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carne e del vino, e riconosciutone con altri favori lo zelo e Ja fedeltà.

Siedeva la Duchessa reggente in Torino quando vi furono stabilite le nozze del duca Filiberto con Bianca, primogenita del duca di Milano Galeazzo Sforza. Fu ricca la dote che venne assegnata alla sposa, e grande fu l'allegrezza, che ne dimostrò il torinese municipio, considerando il vantaggio, che poteva riceverne l'augusta Casa sabauda per l'età pupillare del Duca insidiata da tante parti. Ed alcuni mesi dopo il nostro sovrano fu compreso in una strettissima lega, cui Galeazzo suo suocero fece col duca di Borgogna per intromissione di Jolanda sua genitrice. Fu questa lega conchiusa in Moncalieri il 30 gennajo del 1475, intervenendovi per parte del signor di Borgogna Guglielmo di Roccaforte ed Orfeo di Ricano, e per parte di Galeazzo Sforza Angelo di Fiorenza ed Antonio Applano stipulanti. In forza di quel trattato i suddetti Principi promisero di assistersi vicendevolmente contro qualsivoglia potenza con quattrocento fanti seicento cavalli, e collo sborso di sessanta mila ducati d'oro annui durante la guerra; che essendosi per opera della du chessa Jolanda conchiuso questo trattato di lega, s'intendeva compreso nella lega medesima il duca Filiberto suo figliuolo. Presenti come testimonii al trattato stipulatosi nel castello di Moncalieri furono Urbano di Bonivardo vescovo di Vercelli, Pietro di s. Michele ed Antonio di Piossasco, l'uno cancelliere e l'altro presidente della Savoja.

Assai gradito ai nostri sovrani era il soggiornare in Torino, ove loro pareva di godere una quiete non sottoposta a veruna perturbazione. In quell'epoca il principe di Taranto Federico di Aragona, primogenito di Alfonso re d'Aragona e di Napoli, fu con grande magnificenza ricevuto nella nostra capitale, dove si fecero le prime aperture al maritaggio di lui con Anna di Savoja, primogenita del B. Amedeo. Intanto la duchessa Jolanda dichiarò con pubblico editto a favore di chi avesse voluto accettarlo, che si potessero alienare e vendere di qua e di là dai monti i feudi che sino a quell'ora non si potean vendere che à quelli della medesima famiglia. La Duchessa emanò quest'editto in Moncalieri addì 3 luglio del 1475, assistendovi Gioanni De Compeys vescovo di To→

rino, Urbano Bonivardo vescovo di Vercelli, Pietro di San Michele cancelliere di Savoja, Antonio Lamberto decano-di Savoja, Antonio Piossasco presidente, e Luigi d'Anvanias consigliere del Duca. Non è da tacersi, che quell'editto sollevò molte nobili famiglie, cui, mentre non potevansi alienare i feudi, servivano ad opprimere le popolazioni, ben piuttosto che alla loro grandezza, i castelli e l'ampiezza delle conted. In questo frattempo l'alleanza che Jolanda fece coi duchi di Borgogna e di Milano, la impegnò nelle militari vicende, ch'ebbero luogo in vicinanza della Savoja. Ardeva allora vi vamente la guerra del duca di Borgogna Carlo il Temerario specialmente contro gli Svizzeri friburghesi. La duchessa JoJanda, risoluta di aderire piuttosto al duca di Borgogna, che al re Luigi XI, perchè più importava allo stato del Duca suo figlio di porre argine alle forze troppo cresciute degli Svizzeri, convenne, come si è accennato, col duca di Milano, che aveva il medesimo interesse; e raccolto un esercito di quattro mila uomini, fra cui si trovarono molti militi del distretto di Torino, lo spedì ad unirsi colle schiere di Carlo il Temerario, le quale ascendevano a quaranta mila combattenti. Il Duca, più temerario, che prode, ingaggiò battaglia in un luogo svantaggioso, dove la cavalleria, che faceva la forza maggiore dell'esercito suo, poco valse a combattere contro gli Svizzeri per la più parte di fanteria vi gorosa ed esercitata da gran pezza nelle natie montagne. Si venne a giornata sotto le mura di Granson, ed i Borgognoni furono sconfitti e sbaragliati, e con loro parimente gli ausiliari Savojardi, Piemontesi e Milanesi. La nostra duchessa Jolanda, afflitta ma non costernata di quel disastro, non si ritrasse dal preso impegno; ed anzi andò in persona a tròvare il duca di Borgogna per animarlo a tornar nuovamente ad assaltare i nemici, che insuperbiti e fieri per la riportata vittoria mettevano in maggior necessità i Principi confede. rati di fare ogni sforzo per reprimerne l'insolenza. Essa la prima raccolse di bel nuovo un esercito composto di Savoini e di Piemontesi, e contribuì non poco a determinare quell'audacissimo Principe a ritentar la sorte delle armi contro gli Svizzeri. Ne seguì la famosa battaglia di Murat, dove il dúca di Borgogna lasciò sul campo un incredibil numero di

