii raddoppiano di attività per guadagnargli l'aé nimo della popolazione di Milano, la quale già trovandosi in: preda agli orrori della fame, e riconosce volontieri il suo salvatore in colui che loro porta il pane, di cui già soffrono la privazione. I Milanesi scacciano i loro magistrati, uccidono il veneziano ambasciadore Venieri, aprono le porte della loro città, e proclamano Duca sovrano colui, che poco innanzi essi proscrivevano come un traditore. Lo Sforza mostrasi generoso, entra non qual vincitore che trionfi d'una città nemica, ma sibbene come un padre che affreitasi di nutrire e di difendere i suoi figli ha provvisioni di vittovaglie, e le introduce in Milano prima di entrarvi egli stessa. Questo primo atto di sua benevolenza verso quei cittadini fa ch'eglino tutti s'accordano a dire, che mai usurpatore divenne un miglior sovrano.

Allora la repubblica di Venezia volendo vendicare la morte del suo ambasciatore, ed umiliare un fiero vicino, forma contro lo Sforza un'alleanza con Alfonso di Aragona, e coi duchi di Savoja e di Monferrato. Di concerto con Alfonso ella dee assalire questo nemico da una parte, mentre il duca sa baudo, ed il signor monferrino lo incalzeranno dall'altra. Male alleanze più sembrano terribili, meno hanno forza reale; quella di cui qui si parla, non produce alcun avvenimento memorabile. Il re di Francia Carlo VII paralizza le forze del duca di Savoja, esigendo da lui il passaggio delle galliche truppe attraverso la Savoja ed il Piemonte; ed esse vengono ad arrecare grandi disagi ai Torinesi. Renato d'Angiò distacca il marchese di Monferrato dalla quadruplice alleanza, appena pervienė a Casale. Da questa città si ́avanza con un fiorito esercito sino a Milano; e poco tempo dopo sen ritorna in Francia privo d'allori. Ella è cosa singolare che un eremita agostiniano, per nome Simonetti, senza dottrina e splendore di nascita, ha la gloria di riconciliare i principi italiani, i quali stipulano un accordo a Lodi, in forza del quale il Bresciano ed il Bergamasco sono incor

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porati ai dominii di Venezia; lo Sforza conserva il rimanente dello stato milanese; ed il nostro duca · Ludovico sit lascia togliere la porzione dell'Alessandrino e del Novarese, che eragli stata ceduta quattro anni prima. Tale fu il risul tamento di questa gran lotta, alla quale il duca di Savoja ebbe una parte di ben poco rilievo, e che impoverì vieppiù gli stati suoi, scemò viemmaggiormente il suo potere, e da cui non raccolse alcun frutto. Egli temporeggiò, quando era necessario d'agire con vigoria; armò troppo tardi ; diedes il comando delle sue truppe a suomiņi di pocal abilità gesoffrtgravi rovesci; non seppe trar profitto degl'imbarazzi in cui si trovò il suo nemico; non mostrò nè l'attività d'un conquistatore, nè gli accorgimenti di un politico, nè il talento d'un conciliatore. I suoi interessi furono al tutto sacrificati nel trattato definitivo; in una parola, ei non seppe fare nè la guerra, nè la space. Questa inerzia e questa dappocaggine sono tanto più da osservarsi, in quanto che offrirebbero un esempio quasi unico nei fasti della casa di Savoja, se sgråziatamente non si fosse rinnovato ai giorni nostri.

Se vedesi con rincrescimento come il duca Ludovico sostiene malamente al di fuori gl'interessi della sua corona si scorge più ancora con afflizione l'interno degli stati suoi, ove dominano gl'intrighi, e tutto offre l'orribile aspetto della guerra civile. Per lo più si attribuiscono tutte le calamita! del suo regno alla duchessa orgogliosa che distribuivaiglis onori e gl'impieghi a' suoi favoriti, e disponeva a suo ta lento delle finanze: si attribuiscono pure a Filippo il più turbolento de' suoi figliuoli, ch'erasi mosso alla testa dei ris voltosi. Ma la storia rivolge i suoi rimproveri al principe regnante, che dovea scegliere depositarii di sua confidenza e di suo potere che fossero veramente degni di rappresentarlo nell'esercizio della sovranità, e gli chiede un conto severo del bene che omise di fare, e dei misfatti che lasciò commettere principalmente in Savoja. Qui non occorrendoci di dover parlare delle gravi turbolenze che accaddero oltremonti nel tempo dell'infelicissimo suo governo, possiamo almeno riferire alcune cose avvenute in Torino, che tornano ad onore di lui.

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Il consiglio di giustizia che sotto i principi d'Acaja risies

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deva per l'ordinario in Pinerolo, principal luogo della loro residenza, era poi stato trasferito a Torino. Da questa capi-a tale, per gl'intrighi de' cortigiani, quel consiglio» erasi tra-i slocato a Moncalieri. Ora la città di Torino manifestò ab duca Ludovico il suo vivissimo desiderio di aver anche fra le sue mura una corte di giustizia, con suprema autorità di› terminare qualsivoglia litigio, senza che vi fosse più luogo ad appello. E per ottenere il suo intento offerì due mila fiorini d'oro al Duca, il quale, stabilì subito in Torino la residenza perpetua del supremo consiglio di giustizia ; e così cessarono le forti lagnanze che solean muovere i Torinesi e gli altri subalpini sulle difficoltà che incontravano nel condursi per le loro liti al supremo consiglio sedente in Ciamberl. La città di Torino offerse ancora al Duca tre... mila, fiorini, perchè investisse il consiglio dell'autorità del prefetto pretorio; il qual favore gli fu conceduto in virtù di lettere patenti del 15 di marzo dell'anno 1449.

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Qualche tempo innanzi l'augusta nostra città erasi al legrata; perocchè siccome capitale del Piemonte poteva estendere la sua influenza sopra uno stato più esteso. Chè il suo Duca ricevuto aveva l'omaggio spontaneo di Crescen-> tino dal nobile Giacomo de' Tizzoni vercellesi; ed avea pur anche ricevuto quello di Mentone e Roccabruna da Gioanni Grimaldi; oltrecchè i marchesi Giorgio e Carlo del Carretto da lui riconobbero parecchie terre, tra cui Zuccarello, Bare dinetto, Castelvecchio e Castelbianco. A ciò si arroge che i Torinesi in quel tempo non temevano nessun tenta» tivo contro di loro per parte dei principi saluzzesi, i quali precedentemente miravano quasi di continuo ad invadere il loro distretto; perocchè il saluzzese principe Ludovico 1 mostravasi affezionatissimo al duca Ludovico di Savoja, ło‹visitava di spesso, nè mai piegossi›a prestare al re di Francia il chiesto omaggio, sino a che potè ricusarlo senza carri schiare la sicurezza del proprio stato.

Alcuni scrittori pretendono che il duca Ludovico sia stató il primo a concedere l'apertura di canali alla capitale del Piemonte per l'irrigazione de' giardini, e per la nettezza delle sue strade: si vuole eziandio che Torino gli fosse debitore del primo bastione, detto Bastion Verde, che fu co

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