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e troppo turbolenti per governare, non fecero uso del loro natural valore e della loro ardente attività, che per accrescere i disordini, mentre pretendevano di mettervi un riparo. Il quinto figliuolo, conosciuto allora sotto il nome di conte di Bressa, e poi sotto quello di Filippo Senza-Terra, fu nel corso di quattro regni, se non il capo de' faziosi almeno l'anima dell'opposizione, con un'audacia, che pose l'amarezza negli animi de' suoi parenti.

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Questo Principe, nato con un'indole ardente, si mostrò fiero dei rari talenti, di cui l'ornò la natura, si crede chiamato a togliere gli abusi; e si comportò con tant'impeto a compiere certi fatti, che impressero al suo nome una macchia indelebile: egli per verità non aveva l'intenzione di levare contro il suo padre lo stendardo della rivolta; ma indegnato dei disordini, ch'erano tollerati dalla debolezza paterna, deliberò di arrestarne il corso. Se non che egli non avea missione per ottenere il suo intento. Non prevedeva l'impru dente il precipizio in cui lo traeva un primo passo fuori della linea del dovere. Immolare di sua mano Gioanni di Varax, cavaliere di Rodi, intendente della casa della duchessa; mettere in prigione è perseguitare a morte Jacopo Valperga, conte di Masino, che non trovò salvezza fuorchè nella fuga; sottomettere ad arbitrarie inquisizioni tutti quelli che avevano avuto parte all'amministrazione delle finanze; ecco i primi saggi delle sue strane riforme.

Questi attentati spargono la costernazione alla corte. Il Duca e la Duchessa, che si trovavano in Tonone, si ritirano a Geneva; i loro favoriti prendono la fuga portando seco le ricchezze mal acquistate. Il giovane Principe, che non perdeva di vista l'oro portato via da que' fuggitivi, arditamente se ne impadronisce. L'uso che ne fa dimostra che le sue intenzioni non sono cattive, anche quando i suoi fatti appajono detestabili. Egli va a consegnare quei tesori a suo padre, smascherandogli i perfidi servitori, che abusano della confidenza del loro sovrano. Il padre, profondamente afflitto, non vede in quel suo figliuolo che un ribelle, e lo risospinge perciò con orrore, ordinando ad alcuni commissari di sopravvigilare sulla condotta di lui; ed intanto ne abbandona i complici ai tribunali.

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La severità e la fermezza d'animo, di cui il Duca fece prova in questa occasione, dovette inculcare al presuntuoso Principe una verità, che avea bisogno d'imparare; quella cioè, che le migliori intenzioni non possono mai legittimare un'azione, così colpevole di sua natura, com'è quella di tutto osare contro la volontà d'un padre.

Questo infelice padre andossene allora presso il re di Francia per poter arrestare, coll'ajuto di lui, l'impeto del suo figliuolo, divenuto terribile alla testa de'faziosi. Luigi XI, che poco innanzi era salito sul trono, mostrandosi poco delicato sui mezzi purchè conseguir potesse il propostosi fine, attirò in Francia Filippo Senza-Terra sulla fede di un salvocondotto, lo fece incarcerare nel castello di Luches, e fece mettere i signori del suo seguito in diverse fortezze; nè loro fu restituita la libertà, se non dopo due anni di detenzione, e sulla loro solenne parola di non più immischiarsi nelle cose di governo.