suoi Borgognoni uccisi o feriti, ed egli stesso vi perdè la vita. La duchessa di Savoja dovette lamentare la perdita di tre mila uomini in parte Savojardi ed in parte subalpini, che perirono in quella memoranda giornata. Parecchie famiglie torinesi si vestirono a lutto ed amaramente piansero Ja perdita dei loro prodi congiunti, che valorosamente combattendo caddero spenti ne' campi di Murat.

La riputazione, il potere e l'ambizione che per tal vittoria acquistarono gli Svizzeri, ed il mal animo che essi concepirono contro i principi di Savoja non tardarono lungo tempo a farsi provare. Filippo conte di Bressa, che aveva certamente parte nel governo del Piemonte, non l'ebbe nella guerra del duca di Borgogna, e si tenne devoto al re Luigi di Francia.

Dopo le sofferte sconfitte il duca di Borgogna, dubitando che la duchessa di Savoja macchinasse di separarsi dalla sua alleanza e di accostarsi a Luigi XI, gli affari del quale pei disastri del Borgognone cangiavano faccia, la fece prendere da' suoi uomini appostati e condurre nel castello di Rouvre. Era intenzione di quel Duca che fossero anche presi tutti i figliuoli di lei, e principalmente il giovinetto duca Filiberto. Ma Goffredo di Rivarolo, gentiluomo piemontese che erane governatore, lo tolse di mano ai rapitori; locchè ci viene narrato da Filippo Comines, che fu presente e partecipe di tale avvenimento. Il re di Francia, a cui si presentò questa occasione di servire alla libertà di sua sorella Jolanda e degli stati di lei, spogliossi generosamente d'ogni passione, e la fece levare e condurre appresso di sè, promettendo di lasciarle esercitare senza soggezione l'autorità sua di reggente. Ella per altro, conoscendo il genio di suo fratello, prima di voler uscire dal castello di Rouvre, onde fu tratta fuori di nottetempo, volle prima che il Re la rendesse ben certa di mantenerla nella pienezza della sua primiera autorità. Il segretario Dupuy, fuggito dalla prigione in cui era stato rinchiuso per ordine del conte di Bressa, coglie ora l'opportunità di vendicarsene: lamentasi colla Duchessa della violenza sofferta, e le rappresenta che il conte non avrebbe rinunziato al governo di Torino e del Piemonte se non per forza; e che perciò era d'uopo che il Re, il quale glieto