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Dopo un soggiorno di tredici mesi in Francia, il duca di Savoja rientra negli stati suoi. Ma la sua sanità da qualche tempo erasi molto alterata. Il cordoglio ch'ei prova di non poter cicatrizzare le piaghe dello stato, le fatiche del viaggio, lo esacerbarsi della podagra, a cui andava soggetto, tutto concorse ad accelerare la sua morte, avvenuta in Lione addì 29 gennajo 1465. La mortale sua spoglia venne trasportata a Geneva e sepolta nella cappella di s. Maria di Betlemme; cuore fu deposto nella chiesa de' PP. Celestini di Lione, fondata dall'augusta Casa di Savoja, ove se ne leggeva l'epitaffio, lavoro di Andrea Rolando, poeta vercellese. A Ludovico succedette il suo primogenito Amedeo IX. Questi aveva diciassette anni quando sposò Jolanda di Francia, ch'eragli destinata sin dalla culla. Luigi XI essendosi maritato a Carlotta di Savoja, sorella di Amedeo IX, li univa un doppio legame. Amedeo, subito dopo la morte del suo genitore, fu chiamato a Ciamberì, ove convocò gli stati generali per deliberare sulla difficile alternativa, in cui si trovava. Spedì deputati a ricevere gli omaggi dei Torinesi e 'degli altri subalpini; e indi a non molto venne personalmente a Torino, ove, soffermatosi qualche tempo, confermò 'al corpo municipale i privilegi già statigli conceduti da'suoi

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predecessori, e fece larghe concessioni alla nostra università, la quale in questo tempo, a malgrado de' guerreschi movimenti ond'era travagliato il Piemonte, godeva i benefici effetti prodotti dalla munificenza con cui il duca Ludovico avevala favoreggiata: ed invero nel torinese ateneo fiorivano allora massimamente gli studii della giurisprudenza, che veniva insegnata da eccellenti professori, quali furono Costanzo Ruggero da Barge, Vignate Ambrogio e Denigelli Cristoforo, entrambi nativi di Torino, Michelotti Giacomino da s. Giorgio, Ponsiglione Gioan Antonio da Moncalieri, elevati poscia alla dignità di presidenti nel senato di questa capitale.

Il Duca ricondottosi a Borgo in Bressa, ed indi a Ciamberì, nutriva pensieri di pace. La Lega, detta molto ́impropriamente del ben pubblico, già erasi formata. I Principi francesi, ed i grandi feudatarii volevano togliere al Re il potere, ed i privilegi, di cui s'erano lasciati spogliare. Allo scopo di avere il popolo in loro favore, gli dipingevano questa lotta come favorevole a' suoi interessi. Luigi XI, dice Villaret, era perduto infallibilmente, se la condotta de' suoi nemici fosse stata uguale al loro furore. Egli non avrebbe potuto atterrare l'idra, che doveva combattere: felicemente per lui quel mostro, armato di cento braccia, mancava di testa. Il duca di Berry, fratello del Re, era capo di quella fazione. Sotto di lui si segnalavano i duchi di Borgogna, di Borbone, di Bretagna, e il conte di Dunois. Il duca di Savoja fu sollecitato dall'uno e dall'altro partito a riunirsi a loro. Non era per lui senza rischio il dichiararsi contro i duchi di Borbone e di Borgogna, suoi possenti vicini: le popolazioni della Savoja si mostravano favorevoli ad essi; ma la causa del Re pareva la più giusta, e Jolanda parlava pel suo fratello; doppio motivo di preferenza. Tanto più che v'erano interessi fra le due corone della Francia e della Savoja di tal natura, che parve di minor pericolo ad Amedeo il consentire in parte alla domanda del Re, che starsene totalmente neutrale. Egli perciò concede il passaggio alle truppe di Galeazzo Maria Sforza, che prontamente se ne va al soccorso di Luigi XI, e spedisce ei medesimo a quel Monarca truppe ausiliarie sotto la condotta di alcuni illustri gentiluomini: ciò avrebbe bastato per avvilupparlo

contro sua voglia in una guerra rovinosa, se non succedeva presto la pace tra i due rivali. Il conte di Bressa, posto in libertà dal re Ludovico, venne con Giacomo conte di Romont, suo fratello, in Aosta; e quivi trovato il duca Amedeo, che per quella valle veniva a Torino, gli giurarono entrambi la fedeltà, come a loro sovrano.