aveva affidato, lo costringesse a farlene la rimessione. Ma Luigi XI stimava la persona del conte di Bressa, e ne temeva la spada. Il levargli bruscamente il governo, ch'egli stesso avevagli confidato, non gli pareva troppo dicevole. Ciò non di meno fe' sapere alla Duchessa reggente, che se, ella trovasse il mezzo di farglielo abbandonare, non se le opporrebbe, nè le troverebbe niente a ridire. Su questa parola del Re il segretario Dupuy procurò di far venire dal Milanese un esercito in Piemonte per costringere il conte di Bressa a lasciare il governo della subalpina contrada. Scrive adunque al duca di Milano, a nome della reggente, pregandolo di occupare le piazze più importanti del Piemonte. Vi viene il milanese Duca con numerose schiere, e conduce con seco il marchese di Mantova, quello di Monferrato, il conte di Ventimiglia ed altri signori italiani. Comincia tentare Vercelli, che non vuolsi arrendere se prima non si arrende la città di Torino; il forte luogo di s. Germano è preso per forza dal milanese Duca; Santià gli ubbidisce, e l'una e l'altra terra sono saccheggiate; è questo il frutto del consiglio del Dupuy, cui nulla importa che si rovini tutto il paese purchè egli possa dare sfogó alla sua privata passione. Già le schiere lombarde si avanzavano a Torino; a tal che il vescovo di questa città Giovanni Compeys fortemente paventando che lo Sforza volesse entrare nella nostra capitale ed usurparsi il dominio di tutto il Piemonte, affrettossi ad armare i Torinesi, e in questa bisogna lo assecondò molto bene il torinese municipio. Escono gli agguerriti cittadini, disposti a risospingere il milanese Duca; ma presto il vescovo è fatto certo, che il disegno del signor di Milano non è di prendere, ma di conservare al duca di Savoja gli stati. Il vescovo allora, deposte le armi, pregò il conte di Bressa a voler togliere allo Sforza il pretesto di quella guerra rinunziando al governo di Torino e del Piemonte. Il conte piega alle prime istanze del prelato, e si spoglia, anche prima che arrivi in questa capitale la Duchessa reggente, d'ogni autorità e d'ogni ragione di governare, non cercando altra condizione, che l'utile di questo stato, cioè che lo Sforza ritiri il suo esercito dal Piemonte. Il milanese Duca ritirossi tanto più prontamente, in quanto

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che ne lo pregarono eziandio tre deputati del consiglio di Torino, i quali furono il presidente Giovanni Campione, Ambrosio Vignato e Pietro Cara.

Or la Duchessa risolvette di dare un nuovo aspetto alle cose di tutto lo stato. Sapendo che i processi fiscali sono aspri flagelli delle popolazioni, pensò di doverle sottrarre all'oppressione coll'abbreviare le formalità ordinarie della giustizia. Fece dunque nuove leggi, per le quali furono prescritte e limitate al fisco le forme di procedere sì contro ai colpevoli, e sì principalmente contro agli accusati innocenti. Nè queste nuove leggi furono sancite e pubblicate se non dopo varie consulte, e col parere dei due consigli ducali di Torino e di Ciamberì Quelli che si trovarono presenti alla formazione di un così importante editto e consigliarono la Duchessa a sancirlo, furono principalmente Giovanni di Varax vescovo di Belley, Antonio Campione presidente in Torino, Beltrando di Derée presidente in Savoja, Giovanni Cloppet presidente di Bressa e Andrea Garzino vicario generale del vescovo di Moriana. Il fisco se per aumentare le fortune del Principe diminuisce le facoltà dei privati, tutto lo stato si affievolisce. L'interesse de'sudditi porta in conseguenza l'interesse del Principe: ma l'interesse di questo difficilmente va unito all'utilità de' popoli à lui soggetti. Seguano pure i' regnanti la scorta dell'interesse, che non si vieta loro, ma non ne confondano l'ordine: rivolgano i loro pensieri al pubblico beneficio, e ricoglieranno l'utile proprio; poichè il ricco patrimonio del Principe si misura dalle fortune dei sudditi. Quelle disposizioni della duchessa Jolanda, che raltegrarono tutti i buoni, emanarono addì 6 febbrajo 1477. Ella, due anni avanti, come tutrice e reggente avea dato in affitto ad enfiteusi perpetua alla città di Torino i molini sopra la Dora. Le condizioni furono, che la città pagasse di annuo fitto mille e cento fiorini, quattrocento d'introggio e cinquantacinque d'elemosina a due donne povere. Durò lungamente un tale contratto per la puntualità onde il comune compieva un siffatto dovere; a tal che confermollo vent'anni dopo la duchessa Bianca di Monferrato.

A quel tempo la duchessa Jolanda erasi data con tutte le cure possibili a sollevare i suoi popoli, massimamente i To

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