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Amedeo IX collegandosi con Luigi XI, era ben lontano dall'adottarne le massime. Il fatto seguente prova la sua lealtà, la sua grandezza d'animo in un'epoca sopratutto, in cui colla massima imprudenza si violavano i giuramenti dai principi. Francesco Sforza, colmo di gloria e di felicità, avea cessato di vivere. Il suo figliuolo primogenito, Galeazzo Maria, ben differente dall'illustre suo padre, trovavasi in Francia, quando n'ebbe il funesto annunzio. Affrettandosi a venire a Milano per prendere le redini del governo, tentò di attraversare sconosciuto la Savoja e il Piemonte. Fu arrestato al passaggio del monte Cenisio. I grandi della corte di Amedeo erano d'avviso di ritenerlo prigione, e di profittare della sua cattività per costringerlo a restituire i paesi che il suo genitore erasi fatto aggiudicare, alla pace di Lodi, come pur quelli che aveva occcupato, di concerto col marchese di Monferrato. No, disse Amedeo; non profitterò certamente del vantaggio che m'offre questo Principe, attraversando i miei stati, con mentito abito, e con supposto nome; sia subito messo in libertà. Questa generosa condotta del nostro Duca è tanto più degna di lode, - in quanto che egli ben conosceva l'indole di Galeazzo Sforza per non aspettare da lui che atti d'ingratitudine; ed in vero, avendo richiamato Valenza sul Po ed alcune altre piazze che il signor di Milano, e quello del Monferrato eransi tolte ingiustamente, n'ebbe un brusco rifiuto. La mediazione di Luigi XI fu priva di successo; e ne nacque la guerra.

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La debole sanità di Amedeo non acconsentendogli di sostenere le fatiche di una campagna, affidò il comando delle sue schiere, fra cui eranvi molti militi torinesi, al conte di Bressa. Questo suo fratello non mancava nè di valore nè di sperienza nell'arte militare; ma i due nemici ch'egli ebbe a combattere, gli suscitarono un grande imbarazzo. Alcuni

abitanti di Mondovì si lasciarono sedurre dalle promesse del marchese di Monferrato. Ivi scoppiò un'insurrezione. Il conte di Bressa dovette dividere le sue forze. I maresciallo di Savoja, Claudio di Seyssel, corse colla massima celerità in quella provincia; disperse i capi della rivolta, e ottenne che tutti i ribelli rientrassero nell'ordine. Ma questa diversione, affievolendo Filippo di Bressa, assicurò la vittoria ai Milanesi ed ai Monferrini, che raccolsero tutto il frutto di questa guerra.

Una grave malattia, a cui soggiacque Amedeo nell'anno 1469, lo costringe a convocare gli Stati generali per la nomina di un consiglio di Reggenza, che dividesse con lui le fatiche del governo. Jolanda profittò dell'occasione per istabilire la sua autorità in nome di suo marito. Ella si trovò investita della reggenza senza che le fosse legalmente conferita. Tutti speravano che il Duca fosse per ricuperare abbastanza di sanità per ripigliare la direzione degli affari. In questa speranza, altro non si fece che associare alla Duchessa consiglieri di sua scelta, i quali furono i signori di Miolans, di Bonnivard e d'Orlié.

I tre Principi, suoi cognati, vivamente offesi di non avere alcuna parte al governo, non si limitarono a protestare contro tali disposizioni; essi riguardaronsi come i rappresentanti del loro fratello infermo, e procacciarono subito di farsi un partito per impadronirsi dell'autorità sovrana. In Savoja avevano già essi in loro favore non solamente i numerosi partigiani della lega francese, ma eziandio tutti quelli che temevano un protettore dell'indole di Luigi XI sul cui animo la voce del sangue aveva meno d'impero che la cupidigia e l'ambizione. In Torino, e negli altri paesi del Piemonte, quasi tutti aderivano alla duchessa Jolanda, massimamente pel grande rispetto che qui si aveva da ognuno al Duca suo consorte. Frattanto il conte di Bressa armò per sostenere le sue pretensioni. La Duchessa non più credendosi abbastanza sicura in Ciamberì, si ritirò co' suoi figli in Mommeliano. Ivi assediata nella cittadella, si spaventa, chiede di capitolare, lascia il giovinetto Duca nelle mani de' suoi zii, e se ne fugge a Grenoble. Il Re, suo fratello, fa marciar truppe per sostenerla. Il duca di

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